La diffusione sempre più rapida delle tecnologie digitali in tutte le attività umane è il fenomeno che meglio caratterizza il XXI secolo. Il computer, nato come strumento di calcolo, è diventato, grazie a internet, strumento di comunicazione. Nel 1982 la rivista “Time” dedicava la propria copertina al computer per la sua «grande influenza nella nostra vita quotidiana» assegnando per la prima volta la qualifica di soggetto dell’anno a una “macchina” invece che a una persona. Con quella immagine, il progresso tecnologico – ancor prima dell’avvento di internet – prometteva in qualche modo di rivoluzionare la vita dell’individuo e della collettività, una previsione di fatto realizzata e potenziata grazie all’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence, AI). Con la convergenza e l’integrazione fra le tecnologie dell’informazione e quelle delle telecomunicazioni, siamo passati a una nuova era tecnologica, quella delle ICT (Information and Communication Technologies).
Le tecnologie digitali sono entrate negli anni Sessanta nella progettazione e produzione industriale. Sono le macchine utensili a controllo numerico, nelle quali un software guida la lavorazione che la macchina intelligente esegue per ottenere il prodotto richiesto. L’obiettivo dell’automazione industriale è quello di realizzare un nuovo modo di concepire e sviluppare la produzione, integrando la fabbricazione con il sistema informativo gestionale e le altre funzioni aziendali, come l’adattamento del prodotto alle richieste del cliente.
L’automazione robotica è una diramazione dell’automazione industriale. I primi robot sono stati ampiamente utilizzati nell’industria a partire da quel decennio, ma costellano una storia antica, dal Medioevo cristiano e arabo al Rinascimento italiano, con gli ingegnosi progetti di Leonardo da Vinci, fino al fiorire nel Diciottesimo secolo in Europa e Asia di creazioni come la famiglia di androidi di Jaquet- Droz e le bambole meccaniche karakuri-ningyo. La dimensione ludica dei primi automi affondava le radici in una conoscenza tecnica di frontiera per l’epoca. Nel periodo industriale, con il prevalere del concetto di utilità delle macchine su ogni altra funzione, le mirabilie di questi automi da considerarsi come i genitori dei moderni robot diventano un ricordo di epoche passate.
Il termine “robot”, di origine slava e sinonimo di lavoro subordinato, nasce dalle pagine dello scrittore ceco Karel Čapek nel dramma “R.U.R.” (Rossum’s Universal Robots) del 1920 per indicare una macchina antropomorfa progettata e costruita con materiale organico per alleviare le fatiche degli umani. Vent’anni dopo, siamo nel 1940, l’immagine del robot cambia diventando un artefatto meccanico con lo scrittore russo Isaac Asimov. I principali fattori che ne hanno determinato la diffusione nell’industria manifatturiera, in particolar modo quella automobilistica, sono stati la riduzione dei costi di produzione, l’aumento della produttività, il miglioramento degli standard di qualità dei prodotti e, non ultima, la possibilità di eliminare compiti dannosi o ripetitivi per l’operatore.
Rispetto al passato, oggi, le azioni del robot non sono più una sequenza prestabilita di movimenti, ma sono eseguite in maniera automatica grazie a un sistema di controllo che governa il moto in relazione a ciò che avviene nell’ambiente. Da qui, la definizione comunemente accettata dal 1980 a oggi secondo cui la robotica è la «connessione intelligente tra percezione e azione». L’azione è offerta da un sistema meccanico dotato di organi di locomozione per muoversi (ruote, cingoli, gambe meccaniche) e/o di organi di manipolazione per intervenire sugli oggetti presenti nell’ambiente circostante (braccia meccaniche, mani artificiali, utensili). La percezione è affidata a un sistema sensoriale in grado di acquisire informazioni sul sistema meccanico e sull’ambiente (sensori di posizione, telecamere, sensori di forza e tattili). Gli straordinari progressi compiuti dalla robotica negli ultimi sessanta anni hanno visto gli automi industriali – inizialmente confinati in spazi lontani dall’uomo – trasformarsi in “cobot”, robot collaborativi che lavorano fianco a fianco con l’operatore oppure dotati di autonomia per spostarsi e lavorare anche in presenza di incertezza e variabilità dell’ambiente. Gli operatori, chiamati fino a pochi anni fa a interagire con automazioni imponenti, complesse, segregate nello spazio produttivo tramite recinzioni, trovano nella robotica collaborativa uno strumento che li riporta al centro del processo, di cui comprendono appieno il funzionamento e su cui possono agire in maniera autonoma riprogrammando e adattando il set up in base alle necessità produttive.
Si dà forma a un nuovo e soprattutto sicuro regime di condivisione di spazi e compiti, grazie al fatto che i robot sono realizzati in materiali leggeri, spesso sono muniti di articolazioni elastiche e soprattutto di sensori che rilevano in anticipo le collisioni per evitare danni all’uomo. I robot, dunque, da macchine statiche e ripetitive diventano agenti autonomi e mobili, con capacità di apprendimento e adeguamento all’ambiente. Non solo menti e sensori come nell’AI cui spesso la robotica viene erroneamente identificata, ma anche corpi meccanici in grado di intervenire nel mondo reale che può essere un ambiente umano (per i robot sociali), una strada cittadina (per un veicolo a guida autonoma), una casa di cura o un ospedale (per un robot che si occupa di assistenza o di vita assistita), o un luogo di lavoro (per un robot compagno di lavoro).
Nel mettere in relazione il mondo digitale con quello fisico attraverso lo sviluppo del cosiddetto gemello fisico-digitale (phygital twin), la robotica è destinata a diventare la tecnologia trainante per una intera nuova generazione di dispositivi autonomi che, attraverso la capacità di apprendimento, potranno interagire con l’ambiente esterno. In questo senso si spiega il neologismo promosso da I-RIM (Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti) delle IAT (InterAction Technologies) introdotto per spiegare come robotica e macchine intelligenti rappresentino il futuro delle ICT che oggi si fermano alla raccolta ed elaborazione di dati, ma che dispiegheranno tutte le loro potenzialità solo quando potranno essere usate per intervenire fisicamente sull’ambiente e sulle persone, per modificare il primo e assistere le seconde con la capacità di percepire e agire nel mondo fisico in tempo reale. Questo passaggio sarà possibile grazie a una tecnologia sempre più intuitiva, che permetterà alle persone di utilizzare i robot con la stessa facilità con cui oggi utilizziamo i comuni device; ciò grazie al miglioramento della sensoristica e della capacità di elaborazione delle informazioni, che consentirà ai robot di migliorare la conoscenza dell’ambiente circostante, e del 5G, che permetterà connessioni wireless rapide e a latenze costanti (quindi prevedibili). Grazie al 5G, i robot saranno in grado di essere collegati a persone e macchine in tempo reale, sia a livello locale sia a livello globale. L’Internet of Things (IoT) sarà quindi superato dall’Internet of Skills (IoS), un internet tattile per consentire un’esperienza fisica da remoto attraverso dispositivi tattili che si coniughino con le skills, le abilità per esempio dell’operatore di droni o del chirurgo alle prese con un intervento eseguito tramite un sistema robotico a distanza. Il nuovo paradigma di compenetrazione tra fisico e digitale ridisegna in modo straordinario non solo l’ambito industriale ma promette di incidere anche in altri ambiti di applicazione: agroalimentare, medico-sanitario, mobilità urbana, ambienti ostili o poco strutturati.
Una manifattura bio-ispirata (che alcuni già definiscono bionic manufacturing) rappresenta una delle frontiere su cui si svilupperà la robotica nei prossimi 15-30 anni. Se, infatti, negli ambienti strutturati come quelli industriali, la locomozione su quattro ruote è preferibile in quanto più facilmente gestibile, nell’esplorazione di ambienti meno strutturati – quali quelli interessati da catastrofi naturali o disastri provocati dall’uomo – altre forme di movimento simili anche a quella umana, possono portare a interessanti applicazioni. Sono sempre di più i sistemi robotici che si ispirano a forme provenienti dalla natura: dal cane-robot di Boston Dynamics ai robot-formica per l’esplorazione degli ambienti e molto altro. Robot del genere sono stati utilizzati per la ricerca di superstiti e l’individuazione di resti umani tra le macerie di Ground Zero e per il disastro di Fukushima.
La linea di sviluppo di questa tecnologia per il prossimo futuro deve capitalizzare questi aspetti: versatilità e semplicità di impiego. Quando anche i “cobot” saranno divenuti strumenti utilizzabili in maniera intuitiva, così come èper i device che abitualmente utilizziamo anche senza istruzioni, in modalità “plug & play”, allora avremo davvero una tecnologia in grado di rivoluzionare l’approccio produttivo e del vivere quotidiano.
D’altro canto, la vocazione tecnica dell’uomo non solo lo potenzia ma lo espone a rischi e pericoli. Per tale motivo i cittadini utenti di ogni nuova tecnologia devono essere adeguatamente informati sulle opportunità offerte da tale tecnologia e sui limiti per maturare una riflessione critica ponderata e non polarizzata tra speranze utopistiche, accettazione passiva e paure irrazionali lontane dalla realtà e da un corretto e sereno dibattito in seno alla società.
La robotica italiana è stata la culla delle riflessioni sulle questioni etiche, legali, sociali, economiche (ELSE) legate all’utilizzo dei robot. Nel 2003 il ricercatore Gianmarco Veruggio ha ideato il termine “roboetica” per indicare l’etica applicata alla robotica. Nel 2004 ha organizzato il primo Simposio internazionale di roboetica, in cui filosofi, giuristi, sociologi, economisti insieme alla comunità robotica, hanno gettato le basi di un’etica della progettazione, realizzazione e impiego dei robot. Un’occasione rivelatasi determinante per creare la consapevolezza della necessità di tale etica e che in prospettiva è essenziale per far fronte alla transizione digitale.
La roboetica si occupa in prima battuta di una serie di questioni legate alla diffusione crescente dei robot nella società, in particolar modo il doppio uso della tecnologia (virtuoso o dannoso), l’impatto sul mercato del lavoro, sulla psicologia delle persone, sull’ambiente, il digital divide tra regioni ricche e povere del mondo, il problema della dipendenza dalla tecnologia, intesa come dipendenza personale e dipendenza sociale. La roboetica è in questo senso un’etica umana che tratta i robot come macchine e ne discute il ruolo sociale.
A un livello successivo e in un ambito più strettamente di interazione uomo-robot, entra in campo il concetto di autonomia e responsabilità delle azioni del sistema robotico. La crescente capacità dei robot di eseguire azioni autonome e compiti complessi solleva problemi di responsabilità e di accettabilità in un’ampia gamma di applicazioni. In alcuni ambiti militari, industriali e di servizio, le analisi critiche di questi problemi sono per lo più orientate allo sviluppo di politiche etiche che richiedono un controllo sostanziale dell’uomo Meaningful Human Control (MHC) su robot autonomi per cui gli esseri umani, e non le macchine e i loro algoritmi, dovrebbero in ultima analisi mantenere il controllo, e quindi la responsabilità morale, delle decisioni rilevanti che impattano sull’uomo. Più in generale, possiamo dire che sviluppare l’autonomia crescente dei sistemi robotici in armonia con l’autonomia morale e l’assunzione di responsabilità degli esseri umani è una delle grandi sfide tecnologiche e, allo stesso tempo, etiche del nostro tempo.
Siamo protagonisti di una rivoluzione tecnologica che porta con sé una straordinaria connettività tra uomini e macchine da cui derivano nuovi linguaggi, modi di conoscere, lavorare e partecipare alla vita collettiva, e che può tramutarsi in una spinta nuova: quella di affermare la caratteristica meno artificiale del nostro mondo: la nostra umanità.