Una volta conclusasi la vicenda politica della Democrazia Cristiana, agli inizi degli anni Novanta, comunque aperta rimane la questione della presenza dei cattolici nella vita pubblica del paese. Un tema, questo – le suggestioni di un partito di ispirazione cristiana – che periodicamente viene agitato, espressione oggi di uno spaesamento, più che di una nostalgia e, insieme, come esito di una “politica senza i cattolici”, vale a dire inabilitata a garantire adeguate risposte alle loro aspirazioni. Al di là del fatto che i tentativi di volta in volta esperiti, anche solo pochi anni fa, di aggregare l’area cattolica in un nuovo contenitore politico – basti pensare ai convegni di Todi – non hanno sortito le risultanze sperate. E pur tuttavia la questione dei “cattolici senza politica” torna pure adesso di attualità, anche se ampiamente condivisa è la convinzione che non sia possibile una nuova DC, tenuto conto di condizioni storiche, politiche, sociali – diremmo sistemiche – profondamente mutate rispetto a quelle in cui la “balena bianca” ha dispiegato la sua supremazia.
Quali prospettive si aprano e quale seguito possa avere il recente “Manifesto” promosso da autorevoli personalità cattoliche raccolte attorno al noto economista Stefano Zamagni, presidente del Pontificio consiglio delle scienze sociali, resta tutto da vedere, se pure interrogativi di non poco conto si possono sollevare quanto alla praticabilità del progetto, a prescindere dal fatto che la sua realizzazione sia auspicabile o meno: la pressoché totale coincidenza del voto dei cattolici con quello degli italiani, della generalità dei cittadini; l’ormai consolidato pluralismo delle scelte politiche di quanti si ispirano a motivazioni di fede e le molteplici faglie di divisione che li attraversano; un meccanismo elettorale indubbiamente penalizzante per le formazioni minori, considerando una quota maggioritaria che sconsiglia ulteriore frammentazione della rappresentanza; addirittura la prospettiva di un sistema elettorale compiutamente maggioritario se ottiene via libera il referendum richiesto da Matteo Salvini. Una considerazione attenta alle opportunità dell’attuale offerta politica, in modo da raccordarle alle domande diffuse nell’area cattolica – soprattutto istanze di natura etico-solidaristica sulle quali gravano i fantasmi incombenti di una società atomizzata e desolidarizzata – sembrano piuttosto deporre per un impegno volto a rafforzare la casa comune di quanti condividono valori umanistici di civiltà e di progresso. Dunque, non un nuovo partito, ma la “democrazia dei cristiani”, per rifarci all’ultimo Pietro Scoppola, a un magistero storico-politico che un ruolo significativo ha avuto nella elaborazione di idee e proposte in grado di influenzare scelte, di promuovere orientamenti, di individuare itinerari da percorrere allorché, dissoltasi l’unità politica dei cattolici nella DC, vengono aprendosi inediti scenari nel quadro di una ormai consumata implosione della “Repubblica dei partiti”. Sul versante cattolico, infatti, sarà una proliferazione di sigle delle quali, se si esclude la traiettoria del Partito Popolare – da Mino Martinazzoli a Pierluigi Castagnetti –, è persino difficile tenere il conto e fare memoria, considerate le modeste fortune elettorali e la scarsa incidenza politica.
Un quadro frammentato esito di una generale scomposizione in cui un ruolo per molti versi inedito viene assumendo l’esperienza del movimento dei Cristiano Sociali, ora ricostruita in un volume retto su solidissime basi documentarie, dovuto a Carlo Felice Casula, Claudio Sardo e Mimmo Lucà, con una prefazione assai densa di Romano Prodi. I tre autori ripercorrono, sotto diversi profili – storico, politico, della testimonianza diretta – l’intera traiettoria dalla fondazione nel 1993 sino alla conclusione del 2017, proiettandola sullo sfondo della complessiva vicenda politica italiana, in particolare della sinistra nel passaggio dalla prima a tutta la seconda Repubblica.
I primi passi del movimento risalgono alla primavera del 1993, allorquando Ermanno Gorrieri, già comandante partigiano, dirigente sindacale cislino, esponente democristiano – l’unico voto contrario tra i 500 delegati all’assemblea dell’aprile dello stesso anno che segna il passaggio dalla DC al PPI – promuove l’autoconvocazione a Romadi un forum sul tema “Quale costituente per i cattolici democratici”, incontrando sin da subito il sostegno di Pierre Carniti – il battagliero leader della CISL, allora europarlamentare socialista – «interessato alla costruzione di uno schieramento progressista». È questo il momento di avvio di un processo che, attraverso una serie di passaggi – è del settembre la pubblicazione di un “Manifesto politico programmatico” che propone la presenza di una componente cristiano-sociale, attiva e organizzata, nell’ambito di una nuova «aggregazione di forze democratiche e riformatrici» –, approda in ottobre alla Convenzione nazionale costituente cui fa seguito il 13 novembre la registrazione dell’atto fondativo dell’Associazione dei Cristiano Sociali.
Le ragioni di fondo del movimento vanno essenzialmente ricondotte alle nuove condizioni date di una evoluzione bipolare del sistema politico, di un meccanismo elettorale maggioritario, nonché alla prospettiva di una democrazia finalmente consegnata alla fisiologica possibilità dell’alternanza. Da qui la divaricazione dal PPI e da Martinazzoli – una contesa, quella di quest’ultimo con Pietro Scoppola, non certamente limitata all’ambito dell’interpretazione storica del ruolo e delle prospettive dei cattolici in Italia – e la convinzione che sia ormai conclusa per loro la funzione mediatoria di una forza di centro, in grado di perseguire una terza via tra destra e sinistra. «Il futuro è fatto di due schieramenti – così l’insigne studioso del movimento cattolico e di De Gasperi in particolare – e i cattolici-democratici devono guardare a quello progressista. Non tutta la DC può essere traghettata verso il nuovo» e, dunque, bisogna portare «la propria identità su un ampio schieramento di forze riformiste». C’è poi, tanto in Gorrieri quanto in Carniti – il riferimento è dovuto prima alla leadership rivestita, poi alla influenza esercitata – una mozione culturale-ideale che bene riassume la peculiare sensibilità cristiano-sociale, vale a dire la teorizzazione che «contrariamente a quanto si sostiene, nella vulgata politica, destra e sinistra non sono termini privi di significato (…); solidarietà, uguaglianza, responsabilità collettiva» prevalgono su «valori di autoaffermazione individuale, di giustificazione delle differenze di reddito e di potere esistenti tra persone, gruppi, aree geografiche». Da qui un ulteriore elemento di definizione dell’identità del movimento, d’ispirazione del suo programma e progetto politico: la questione sociale al centro di un rinnovamento della politica retto sul pilastro dell’uguaglianza, il vero focus della presenza politica e culturale dei Cristiano Sociali. Anche in questo è riconoscibile la lezione di Gorrieri sulla “giungla salariale”, sulle “parti eguali fra diseguali”, e del Carniti di “Riformismo e solidarietà”, delle lotte egualitarie della FLM, e de “Il lavoro è finito”, come recita il titolo di un suo libro. La prospettiva è di una coniugazione tra diritti sociali e diritti civili, nonché di un superamento dei tradizionali steccati che dividono sinistra storica e progressismo cristiano. Non solo uguaglianza delle opportunità, ma anche, e soprattutto, efficaci politiche redistributive perché – questo uno dei cavalli di battaglia – «le differenze di qualità naturali e soprattutto delle condizioni famigliari, nonché le vicende della vita non permettono a tutti di ottenere con le proprie forze accettabili condizioni di esistenza». Dunque bipolarismo, netta opposizione e alternativa alla destra e uguaglianza, nell’accezione più ampia del termine, le bussole di orientamento di una vicenda vissuta nel segno di una trasparente, indubbia coerenza.
Un ulteriore elemento connota peraltro il movimento e contribuisce a definirne i tratti di originalità: protagonisti dell’esperienza cristiano-sociale non sono tanto esponenti provenienti dal ceto politico, quanto piuttosto credenti, radicati nelle acquisizioni conciliari, che hanno alle spalle una militanza nel “sociale bianco”, in organizzazioni come la CISL, le ACLI, l’AGESCI, nel mondo della cooperazione, del volontariato, del pacifismo, dell’università e della ricerca, del giornalismo, laddove la testimonianza cristiana si traduce in opere e si manifesta in iniziative che alimentano la partecipazione alla vita comunitaria e perseguono un cambiamento la cui direzione è ispirata da una fede incarnata nella storia, tesa a ricomporre la frattura fra coscienza religiosa e coscienza civile. Non un nuovo, ennesimo partito, ma una presenza visibile nello schieramento progressista. Da qui il contributo offerto alla costituzione, nel febbraio del 1994, della Alleanza dei Progressisti e la presentazione di propri candidati per l’uninominale che vede i Cristiano Sociali approdare con una pattuglia di 14 eletti in Parlamento, ottenendo, dunque, una proiezione nazionale e dando avvio a un insediamento sul territorio organizzato in circoli, anche tematici e di scopo, e in strutture provinciali e regionali di coordinamento e direzione. E saranno battaglie sulla politica fiscale, sul lavoro, sulla scuola, sulla sanità, sul sostegno alle famiglie, sulla sussidiarietà, per una valorizzazione del Terzo settore, in difesa e per la promozione della pace, per un’Europa unita e solidale.
A emblema di una cultura e di una sensibilità può essere assunta la contesa aperta con la critica alle conclusioni della Commissione presieduta da Paolo Onofri, incaricata dal presidente del Consiglio Romano Prodi di formulare proposte per la riforma dello Stato sociale. L’intento di abolire gli assegni famigliari al fine di utilizzare le risorse per finanziare il minimo vitale e il fondo per la non autosufficienza incontra la contrarietà dei Cristiano Sociali con la motivazione che l’assegno al nucleo famigliare è finanziato dai contributi dei lavoratori dipendenti e dunque le risorse relative non possono essere utilizzate per finanziare istituti assistenziali erga omnes disconoscendo, di fatto, la funzione sociale della famiglia nella cura e nell’educazione dei figli. In sostanza, risorse che non possono essere assimilate a uno strumento di assistenza agli indigenti secondo una «filosofia inaccettabile di natura universalistico-mistificatoria» come la definisce Ermanno Gorrieri. E così pure assai determinato è l’impegno, tradottosi in un disegno di legge agli inizi del 1998, primo firmatario Carlo Stelluti, volto a fissare norme relative alla modulazione dei contributi sociali, in funzione della riduzione degli orari di lavoro e di sviluppo dell’occupazione. Un ruolo, dunque, di coscienza critica e di pungolo nei confronti della sinistra e dell’Ulivo, particolarmente dei DS cui, dopo essere stati sostenitori di un patto federativo tra le forze di progresso, i Cristiano Sociali aderiscono come movimento, a partire dagli Stati generali di Firenze del febbraio 1998 nel tentativo di contribuire alla promozione di un soggetto politico unitario e plurale, oltre i confini tradizionali della socialdemocrazia, in cui sia ben visibile e operante una presenza cattolica radicata nella società e nella cultura del paese. Una presenza che si caratterizzi per un «impegno propulsivo sul terreno dell’innovazione istituzionale», accompagnato da «una parallela e coerente innovazione nel modo di essere della forma partito». Così Pierre Carniti, mentre Ermanno Gorrieri, da parte sua, sottolinea tutta la preoccupazione a fronte di un “partito moderno” che “ripudia il passato”, finendo con l’accettare acriticamente regole e ideologia del mercato.
Tre, dunque, i fronti aperti: adesione collettiva dei Cristiano Sociali ai DS onde evitare il rischio di un movimento cattolico che disperderebbe la sua eredità storica, adesione che tuttavia al congresso di Torino sarà, con Walter Veltroni, revocata; avversione a una prospettiva esclusivamente “socialista” di cui si teme non tanto il richiamo alle matrici novecentesche, ma l’impostazione blairiana: la fiducia nelle sorti della globalizzazione, in un’agevole redistribuzione dei suoi utili, nonché in una crescita automatica delle opportunità per tutti; infine l’obiettivo di una “uguaglianza sostanziale” in grado di misurare concretamente le reali distanze sociali per accorciarle e garantire uno standard di benessere a chi ne è privo o non ne ha più. Una sinistra in disarmo sulle grandi battaglie sociali non riuscirebbe, infatti, a trovare compensazione nella promozione dei soli, pure legittimi e tutti da garantire, diritti individuali.
Qui si pone un’ulteriore sfida affrontata dai Cristiano Sociali nel corso di stagioni in cui si affermano linee di tendenza e orientamenti di una Chiesa che vede il cardinale Camillo Ruini guidare la Conferenza episcopale italiana per oltre un quindicennio, dal 1991 al 2007: la sfida della “laicità cristiana” e della “laicità democratica”. Al cospetto di un disegno di tipo “neoguelfo” – la Chiesa gerarchica come paladina dell’etica pubblica nel quadro di un processo di riclericalizzazione – i Cristiano Sociali sono chiamati a risolvere il duplice dilemma di una coerenza da un lato con le convinzioni della propria coscienza e, dall’altro, con le responsabilità di una scelta in rotta di collisione con aspetti essenziali della “linea istituzionale-sociale” di Ruini: di fatto una svalutazione del ruolo mediatorio della politica e una riduzione del laicato cattolico in uno spazio periferico nel quale misurarsi con la dottrina dei “valori non negoziabili” quanto a temi eticamente sensibili e con un’interpretazione della presenza della Chiesa in Italia nei termini di un “attivismo di pressione” sulle istituzioni e sulla rappresentanza politica, volto a presidiare mondi vitali e realtà sociali a tutela degli interessi cattolici e a garanzia dell’unità morale della nazione in nome di una presunta equidistanza dagli opposti poli dello schieramento politico.
Sarà il convegno di studi che si tiene ad Assisi nell’ottobre del 2004 a fornire risposte ad ambedue i corni del dilemma sopra richiamato. Come sostiene nella sua relazione introduttiva Mimmo Lucà, dal 2003 coordinatore nazionale del movimento, «così come il cristiano non può pretendere di imporre i propri valori per legge, anche se tenuto a proporli e riproporli nella propria vita personale, famigliare, comunitaria, associativa e anche politica», la laicità democratica comporta «il superamento del rischio autoritario del principio di maggioranza» su temi che attengono a questioni etiche-religiose, nei partiti e nei gruppi parlamentari. Un orientamento, questo, che ispira le scelte assunte nell’occasione del referendum sulla procreazione assistita del 12-13 giugno 2005. Il movimento si impegna in un duro confronto-scontro sia rispetto alle componenti laiciste e radicali del centrosinistra, sia nei riguardi del centrodestra e dell’area cattolica allineata sull’“astensionismo attivo” voluto dalla commissione della CEI per il laicato. Una posizione difficile – quella di partecipare al voto –, minoritaria e non indolore, retta sulla convinzione che «noi, laici cristiani, impegnati in politica, abbiamo il dovere di esercitare con la massima autonomia la responsabilità della mediazione, di dimostrare che su materie di rilevanza etica le soluzioni condivise non solo sono possibili, ma auspicabili» attraverso «norme di legge che tengano conto del pluralismo etico e culturale» perché «quel che ci distingue è la valutazione su come (i) valori si promuovono in una società libera, plurale, democratica». Una battaglia che vede i Cristiano Sociali soccombenti, ma foriera di sviluppi di cui saranno protagonisti, così come è stato per l’Ulivo, nella fondazione del Partito Democratico come compimento del disegno originario: l’edificazione della casa comune dei riformisti italiani, di una comunità politica di fusione.
Di fronte al crocevia che si pone davanti al centrosinistra – assecondare le spinte laiciste radicali o scommettere sulla convergenza tra cattolicesimo democratico, cristianesimo sociale, sinistra storica, ambientalismo, liberaldemocrazia e civismo – i Cristiano Sociali testimoniano infatti con la loro storia che la sfida alla destra non è solo politica, non attiene solo alle scelte in campo economico, ma è anche etica, culturale, sociale, chiamando in causa la raffigurazione della società, l’idea del paese, della stessa soggettività umana alle prese con l’ideologia assolutista del mercato. Il PD come “partito dell’Ulivo” rispetto al quale, in prospettiva «per noi i DS sono solo una via, uno strumento», un partito popolare, plurale, inclusivo, coalizionale, retto sui cardini della laicità e del riformismo sociale nel quale i Cristiano Sociali si configurano come un movimento politico di matrice cristiana, forte di un serio, consapevole rapporto col retroterra cattolico.
Ha inizio così un nuovo tratto del cammino in cui, accanto all’iniziativa politica parlamentare, la presenza dei Cristiano Sociali si qualifica per un prevalente impegno di elaborazione culturale. Prima attraverso il Laboratorio Italia solidarietà lungo quattro direttrici – formare alla storia (Costituzione e Concilio Vaticano II), alla democrazia (rappresentanza e partecipazione), alla solidarietà (welfare e iniziative civili), alla pace (prevenzione dei conflitti e disarmo) – e, successivamente, promuovendo con altre sigle associative la Costituente delle idee. In parallelo si registra, nel contempo, una progressiva ricerca del “centro” da parte delle formazioni cattoliche storicamente più sensibili ai temi sociali che tendono – in verità con risultati assai modesti – a rilanciare la forma storica del cattolicesimo politico in chiave neomoderata, sino all’approdo di alcuni esponenti all’area di Scelta Civica di Mario Monti.
Non è ancora per i Cristiano Sociali la conclusione definitiva di un percorso. I convegni del 2014 – “I cristiani e la politica al tempo di Papa Francesco” – e del 2015 – “La radicalità cristiana interroga la Sinistra” – testimoniano una lunga fedeltà, nonché la volontà di ravvivare un dialogo nel tempo nuovo del pontefice che viene da un “altro mondo”, la cui predicazione non può essere indifferente alla politica e alla sinistra in particolare. L’attività però si riduce di intensità anche in ragione delle tensioni interne al PD. Il partito, nella stagione di Matteo Renzi, vede offuscarsi molte delle ragioni che nel corso di un’esperienza hanno caratterizzato una fisionomia. Senza contare che, allentati i fili di collegamento col mondo cattolico di tradizionale riferimento, i Cristiano Sociali non trovano più lo spazio per quella funzione di cerniera e di mediazione che hanno storicamente svolto.
C. F. Casula, C. Sardo, M. Lucà, Da credenti nella sinistra. Storia dei Cristiano Sociali 1993-2017, il Mulino, Bologna 2019.