Bergoglio e le Americhe

Written by Massimo Faggioli Wednesday, 16 December 2015 17:02 Print

Il viaggio del papa a Cuba e negli Stati Uniti dello scorso settembre ha riaffermato, su diversi fronti, il carattere innovativo del pontificato di Bergoglio. Se in termini generali ha segnato l’introduzione di una visione unitaria del continente in controtendenza rispetto alla storia recente del cristianesimo americano, in merito alle specificità del contesto statunitense ha permesso al pontefice di parlare direttamente ai cattolici americani scavalcando il filtro dei vescovi – in gran parte ostili al nuovo papa – e di promuovere il ritorno sulla scena cattolica nordamericana della grande tradizione del cattolicesimo sociale, soppiantata negli scorsi decenni dalle battaglie pro-life antiabortiste e dal sostegno alla cultura economica neoliberista.


La visita di papa Francesco a Cuba e negli Stati Uniti del settembre 2015 è stata, a oggi, il viaggio politicamente più importante del pontificato. È stata anche il viaggio più difficile da gestire per le diverse dimensioni coinvolte: il livello diplomatico internazionale (tra Cuba e Stati Uniti, l’ONU), il livello dei rapporti bilaterali (tra il papa e i due paesi), il livello ecclesiale dei rapporti con la Chiesa locale (con i vescovi statunitensi soprattutto). La visita è stata un successo, grazie all’abilità del papa di agire in modo efficace sui diversi livelli, ma specialmente grazie alla capacità di evitare la politicizzazione della visita e degli incontri – aspetto particolarmente delicato per papa Francesco, che anche in Italia ha dato prova di non tollerare indebite appropriazioni della sua persona pubblica (specialmente da parte di politici cattolici avvezzi alla prossimità con l’alto clero). Negli Stati Uniti vi sono stati tentativi di accostarsi al papa per esibirlo come benedizione a una posizione politica particolare – anche dopo il termine della visita, come ha mostrato la vicenda della rivelazione dell’incontro con la “eroina” della lotta contro il matrimonio omosessuale Kim Davis, organizzato dagli avvocati della signora e da qualcuno (finora non identificato) nell’entourage papale o nella nunziatura apostolica a Washington o in Vaticano, e rivelato due giorni dopo il rientro del papa a Roma.1


FRANCESCO TRA CUBA E STATI UNITI

La scelta di unire la lunga tappa cubana al previsto viaggio negli Stati Uniti (deciso prima delle dimissioni da Benedetto XVI per l’Incontro mondiale delle famiglie a Filadelfia) è stata presa in seguito al successo diplomatico conseguito nel dicembre 2014 con il ristabilimento dei rapporti diplomatici tra Washington e L’Avana, anche grazie alla mediazione vaticana. La presenza del papa a Cuba in quei giorni e la dimestichezza del pontefice con la scena cubana ha lanciato alle Chiese non latinoamericane, e specialmente a quelle dell’emisfero nord, un chiaro messaggio circa la collocazione culturale e politica del nuovo vescovo di Roma. La visione nordoccidentale del mondo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI era figlia dell’ordine mondiale deciso alle conferenze di Yalta e Potsdam nel 1945. Papa Francesco è il primo papa di una Chiesa cattolica con una visione geopolitica post guerra fredda.

Il viaggio a Cuba per papa Francesco rientra nel quadro di una visione geopolitica e spirituale dell’America che è tipica del pontefice, ma non totalmente nuova per la visione che delle Americhe ha la Chiesa cattolica, quella dell’unità del continente. Questa visione appartiene al retaggio latinoamericano di papa Bergoglio, che non vede negli Stati Uniti una nazione incaricatasi di una missione divina come vuole l’“eccezionalismo” caro alla retorica americanista (da cui anche il cattolicesimo statunitense non è immune). Ma la visione unitaria del continente è in controtendenza rispetto alla storia recente del cristianesimo americano, anche cattolico, che ha allentato molti dei legami che univano fino agli anni Ottanta le Chiese degli Stati Uniti e dei paesi a sud del confine artificiale tra Messico e Stati Uniti. In altre parole, la scelta di Francesco di visitare Cuba prima di arrivare negli Stati Uniti è stato il primo messaggio a una Chiesa cattolica americana che è diventata nelle sue élite dirigenti (clericali e non) nell’ultimo trentennio più americanista, patriottica e conservatrice, e che ha ridotto il divario storico tra il cattolicesimo romano e il mainstream.2


PAPA FRANCESCO E LA POLITICA AMERICANA

In questo senso il viaggio negli Stati Uniti è stato più difficile di quello a Cuba. Nell’isola caraibica si trattava di accompagnare un processo in movimento verso una transizione che ha già visto per la Chiesa cattolica maggiori spazi di libertà che in passato: Francesco non ha lanciato pubblici richiami a Castro come avevano fatto papa Wojtyla e papa Ratzinger. Negli Stati Uniti, invece, era chiaro che il rapporto tra papa Francesco e la classe politica americana si configurava come un dialogo senza veri interlocutori. Il caso di Obama è particolare, in quanto cristiano non cattolico che in gioventù lavorò per i servizi sociali della Chiesa cattolica nella Chicago del cardinale Bernardin, icona del cattolicesimo postconciliare progressista negli Stati Uniti.3 Ma nella classe politica americana i “cattolici sociali” di vecchia scuola (la generazione di Ted Kennedy e di Joe Biden) sono praticamente scomparsi, sostituiti da cattolici democratici per i quali il cattolicesimo è una questione essenzialmente di eredità familiare e non di pratica religiosa e spirituale né tantomeno intellettuale, oppure da cattolici repubblicani ispirati (almeno in pubblico) da una devozione religiosa d’altri tempi ma portatori di un messaggio politico e sociale che confligge totalmente con il magistero di papa Francesco sulle questioni di etica economica e sociale. La piattaforma antiabortista è stata fino a oggi per il cristianesimo e cattolicesimo conservatore americano il solo articolo di fede politica spendibile sulla pubblica piazza.

Papa Francesco ha marciato lungo una linea sottile ma ben precisa durante le tappe istituzionali del viaggio, mostrando una convergenza con Obama sulle questioni della giustizia economica e della difesa dell’ambiente, senza dimenticare di citare la questione della libertà religiosa ma senza prendere le parti dei vescovi sulla questione al centro dello scontro tra i vescovi cattolici e l’Amministrazione Obama. Nel discorso al Congresso (il primo per un papa), invece, Francesco ha presentato un’immagine interessante dei rapporti tra la Chiesa cattolica americana (due personaggi a lungo considerati scomodi dall’establishment ecclesiastico, come Dorothy Day e Thomas Merton) e l’America delle libertà (Abraham Lincoln e Martin Luther King Jr.), senza limitarsi a fare la lista delle questioni problematiche classiche per il rapporto tra Chiesa e politica (in breve, le questioni di biopolitica).4 Francesco le ha citate, ma nel contesto più ampio del messaggio morale della Chiesa in una società pluralista come quella americana. Naturalmente questo è bastato ad alcuni per collocare il papa nello schieramento democratico contrapposto a quello repubblicano. L’elemento d’interesse del discorso del papa al Congresso è derivato anche dalla notizia, resa nota qualche ora dopo il suo svolgimento, delle dimissioni del presidente della Camera, il cattolico John Boehner (quello che era riuscito a portare il papa al Congresso), da anni ormai in balia di un partito repubblicano ostaggio del Tea Party e del radicalismo e libertarianismo antistatalista: a riprova delle difficoltà, anche per i cattolici “legge e ordine” come Boehner, di controllare l’estremizzazione del conservatorismo americano.


PAPA FRANCESCO E LA CHIESA AMERICANA

La questione è che l’estremizzazione del conservatorismo americano è analoga all’estremizzazione del conservatorismo cattolico americano. A quanto successo nella politica e nella società americane a partire dall’elezione di Reagan ha corrisposto nel cattolicesimo statunitense un cambiamento di rotta, guidato dal papato di Giovanni Paolo II prima e Benedetto XVI poi, grazie a una politica delle nomine episcopali indirizzata alla creazione di un episcopato “cultural warrior” contro la secolarizzazione e la liberalizzazione della società americana in materia di morale sessuale e di leggi sulle questioni della vita (aborto specialmente). Papa Francesco ha tenuto durante il viaggio americano una rotta molto accorta e cauta: sostegno ai vescovi americani (un gruppo dirigente isolato rispetto al corpo della Chiesa americana, sia rispetto al cattolicesimo progressista che a quello conservatore), ma anche un messaggio chiaro circa la visione di Chiesa del papa che non coincide con quella dei vescovi. Nel franco discorso all’episcopato del 23 settembre a Washington, Francesco ha parlato di una Chiesa aperta, solidale, attiva nel sociale ma non strumento nelle mani degli ideologi (tantomeno degli ideologi religiosi).

Il viaggio del papa è stato anche un modo per Francesco di parlare direttamente ai cattolici americani scavalcando il filtro dei vescovi e dei media (cattolici e non) che ancora stentano a comprendere la cultura e il linguaggio di Jorge Mario Bergoglio. L’opposizione dei vescovi americani al papa è cosa nota: basti guardare l’agenda delle ultime assemblee della conferenza episcopale per notare come un episcopato plasmato dal neoconservatorismo politico e dal neotradizionalismo teologico non abbia preso in considerazione il cambio di pontificato. Non tutti i vescovi americani sono antibergogliani: una piccola parte sono ideologi reazionari refrattari al cambiamento pastorale e dottrinale; la gran parte dei vescovi sono conservatori alle prese con una Chiesa reale che sanno essere diversa da quella ideale, e stanno imparando a negoziare tra la difficile eredità dei pontificati passati e una situazione sociale, economica e morale molto complessa come quella degli Stati Uniti di oggi; solo pochi vescovi sono sulla stessa lunghezza d’onda del papa. Il “corpo” della Chiesa cattolica americana è diviso, non semplicemente lungo linee ideologiche (metà dei cattolici vota democratico, metà repubblicano), ma ancora di più lungo linee sociali, economiche ed etniche. Il cattolicesimo bianco e ricco vota in grande maggioranza a destra, il resto vota a sinistra (se il Partito democratico americano si può ancora definire sinistra). Ma il dato dominante del cattolicesimo in America è la frammentazione: individualizzazione e “customizzazione” nel senso della creazione di profili individuali di cattolicesimo tutti diversi. Il libero mercato delle religioni in America ha giocato a favore del cattolicesimo come Chiesa tra le Chiese nel corso dell’ultimo mezzo secolo; ma ora il mercato si è aperto anche all’interno della Chiesa cattolica americana con la creazione di identità cattoliche molto diverse e spesso difficilmente compatibili tra loro.


IL “PROBLEMA AMERICANO” DI PAPA FRANCESCO

La Chiesa negli Stati Uniti è il volto energico di un cattolicesimo in crescita grazie alla componente latinoamericana immigrata – componente che non ha ancora trovato spazio adeguato all’interno di una Chiesa tuttora dominata dai ceppi irlandese, italiano, polacco, e che non si trova a proprio agio nelle divisioni ideologiche tipiche di un cattolicesimo spaccato in due come riflesso del sistema bipartitico della politica americana. L’elezione di un papa latinoamericano comporta una nuova autopercezione per la Chiesa nelle Americhe: per quella dell’America Latina, ma anche per la Chiesa a nord del Messico, che negli ultimi anni ha indebolito molti dei legami tra i cattolicesimi delle due sponde del continente che erano assai forti fino agli anni Ottanta e Novanta.

Ma l’elezione di Bergoglio rappresenta anche un rovesciamento dei fronti interni alla politica dottrinale vaticana e nei suoi rapporti con le Americhe. La vittoria teologico-politica della politica dottrinale vaticana sulla teologia della liberazione negli anni Ottanta aveva portato con sé anche l’eliminazione di uno dei temi del Concilio Vaticano II, ovvero i poveri.5 In questa temperie culturale ed ecclesiale si era inserita in modo particolarmente forte la Chiesa cattolica americana conservatrice di scuola reaganiana, ovvero quel cattolicesimo statunitense che tra il 1973 (sentenza della Corte Suprema di legalizzazione dell’aborto) e il 1980 (elezione di Ronald Reagan alla presidenza) si era spostato in buona parte dal Partito democratico (per quasi un secolo la casa politica naturale dei cattolici di recente immigrazione) al Partito repubblicano. Dalla fine degli anni Ottanta in poi il reaganismo cattolico ha investito anche le gerarchie americane e ha dato una spinta decisiva alla formulazione teologica delle “culture wars” tra le diverse anime della cultura americana e anche all’interno del cattolicesimo.6

Il partito cattolico vincente, quello conservatore e poi neoconservatore, aveva scelto due pilastri per la propria identità: un’anima pro-life antiabortista isolata dalla “questione sociale”, e una cultura economica orientata al libero mercato contro il settore pubblico e la regolamentazione del mercato da parte della politica. Nelle “guerre culturali” americane due ali si scontrano: quella liberal progressista, e quella conservatrice, entrambe sostanzialmente (ma in misura differente) dimentiche della grande tradizione del cattolicesimo sociale. Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI era stato agevole “cattolicizzare l’americanismo”, all’ombra della lotta senza quartiere lanciata contro l’americanismo liberal (teologia femminista, Chiesa meno monarchica, e soprattutto aborto-contraccezioneomosessualità) e grazie a una relativa indulgenza verso l’americanismo liberista (in economia). Con papa Francesco è diventato molto più difficile per il cattolicesimo americano continuare a invocare il magistero del papa per perpetuare non solo il trinceramento e la reciproca scomunica tra le due principali culture cattoliche statunitensi (quella conservatricerepubblicana e quella liberal del Partito democratico), ma anche il ruolo “eccezionale” (in senso positivo) degli Stati Uniti sulla mappa del mondo contemporaneo.

Quello che in Italia è il ridotto formato dal quotidiano “Il Foglio” e da propagandisti di un cattolicesimo tradizionalista, antiecumenico, socialmente e politicamente reazionario che si rifà a Charles Maurras, come Roberto de Mattei,7 in America è invece un vasto network di università e college cattolici resistenti contro ogni aggiornamento, di think tank e lobby ben finanziati e solidamente collegati all’episcopato, e di politici sinceramente convinti della necessità di un cattolicesimo tradizionalista per la salute morale dell’America e, tramite questa, della società occidentale. Per questo motivo il pontificato di papa Bergoglio è destinato a mutare la dinamica di tale scontro specialmente interno al cattolicesimo nordamericano, sulle questioni politiche e di giustizia sociale che negli ultimi anni avevano visto il magistero farsi associare molto di più alla scuola neoconservatrice che a quella sociale. Entrambi i fronti si trovano davanti un papa che non intuisce i parallelismi e le convergenze tra questi due fronti in termini di una privatizzazione e libertarizzazione della vita morale. I due fronti hanno risposto all’elezione di Bergoglio e alle novità da lui portate nei primi mesi in modo diverso: se la cultura liberal cattolica ha abbracciato le nuove enfasi di papa Francesco, il cattolicesimo neoconservatore ha reagito con evidente freddezza, se non sconcerto, specialmente nel suo quartier generale negli Stati Uniti. Rimane da vedere quanto la visita del settembre 2015 abbia cambiato le relazioni tra il Vaticano di Francesco e la Chiesa in Nord America. A giudicare dalle posizioni di molti vescovi americani al Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2015, resta molto lavoro da fare.

 

 


 

[1] M. Faggioli, Kim Davis e la trappola per Francesco, in “Huffington Post Italia”, 1° ottobre 2015, disponibile su www.huffingtonpost.it/massimo-faggioli/kim-davis-e-latrappola-per-francesco_b_8225682.html?utm_hp_ref=italy

[2] M. Massa, Catholics and American Culture: Fulton Sheen, Dorothy Day, and the Notre Dame Football Team, Crossroad Publishing Company, New York 1999.

[3] D. Remnick, The Bridge: The Life and Rise of Barack Obama, Vintage Books, New York 2010.

[4] S. Schloesser, Biopolitics and the Construction of Postconciliar Catholicism, in C. Denny, P. Hayes, N. Rademacher (a cura di), A Realist’s Church: Essays in Honor of Joseph Komonchak, Orbis Books, Maryknoll-New York 2015, pp. 147-66.

[5] P. Gauthier, La chiesa dei poveri e il concilio, Vallecchi, Firenze 1965.

[6] P. Steinfels, A People Adrift. The Crisis of the Roman Catholic Church in America, Simon & Schuster, New York 2003; M. Faggioli, Vatican II: The History and The Narratives, in “Theological Studies”, 4/2012, pp. 749-67.

[7] Solo un esempio in G. Ferrara, La sposa infedele, in “Il Foglio”, 21 settembre 2013.