Il web motore di sviluppo

Written by Diego Ciulli Monday, 13 July 2015 14:24 Print

Nonostante la spiccata vocazione all’export del nostro sistema produttivo solo una piccolissima parte delle aziende italiane utilizza internet come canale di vendita. Allo stesso modo, in pochi sembrano essere consapevoli del rilevante aumento di produttività che il maggiore utilizzo della tecnologia digitale potrebbe portare all’economia nazionale. Eppure, colmando il ritardo che l’Italia sconta nel percorso di digitalizzazione, si potrebbero generare in tempi rapidi buona crescita e nuova occupazione. Per farlo è però necessario, oltre agli interventi infrastrutturali indispensabili, creare consapevolezza diffusa di quanto il tema sia strategico per l’Italia e riorientare in tal senso il dibattito pubblico.

Secondo Vint Cerf – uno dei padri di internet – in futuro la rete sarà per l’economia e la società un po’ quello che è stata l’energia elettrica: non una tecnologia a sé stante, ma uno strumento in grado di cambiare radicalmente l’organizzazione del lavoro e lo stile di vita delle persone. Internet ha creato settori economici interamente nuovi, ma ha soprattutto cambiato il modo in cui cerchiamo informazioni, facciamo acquisti e progettiamo servizi e prodotti. Non ha senso parlare di “economia digitale” come un settore distinto, sarebbe meglio utilizzare questa espressione per descrivere tutta l’economia nella quale viviamo: ormai oltre il 75% del valore generato da internet viene catturato dalle aziende cosiddette tradizionali, o comunque appartenenti a settori diversi da quello del web. Se da un lato la rete ha contribuito alla nascita di interi nuovi business – come la cosiddetta app economy, che in Europa varrà 63 miliardi di euro e genererà 4,8 milioni di posti di lavoro entro il 2018 – dall’altro internet sta trasformando profondamente anche le attività più tradizionali, rendendo “digitali” tutti gli altri settori.

L’Italia sconta un ritardo molto grave nell’economia di internet. L’Unione europea analizza il livello di diffusione della tecnologia negli Stati membri attraverso l’indice DESI (Digital Economy and Society Index), tenendo conto della situazione di ciascun paese in materia di connettività, attività online e servizi pubblici digitali. Il nostro paese risulta venticinquesimo tra i ventotto Stati membri dell’UE, con un punteggio complessivo pari a 0,36, a poca distanza dall’ultimo classificato, la Romania, che totalizza 0,3. La testa della classifica ha un punteggio quasi doppio rispetto a quello italiano, con la Danimarca che totalizza 0,68. È chiaro che l’Italia deve ancora cogliere tutto il potenziale dell’economia di internet, e probabilmente dalla capacità di cogliere questo potenziale passerà una parte non marginale della ripresa economica. Analizzeremo qui due criticità del sistema economico italiano che possono essere affrontate con l’aiuto della rete: la ristrettezza del mercato interno e la scarsa produttività.

 

Internet per ampliare i mercati

5,1%: anche solo questo dato è sufficiente per capire quante opportunità di crescita può offrire il web all’economia italiana. Si tratta della percentuale delle PMI italiane che utilizzano internet come canale di vendita, appena una ogni venti. È davvero un dato incredibile se si considerano le condizioni – e i punti di forza – della nostra economia. L’Italia è per propria natura un paese esportatore, ma ancora oggi soltanto una frazione del nostro sistema produttivo è internazionalizzata: gli alti costi necessari per l’accesso ai mercati e l’incertezza del ritorno sugli investimenti hanno rappresentato un freno all’export per le PMI. Grazie a internet è possibile superare praticamente tutte le barriere che impedivano alle imprese più piccole di accedere a un mercato globale. In rete è anzitutto possibile analizzare i mercati di tutto il mondo basandosi su dati aggiornati in tempo reale, permettendo quindi di definire una strategia per l’internazionalizzazione a un costo praticamente nullo: sono infatti disponibili online numerosi dataset, strumenti gratuiti per le analisi finanziarie e applicazioni per comprendere chi sono e dove sono i potenziali clienti di ciascuna impresa. Ma non c’è solo la fase di analisi dei mercati e di definizione della strategia, il web è sopratutto uno strumento per avviare la propria attività sui mercati internazionali, anche qui a costi iniziali praticamente nulli: esistono infatti tantissimi marketplace (generalisti e specializzati); strumenti gratuiti per creare il proprio portale di commercio elettronico; oltre a innumerevoli piattaforme per farsi notare ed entrare in contatto con rivenditori o distributori. Infine, attraverso la rete, è possibile monitorare in tempo reale l’andamento degli investimenti. I bassi costi di ingresso e la possibilità di monitoraggio rendono l’internazionalizzazione online molto meno rischiosa rispetto a quella offline, aprendo questa possibilità anche alle realtà più piccole e favorendo così la concorrenza.

La scarsa propensione delle PMI a vendere online è paradossale, se si considera che i potenziali clienti sono già online: le ricerche su Google per parole chiave legate al made in Italy sono cresciute del 20% tra il 2011 e il 2014; ben l’80% dei consumatori tedeschi e il 73% dei francesi fa acquisti in rete. Questi numeri mostrano chiaramente il potenziale, un mercato che oggi solo il 5% delle nostre PMI è in grado di sfruttare. Non stupisce, in questo contesto, la storia dell’Azienda Agricola Montioni di Montefalco – che abbiamo incontrato durante il progetto Eccellenze in digitale. L’azienda, fondata nel 1978, ha migliorato la propria presenza online traducendo il sito in russo, giapponese, cinese e tedesco al fine di entrare in nuovi mercati, e ha visto registrare un incremento del fatturato del 30%. È prendendo spunto da storie come questa che l’Italia potrebbe elaborare una strategia di sviluppo: per struttura economica, tipologia di prodotto e brand, nel nostro paese potrebbero sorgere decine di migliaia di “micro-multinazionali”, che grazie alla rete vendono in tutto il mondo. Per far sì che ciò avvenga, serve anzitutto un grande mercato nel quale crescere con facilità.

Purtroppo, però, il mercato unico europeo è meno integrato nell’ambito digitale che in quello fisico – non a caso la Commissione ha individuato ben 16 linee d’azione in questo ambito – e sono forti le spinte per chiuderlo ulteriormente. L’Europa dovrà decidere se chiudersi per difendersi (sperando di rafforzarsi), come in una fortezza analogica, o aprirsi ancora di più valorizzando il meglio e aggiornando il suo migliore knowhow: la creatività innovativa. Solo il digitale consente di farlo in modo competitivo. Per l’Italia è strategica la realizzazione in tempi brevi del mercato unico digitale europeo, e strategico è il contrasto ai tentativi di ridurne la portata, al fine di mettere a disposizione delle nostre imprese i migliori strumenti per esportare all’estero, oltre che quelli per accrescere la produttività.

Internet per produttività e lavoro

La tecnologia è il principale strumento per accrescere la produttività. Se fino a metà anni Novanta la produttività cresceva in Europa più che negli Stati Uniti, dopo – con la diffusione dell’ICT – è avvenuto il sorpasso: ancora oggi la produttività del lavoro in Europa cresce meno che negli USA. In Italia la dinamica è particolarmente marcata. Il nostro paese è infatti tra gli ultimi in Europa sia per investimenti in tecnologia che per crescita della produttività, con evidenti ricadute sull’andamento generale dell’economia nazionale. Infatti, secondo uno studio di McKinsey, l’utilizzo di strumenti web può portare le PMI ad aumentare la produttività fino al 10%, mentre l’utilizzo di soluzioni cloud per l’organizzazione aziendale porta a una riduzione fino al 75% delle spese ICT nelle realtà più piccole. Se siamo convinti che per creare posti di lavoro di qualità non bastino le regole del mercato del lavoro, ma sia necessario invertire la dinamica della produttività delle imprese, la soluzione appare abbastanza evidente: puntare decisamente sulla digitalizzazione del nostro sistema produttivo, creando le condizioni economiche, culturali e regolatorie che permettano alle nostre imprese di beneficiare delle migliori tecnologie sviluppate nel mondo.

D’altronde è ormai ampiamente dimostrato che, almeno nel breve periodo e sebbene possa apparire controintuitivo, in un contesto come quello italiano il digitale e in generale la tecnologia sono leve per creare lavoro. Anzi, rappresentano il più importante strumento di creazione di occupazione oggi disponibile, non solo per i lavori ad alto contenuto tecnologico ma anche e soprattutto per i lavori che non necessitano di elevate competenze. L’economista Enrico Moretti, docente all’Università di Berkeley in California, ha dimostrato nel suo libro “La nuova geografia del lavoro” che negli Stati Uniti per ogni impiego ad alte competenze tecnologiche creato se ne generano, grazie a un effetto moltiplicatore, altri cinque – nella stessa realtà locale e diffusi praticamente in ogni altro settore dell’economia. Lo stesso fenomeno è stato osservato anche in Europa, dai ricercatori dell’Università Cattolica di Lovanio, sebbene con un moltiplicatore più basso, pari a 4,3. Investire sulla diffusione della tecnologia genera occupazione anche per chi non lavora nei settori tecnologici, quindi l’innovazione è uno strumento di crescita occupazionale per tutta la società. In Italia, grazie al combinato disposto tra alta disoccupazione e basso utilizzo del web, questo effetto può essere particolarmente forte. Il professor Marco Simoni della London School of Economics ha calcolato che se l’Italia avesse una diffusione di internet – intesa come utilizzo da parte di cittadini, imprese e PA – pari a quella della Francia, si avrebbero ogni anno 186.000 posti di lavoro in più, e diverrebbero 270.000 se raggiungessimo la diffusione di internet presente in Olanda.

 

Un grande potenziale

In definitiva, siamo di fronte a un ritardo che può, se adeguatamente affrontato, trasformarsi in un grande potenziale. Attraverso la spinta sulla digitalizzazione è possibile generare crescita e occupazione nel breve periodo. Infatti, non esiste alcuna ragione strutturale o difficilmente modificabile che impedisca all’Italia di allinearsi ai principali paesi europei e cogliere i vantaggi dell’economia di internet – nonostante i ritardi nella diffusione dell’infrastruttura. Spesso si tende a imputare il ritardo digitale del paese alla carenza di rete a banda larga ma, sebbene il tema dell’infrastruttura di rete sia urgente e rappresenti giustamente una priorità, questo non impedisce di cogliere adesso molte delle opportunità dell’economia di internet. Il freno principale è un altro, ed è ben sintetizzato da un dato cui si fa cenno nella strategia per la crescita digitale pubblicata dal governo: il 40% degli imprenditori crede che internet non serva alla propria impresa; semplicemente, lo reputano inutile per la loro attività economica.

Non è quindi solo un problema di infrastruttura. C’è soprattutto la necessità di costruire consapevolezza e di riorientare il dibattito pubblico su questi temi. La spinta all’adozione delle tecnologie dell’intero sistema economico deve essere una strategia per la modernizzazione del paese e la crescita economica, da attuare prima di tutto contrastando le paure e promuovendo la consapevolezza di quanto il tema sia strategico per l’Italia.

Dopo la cultura digitale, vengono le competenze. La Commissione europea ha da tempo lanciato l’allarme: entro il 2020 ben 900.000 posti di lavoro rischiano di restare vacanti a causa della carenza di competenze digitali. In Italia questa contraddizione è ancora più stridente, e assume i caratteri del paradosso se si guarda agli altissimi tassi di disoccupazione giovanile. Le competenze digitali chiaramente non hanno a che fare con l’età, ma è evidente che i più giovani hanno mediamente più familiarità con la rete, e buona parte delle storie di successo che incontriamo hanno a che fare con il ricambio generazionale in azienda. È quindi impossibile non vedere una correlazione tra la scarsa consapevolezza dell’importanza del digitale da parte dei nostri imprenditori (il 40% di cui si parlava sopra) e la loro elevata età media.

Per questo abbiamo iniziato a lavorare intorno all’idea di trasformare i giovani nei “digitalizzatori” delle PMI italiane, come chiave per promuovere allo stesso tempo innovazione nel sistema produttivo e inserimento professionale. Quest’idea è diventata, grazie al ministero del Lavoro e delle politiche sociali e in partnership con Google e Unioncamere, un’iniziativa ambiziosa nell’ambito di Garanzia Giovani. L’abbiamo chiamata Crescere in Digitale, e si pone l’obiettivo di mettere a disposizione di tutti gli oltre 500.000 giovani che non studiano né lavorano (NEET) un percorso formativo gratuito sulle competenze digitali di base per le PMI, in modo da favorirne l’occupabilità. Successivamente verranno attivati almeno 3000 tirocini attraverso i quali promuovere uno scambio virtuoso tra NEET e imprenditori, con i primi ad aiutare i secondi a muovere i primi passi sul web, creandosi al contempo una professionalità che potrà essere utile in azienda, e magari convertirsi in un posto di lavoro.

Si tratta di un’iniziativa che si pone l’obiettivo di affrontare il nodo a nostro avviso centrale: l’Italia fatica a cogliere le opportunità dell’economia di internet perché fatica a comprenderla. La chiave sta nel creare consapevolezza, diffondere competenze, fornire orizzonti e obiettivi. Bisogna guardare al web senza paura, con serietà e ottimismo, come uno straordinario strumento per creare nuove aziende, far crescere quelle che ci sono e creare lavoro.