Il Papa “verde” contro il clima impazzito

Di Monica Frassoni Martedì 14 Dicembre 2021 16:37 Stampa
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Il 29 ottobre scorso in un messaggio per la BBC Radio 4 “Thought for the Day”, papa Francesco ha ancora una volta invitato il mon­do a fornire “risposte efficaci” al cambiamento climatico al COP26 e offrire “una speranza concreta” alle generazioni future. Dopo un G20 centrato sulla sfida climatica, ma purtroppo molto diviso, e una COP26 a Glasgow ad alto rischio fallimento, il papa ha ancora una volta messo tutto il suo peso spirituale, politico, culturale nella bat­taglia per battere il clima impazzito; ha esortato il mondo a rispon­dere con visione e decisioni radicali, in modo da non “sprecare le opportunità” che le sfide attuali presentano, e affermando che siamo di fronte a una scelta: «Possiamo affrontare queste crisi ritirandoci nell’isolazionismo, nel protezionismo e nello sfruttamento» oppure possiamo vedere in esse «una reale possibilità di cambiamento».

Questa è la linea con la quale papa Francesco ha deciso di caratte­rizzare il suo pontificato, prendendo posizione sul tema dei cambia­menti climatici e ribadendo in ogni occasione l’obbligo di affrontarli non solo per ragioni ambientali, ma anche di giustizia, per lottare contro crescenti diseguaglianze e abusi di potere, per assicurare uno sviluppo umano e spirituale in armonia con la natura, anche per le future generazioni. La sua enciclica “Laudato si’, sulla cura della casa comune”, pubblicata nel giugno del 2015, anche per la sua radicalità e completezza, ha avuto un impatto senza precedenti nel dibattito pubblico, ben al di là della comunità cattolica; ha sicuramente influ­ito sul positivo risultato della COP21 e sulla sottoscrizione dell’Ac­cordo di Parigi, nel quale per la prima volta tutti i paesi del mondo hanno riconosciuto la necessità di agire per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C, puntando a 1,5°C entro la fine del secolo. La stragrande maggioranza degli scienziati1 aveva già stabilito da tempo un legame diretto tra l’azione umana, le emissioni climal­teranti e il riscaldamento globale; ma il fatto che una personalità così influente non solo la riconoscesse, ma indicasse anche l’assoluta necessità di agire per affrontarne gli effetti catastrofici di distruzio­ne degli ecosistemi e per mitigarne le conseguenze disastrose sulla vita dei miliardi di esseri umani vulnerabili e poveri ha rappresentato una vera e propria scossa per la comunità internazionale. Il papa ha esteso alla “cura della casa comune” l’etica cattolica, portando anche moltissime persone che non si erano mai davvero occupate del tema a scoprirne la gravità e imminenza. Per noi ecologisti, anche non credenti come la sottoscritta, l’enciclica ha rappresentato un potente sostegno, per l’originale idea di una “ecologia integrale” offerta da un grande leader religioso, nel quale la natura, in quanto dono di Dio, non è solo una appendice o una “cornice” dell’umano, ma ha un valore in sé: la distruzione della biodiversità crea un “debito eco­logico” eticamente inaccettabile, che deve essere ripianato attraverso un cambio radicale di sistema produttivo e dei consumi; e allo stesso tempo tutelarla in modo “integrale” significa anche operare a tutti i livelli per garantire diritti e giustizia sociale, perché alla preoccupa­zione per la natura deve sempre collegarsi quella per l’umanità. Di questo tutte le religioni si devono occupare.

Così ad esempio il diritto fondamentale all’acqua è direttamente col­legato non solo al dovere di non sprecarla e di mantenerne la qualità, ma anche al rifiuto della cultura dello “scarto” e del profitto a tutti i costi. Il richiamo nell’enciclica non è dunque solo rivolto ai credenti o agli individui, pur se una parte importante è dedicata al valore della sobrietà “felice” e alla “convenienza” di essere buoni e onesti. Essa si rivolge ai governanti, ai potenti, che non manca di criticare per la loro mancanza di risultati, dato che solo cambiando profondamente tutte le regole del gioco, dalle leggi alle logiche di mercato e finan­ziarie, si potrà rispondere al «grido della Terra e dei poveri» come ha ripetuto il papa anche in occasione dell’apertura della COP26, e prendere il ruolo di «amministratore responsabile dell’Universo», consapevole della sua preziosa bellezza e del suo posto nel mondo: ci vuole insomma una governance globale per gestire beni comuni anch’essi globali e che sappia agire con tempestività: come è successo con la crisi finanziaria del 2008, che ha messo a disposizione enormi risorse che hanno salvato le banche, ma hanno avuto ricadute in­sufficienti sulla qualità di vita delle persone e sull’ambiente. Molto interessante – in un tempo in cui sono ancora numerosi, ivi inclusi importanti esponenti del nostro governo, quanti sostengono che sarà la tecnologia a risolvere i nostri problemi e che dunque non c’è alcu­na necessità di cambiare i nostri comportamenti e il nostro modello economico –, il ragionamento sulla “globalizzazione del paradigma tecnocratico” e sulla necessità di mettere la scienza e la tecnologia al servizio dello sviluppo umano e della tutela del pianeta. Non c’è traccia dello scetticismo che ha per secoli opposto scienza e religione nelle parole di Francesco, che anzi ne loda perfino la “bellezza”. Ma esse sottolineano come una delle cause della crisi ecologica sia esatta­mente la volontà di dominio sul mondo e le sue risorse attraverso una tecnologia cieca e senza valori, una concentrazione di potere “tecni­co” eccessivo in poche mani e un’ecologia superficiale e inefficace.

Al di là di alcune conclusioni che richiamano alla dottrina cattolica (a partire dall’aborto), l’enciclica non rimane sui massimi sistemi ma prende posizione anche su temi molto concreti e controversi, dagli OGM alla corruzione, alla finanza rapace, mettendoli in diretta con­nessione – questa è la novità – con l’urgenza climatica ed esortando a un impegno pieno di speranza, come era pieno di speranza San Francesco quando nel commovente cantico “Laudato si’” inneggiava alle meraviglie del creato.

Allo stesso tempo, come ben spiegano Giacomo Costa e Paolo Fo­glizzo su “Aggiornamenti sociali”, «la Laudato si’ non è un testo da imparare, perché non è la trattazione compiuta e definitiva di un tema, ma è la fonte di ispirazione e il quadro orientativo di un pro­getto che si chiarisce via via che lo si mette in atto».2 E in effetti, solidarietà globale, l’urgenza di una efficace azione di governo a tutti i livelli, mondiale ma anche locale e vicina ai bisogni delle persone e in particolare ai più poveri, l’interdipendenza fra tutte le grandi sfide del nostro tempo, dal clima alla povertà, dallo sfruttamento della natura a quella dell’uomo, dall’educazione per tutti e tutte a una tec­nologia davvero al servizio delle persone, sono emersi come priorità irrinunciabili durante i tempi così difficili del Covid-19.

A sei anni dall’enciclica, quale impatto ha avuto l’azione del ponte­fice sul dibattito e soprattutto sulla battaglia contro il riscaldamento globale e i suoi effetti?

Senza dubbio, dopo Parigi, il papa non ha risparmiato parole e mo­niti, ha avviato un dialogo interconfessionale su questo tema, ne ha parlato nel corso delle sue visite pastorali e non ha mancato di in­tervenire in ogni occasione utile. Possiamo anche dire che parlare della sfida climatica come ha fatto il papa, davvero urbi et orbi con contenuti culturali e politici, oltre che religiosi, togliendola dallo stretto ambito della difesa dell’ambiente è stato anche un potente alleato per la diffusione glo­bale del movimento degli studenti per il clima del movimento dei Fridays for Future. Il papa ha voluto incontrare Greta Thunberg nel 2019 e ha sostenuto apertamente gli scioperi per il clima e la grande mobilitazione che ne è seguita. Il Gre­en Deal europeo, il grande programma di leggi e risorse che stanno accompagnando la UE ver­so la neutralità climatica entro il 2050 lanciato da Ursula von der Leyen nel 2019, è figlio delle denunce inequivocabili e sempre più frequenti della scienza sull’accelerazione dei fenomeni climatici, della mobili­tazione dei giovani e di una parte sempre crescente della politica, ma deve molto anche all’influenza del papa.

Tutto ciò detto, dal 2015 a oggi le emissioni hanno continuato a crescere, come anche gli investimenti in carbone, gas e petrolio3 e mettendo insieme tutti gli impegni finora annunciati di riduzione di emissioni, siamo avviati a una crescita delle temperature di quasi 3°C.

E su questo il papa, come le grandi manifestazioni dei giovani o la scienza, paiono avere meno presa sui governi e i media che le cor­porazioni dell’agroindustria o le grandi imprese energivore – Eni in Italia –, che non hanno alcuna intenzione di cambiare strada e posso­no agire al riparo di strutture democratiche deboli, poco trasparenti, di eletti/e scelti/e sulla base di priorità, che non sono né il clima né un’economia verde. Anche le forze ecologiste nelle stanze dei bottoni sono ancora troppo poche per riuscire ad avere l’impatto che dovreb­bero. In ancora troppo pochi paesi – e sicuramente non in Italia – il clima è un elemento importante della costruzione del consenso e la maggioranza dei media preferisce occuparsi degli umori di questo o quel leader o fare da megafono ad argomentazioni quando non direttamente negazioniste sicuramente manipolatorie (dalla necessità di investire ancora sul gas ai costi delle rinnovabili) invece che stu­diare sul serio questi fenomeni e l’urgenza di una reazione efficace. La crescente debolezza delle democrazie, che sanno difendere sempre meno i diritti delle persone dentro e fuori i loro confini e non paiono più in grado di risolvere conflitti e problemi, gli attacchi ai difensori dell’ambiente e dei diritti umani, le restrizioni alla libertà di stampa, la riduzione della qualità della scuola, il rafforzamento degli auto­crati e la costante crescita delle diseguaglianze fanno da corollario al peggioramento costante della salute del pianeta e, come denuncia il papa, sono fra le sue cause.

Uno sconsolato Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, espri­meva bene la frustrazione di fronte a un allarme sempre più incessante e un’azione sempre meno incisiva a tutti i livelli, dicendo, arrivando al G20 di Roma: «stiamo andando dritti all’inferno con un biglietto di sola andata» e la sua dichiarazione dopo il summit («me ne vado insod­disfatto ma non senza speranza») è parsa più una affermazione formale che sincera. I piccoli passi del G20 di Roma e della COP26 a Glasgow, dall’impegno a mantenere viva la prospettiva di limitare il riscaldamen­to globale a 1,5°C ai mille miliardi di alberi da piantare entro il 2030, sono importanti visti nel contesto del peso di governi reazionari e fossi­li sulla scena internazionale e delle esitazioni del fronte occidentale, ma sono davvero poca cosa rispetto a ciò che si dovrebbe fare.

Il punto è esattamente questo: il gap fra la realtà e le azioni concrete; fra l’urgenza di intervenire con soluzioni perfettamente possibili e pianificabili e l’inerzia di un atteggiamento dilatorio, la pervasività di imprese irresponsabili che continuano a puntare su gas e petrolio e la connivenza con una parte troppo importante delle amministra­zioni pubbliche e dei governi, il persistere di messaggi confusi, che rendono impossibile capire per la gran parte della opinione pubblica, impaurita davanti a fenomeni che non sa decifrare, anche a causa di una assoluta mancanza di informazione di qualità, che non sarà l’uscita dalla dipendenza dai combustibili fossili a essere “un bagno di sangue” ma proprio l’illusione di rallentarla.

Come ha ben spiegato Lord Attenborough con un efficace messag­gio4 all’apertura della COP26 a Glasgow, c’è un numero che non mente: dobbiamo tenere la concentrazione di carbonio in atmosfera sotto le 350 parti per milione (oggi siamo a 412) se vogliamo evitare le conseguenze catastrofiche e irreversibili che già sono sempre più visibili non solo in atolli lontani ma anche qui e ora. Eppure lo spa­zio per ribaltare la situazione c’è, come ripete anche il papa. Le cose da fare appaiono scomode perché impongono un cambia­mento, non sono facili, toccano interessi potenti, richiedono un’a­zione immediata a livello globale e locale, una convinzione grani­tica, una buona organizzazione, una reale capacità di comunicare e convincere; ma sono note e fattibili: installare rinnovabili laddove è efficace e opportuno, in­vestire massicciamente in ricerca per migliorare gli accumuli e ridurre l’impatto ecologico delle batterie e dei materiali che si usano per costruirle e farle funzionare; puntare su risparmio energe­tico nei trasporti, nell’industria, nell’agricoltura e nell’edilizia (è possibile con tecnologie esisten­ti ridurre di 10 volte il consumo energetico di una casa); spostare su attività sostenibili in tempi rapidi e badando alle conseguenze su lavorato­ri e imprese le ingentissime risorse devolute dai bilanci pubblici ai fossili (in Italia 34 miliardi all’anno), formando allo stesso tempo i lavorato­ri e le lavoratrici e sostenendo direttamente chi è più vulnerabile; abbandonare i contributi a pioggia per risponde­re al caro bolletta e che costano miliardi allo Stato, mantengono lo status quo e arricchiscono le grandi utilities fossili; lasciare da parte i grandi progetti di infrastrutture assolutamente inutili, dal Ponte di Messina a nuove autostrade e tunnel, investendo invece nelle cit­tà, nella cura del territorio e nell’adattamento ai fenomeni meteo­rologici incontrollabili che vedremo piombarci addosso sempre più frequentemente. Questo imporrebbe naturalmente ascoltare davvero papa Francesco e smettere di dare spazio agli affabulatori che attri­buiscono l’aumento dei costi delle bollette ai costi del “green” invece che a quelli della nostra dipendenza dai produttori di gas e petrolio o ai ritardi nell’installazione di efficienza e rinnovabili (in Italia siamo a 0,8 GW all’anno quando ce ne vorrebbero 8); bisognerebbe non farsi distrarre dai sogni di un “nuovo” nucleare, che non esiste né esisterà per i prossimi decenni: è comunque molto costoso e non ha risolto nessuno dei problemi, dalle scorie alla sicurezza, che ne hanno determinato o ne stanno determinando l’uscita a furor di popolo da gran parte dell’Europa occidentale, Italia compresa, e lo stanno mettendo fuori mercato ovunque; perché per realizzare il sogno della“Laudato si’”, dei ragazzi dei Fridays for Future e dei tanti e tante che vorrebbero una prospettiva positiva di una vita migliore, c’è ancora tanto bisogno di discutere, di chiarire, di scegliere. C’è bisogno di democrazie aperte e libere che sappiano decidere e darsi gli strumenti per realizzare le loro decisioni negli interessi dei loro cittadini/e, ma anche della comunità globale. Non ci sono soluzioni miracolo e non ci sarà nessuna trasformazione positiva verso un mondo sostenibile e giusto senza l’attivo coinvolgimento di tutti e tutte.


[1] D. Nield, Over 99.9% of Studies Agree: Humans Have Caused Climate Change on Earth, in “Science Alert”, 21 ottobre 2021, disponibile su www.sciencealert.com/over-99-9-percent-of-studies-agree-humans-have-caused-climate-change.
[2] G. Costa, P. Foglizzo, Cinque anni con la Laudato si’, in “Aggiornamenti sociali”, maggio 2020, disponibile su www.aggiornamentisociali.it/articoli/cinque-anni-con-la-laudato-si/.
[3] Troppi investimenti in gas e petrolio: così si rischia di fallire sul clima, in “Qualenergia”, 24 aprile 2019, disponibile su www.qualenergia.it/articoli/troppi-investimenti-in-gas-e-petrolio-cosi-si-rischia-di-fallire-sul-clima/.
[4] Sir David Attenborough gives statement at COP26 climate summit in Glasgow, 1° no­vembre 2021, disponibile su www.youtube.com/watch?v=TmlUX4mnNY4.