Beni comuni

Di Giorgio Resta Mercoledì 29 Maggio 2013 12:15 Stampa

“Beni comuni” è una formula che, pur vantando una nobile tradizione nella cultura giuridica occidentale, sembrava sino a poco tempo fa caduta nell’oblio o, comunque, destinata a una sostanziale irrilevanza pratica. Pochi ricordano, ad esempio, che il Code Napoléon del 1804 dedica alla categoria delle choses communes un’apposita disposizione, l’articolo 714, la quale sancisce l’esistenza di «cose che non appartengono ad alcuno e il cui uso è comune a tutti», rimettendo alle lois de police il compito di regolamentarne le modalità di fruizione. Tale norma è rimasta a lungo avvolta in un cono d’ombra, tanto da meritare non più di qualche cenno fugace da parte di commentatori e trattatisti. Ciò, ovviamente, non è il frutto di mera disattenzione, ma è il rifl esso puntuale e coerente di un preciso assetto istituzionale, figlio della modernità giuridica, incentrato sulla riduzione dei modelli di appartenenza a due schemi fondamentali,
simmetrici e contrapposti: la proprietà pubblica e la proprietà privata.

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