"Anziano a chi?". Le nuove età della vita

Di Alessandro Rosina Martedì 28 Maggio 2013 16:20 Stampa

Da un secolo e mezzo circa a questa parte l’aspettativa di vita delle nuove generazioni è superiore di alcuni anni rispetto a quella dei genitori, tanto che oltre la metà di quanti nascono oggi raggiungerà la soglia dei 100 anni. Le stagioni che hanno subito una maggiore dilatazione sono quelle della giovinezza e, più recentemente, dell’anzianità, che viene ormai suddivisa dai demografi in tre fasi. Quella dei 60 anni diventa così la parte della vita potenzialmente più soddisfacente. Occorre allora attrezzarsi per godere delle opportunità che essa offre e minimizzarne i rischi e, soprattutto, mantenersi attivi il più a lungo possibile.

LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA 

È in corso una rivoluzione silenziosa destinata a cambiare permanentemente il modo in cui viviamo, incidendo in forma più marcata e profonda rispetto a qualunque guerra o sovvertimento di regime del passato. Non ne percepiamo pienamente la forza e la portata solo perché si sta realizzando lentamente nel tempo, ma si tratta di un mutamento implacabile nella sua azione e permanente nei suoi esiti.

Il nostro sguardo è tutto concentrato sul presente. Le variazioni che contano, che si impongono maggiormente alla nostra attenzione, sono quelle più brusche e vicine a noi. Questo accade soprattutto nelle società moderne avanzate, nelle quali le persone sono immerse in un mondo sempre più complesso e frenetico. Facciamo molte più cose nella stessa unità di tempo rispetto alle società del passato, siamo soggetti a più stimoli e siamo forzati a reagire in modo continuo. La grande crisi economica, politica e di fiducia che stiamo attraversando ci porta a concentrarci sulla contingenza per far fronte ai rischi più immediati. Siamo come chi sta viaggiando in treno ed è tutto preso dai movimenti all’interno dello scompartimento, anche se il movimento di maggior portata è quello di cui si prende coscienza solo quando si guarda fuori dal finestrino. Agiamo nel vagone esattamente come se fossimo all’interno di una sala di attesa o nel nostro ufficio, ma quello che conta veramente è dove ci porta il treno.

Per rimanere allora nella metafora: quando siamo saliti su questo treno? Sembra sia avvenuto poco più di un secolo e mezzo fa, quando è iniziato il grande cambiamento che va sotto il nome di “transizione demografica”. Fino ad allora nel corso della lunga storia umana le età della vita erano rimaste sostanzialmente immutate. C’era l’infanzia e c’era l’età adulta, da sempre le due fasi principali della vita dell’uomo e di qualunque altra specie animale. Ciò che distingue questi due stadi è il grado di autonomia e responsabilità di cui si dispone: pieno nella seconda, praticamente assente nella prima. Entrambe sono condizioni relativamente stabili, ma delimitate nel tempo. Gli adulti via via invecchiano ed escono di scena, nel frattempo i bambini crescono e prendono il posto della generazione dei genitori nella società. Questa evoluzione corrisponde al ricambio generazionale ed è alla base della dinamica demografica e, per il genere umano e solo per esso, del mutamento sociale.

Queste due fasi erano nel passato come due grandi stanze che dividevano in modo netto la popolazione. C’erano poi due corridoi angusti che corrispondevano a fasi di passaggio da compiere senza perdere troppo tempo. Il primo corridoio dalla stanza dell’infanzia portava a quella della vita adulta, e si chiamava giovinezza. Il secondo dalla stanza adulta portava verso l’uscita defi nitiva, e si chiamava vecchiaia. La durata di vita era comunque mediamente molto breve a causa degli alti rischi di morte a tutte le età, che producevano un elevato tasso di uscite precoci. Già ai 15 anni arrivava meno della metà dei nati. Tra quanti, poi, raggiungevano tale traguardo, solo una minoranza riusciva a compiere integralmente tutto il percorso dell’età adulta. Pochi quindi diventavano anziani e vi arrivavano in condizioni di salute precarie. Messi assieme tutti questi rischi, la lunghezza media dei percorsi di vita era poco sopra i 30 anni. Chi superava la fase infantile poteva, comunque, ragionevolmente sperare di arrivare ai 65-70 anni. Gli over 70 erano come gli ultracentenari di oggi.

Questa era ancora la condizione tipica nei primi decenni di Unità d’Italia. Fino ad allora un bambino che guardava il nonno sessantenne vedeva rispecchiato quello che anche egli sarebbe diventato alla stessa età, nella fortunata ipotesi di arrivarci. Arrivare a 60 anni all’epoca di Napoleone non era molto diverso rispetto a raggiungere tale età all’epoca di Cesare. Poi la transizione demografi ca ha rivoluzionato quel mondo immobile, attivando un processo di progressivo aumento che da allora non si è più fermato.1

 

TUTTO CAMBIA

Così oggi, a differenza del passato, ogni nuova generazione sta aggiungendo una sua alterazione rispetto al metro di misura della precedente, facendo saltare i criteri di diretta e immediata comparabilità. A pari età si è in media più giovani rispetto a tutte le generazioni precedenti. Rispetto ai genitori, ogni generazione aggiunge circa 7-8 anni di vita. Un bambino vede nel nonno sessantenne quello che egli diventerà non alla stessa età, ma a 75 anni.

La probabilità, per un bambino che nasce oggi, di interrompere il proprio percorso di vita in età infantile o adulta si è praticamente annullato nel corso dei primi tre quarti del XX secolo. Negli ultimi decenni del XX secolo i guadagni di sopravvivenza si sono via via estesi oltre l’età convenzionalmente adulta. Tanto che, se ancora all’inizio del XX secolo meno di una persona su dieci arrivava a superare gli 80 anni, all’inizio del secolo in corso tale meta è diventata, per la prima volta nella storia dell’umanità, un’impresa alla portata dei più, realizzata infatti da più della metà degli uomini e da oltre il 70% delle donne. Continuando con questi ritmi, si può prevedere che per la prima volta nella storia dell’umanità sia apparsa sulla terra la generazione che vedrà la maggior parte dei suoi membri superare i 100 anni: oltre la metà di chi nasce oggi è destinato a diventare ultracentenario.

Stiamo quindi sempre di più colonizzando il secondo secolo di vita e mettendo basi solide per rimanerci a lungo. Da quando è iniziata la grande cavalcata verso frontiere sconosciute, la longevità non ha più smesso, tranne casi particolari, di guadagnare nuovi spazi. L’allungamento dell’aspettativa di vita è, del resto, un processo che non ha sostanzialmente più smesso anche di autoalimentarsi: quantità e qualità di vita della generazione dei genitori hanno sinora contenuto in sé le condizioni per un ulteriore incremento nel la generazione dei figli. Questo significa che non solo non valgono più le soglie anagrafi che usate in passato per delimitare le varie stagioni della vita, ma che ogni generazione deve continuamente aggiornarle rispetto a quella precedente.

I cambiamenti maggiori dal secondo dopoguerra ad oggi hanno interessato soprattutto la fase giovanile. Da corridoio stretto che fungeva da anticamera per chi era in attesa di entrare in età adulta, essa è diventata un salotto comodo e accessoriato dal quale si posticipa sempre di più l’uscita. Tanto si è allargata tale fase da imporre d’essere sdoppiata. Dopo l’età propriamente giovane, che arriva fino ai 25 anni, e prima dell’età pienamente adulta, che si è spostata oltre i 35 anni, si è fatta spazio la mezza stagione “giovane-adulta”. Questa fase è caratterizzata dal processo di conquista di una totale indipendenza dalla famiglia di origine, dalla stabilizzazione del percorso professionale e dalla formazione di una propria famiglia. Tappe cruciali della transizione allo status di adulto, vissute in passato tipicamente prima dei 25 anni e ora sempre più posticipate verso i 30 e oltre, come conseguenza non solo del prolungarsi della fase formativa, ma anche delle incertezze e della complessità delle società moderne avanzate, che inducono una continua sperimentazione e rimessa in discussione delle proprie scelte nell’acquisizione dei ruoli e delle responsabilità della vita adulta.2 Questo è quanto è avvenuto dagli anni Settanta ad oggi. I cambiamenti più recenti riguardano, invece, l’età matura e, in particolare, la sempre più estesa parte della vita che segue la stagione pienamente adulta e precede quella del congedo finale.

 

LE NUOVE SOGLIE DELL’ETÀ ANZIANA

Il fatto è che non esiste più un’età univoca che determina l’entrata in età anziana. Un valore indicativo in passato era quello dei 60 anni, elevato successivamente nella costruzione di indicatori demografi ci, almeno relativamente ai paesi più avanzati e longevi, a 65. È, infatti, comune dopo tale età non avere più il vincolo stringente degli impegni di lavoro più gravosi e delle responsabilità familiari verso figli minorenni, che ca-ratterizzano la fase piena dell’età adulta. L’uscita da tale condizione non corrisponde a uno specifico evento che accade per tutti allo stesso modo e alla stessa età, va piuttosto considerata un processo che si realizza progressivamente lungo una parte sempre più rilevante del corso di vita. Il pensionamento è senz’altro una tappa chiave all’interno di tale processo, ma corrisponde sempre meno a una discontinuità netta tra un prima e un dopo. Inoltre, tale età tende a diventare una soglia flessibile, che può essere anticipata o posticipata all’interno di una finestra sempre più ampia.

All’interno della componente anziana è cruciale distinguere tra “giovani anziani” e “grandi anziani”. Anche qui la soglia tra le due fasi non è univoca. Viene usualmente posta a 80 anni, ma più recentemente è stata spostata verso gli 85. È questa infatti l’età in cui la maggioranza della popolazione si trova in condizione di non piena autonomia ed è più destinataria di aiuti che in grado di fornirne. Ma a invecchiare è anche la popolazione in età attiva. Sempre più attenzione viene dedicata ai cosiddetti “lavoratori anziani”. La necessità, da un lato, di cogliere come opportunità il fatto di vivere più a lungo e in buona salute e, dall’altro, di rendere maggiormente sostenibile il rapporto tra anziani inattivi e occupati ha accresciuto l’interesse verso politiche in grado di potenziare l’occupazione degli over 55.3 Il tasso corrispondente in Italia è, in particolare, ancora troppo basso (attorno al 38% nel 2011 contro una media UE a 27 di quasi dieci punti più elevata). Parlare di lavoratori “anziani” appare, comunque, poco appropriato per definire la condizione di persone a cavallo tra i 50 e i 60 anni. Sarebbe più adeguato parlare di lavoratori “senior” o “maturi” o “tardo-adulti”.

In definitiva, arrivati ai 60-65 anni, a differenza del passato, ci si trova ancora lontani dall’ingresso nel viale del tramonto. Si hanno, infatti, davanti ancora altre tre fasi della vita: quella dei “giovani anziani”, che arriva fino ai 75 anni, quella propriamente anziana, collocabile tra i 75 e gli 85 anni, e infine quella dei “grandi anziani”, concentrata dopo gli 85. Non solo. Quella dei sessantenni è destinata a diventare la stagione della vita potenzialmente più interessante e appagante. Si gode ancora di un’ottima salute, si ha un’aspettativa di vita di almeno un quarto di secolo davanti, ci si sente pieni di energie e voglia di fare, si possiede esperienza e ampio network sociale. Sempre più, nei prossimi decenni, arriveranno a tale età generazioni con elevati titoli di studio e competenze sulle nuove tecnologie digitali.

Bisogna, però, prepararsi individualmente e attrezzarsi socialmente per predisporre le condizioni che consentano di godere al meglio delle opportunità che apre tale stagione della vita e ridurne i rischi.4 La questione non deve tanto essere quella di chiedersi fino a quanti anni in più si debbano far lavorare le persone, ma quella di fornire strumenti concettuali e operativi che favoriscano la possibilità di rimanere attivi il più a lungo e piacevolmente possibile: che poi sia il prolungamento del lavoro che si faceva a 40 anni, o un nuovo lavoro, o fare attività di volontariato, o riscoprire e coltivare una passione personale, o tutto assieme non conta. L’importante è avere in mente che non esiste più un’età (valida per tutti e valida per sempre) per mettersi da parte. Ognuno è chiamato a valutare i tempi giusti, cercando non solo di dare il meglio più a lungo, ma preparandosi anche a un efficace passaggio di testimone con chi verrà dopo.

 


 

[1] A. Rosina, M. L. Tanturri, Goodbye Malthus. Il futuro della popolazione dalla crescita della quantità alla qualità della crescita, Rubbettino, Soveria Mannelli 2011.

[2] G. Cordella, S. E. Masi (a cura di), Condizione giovanile e nuovi rischi sociali. Quali politiche?, Carocci, Roma 2012.

[3] T. Treu (a cura di), L’importanza di essere vecchi. Politiche attive per la terza età, il Mulino, Bologna 2012.

[4] A. Rosina, L’Italia che non cresce. Gli alibi di un paese immobile, Laterza, Roma-Bari 2013.

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