Dopo il voto europeo, un’agenda economica per l’UE

Di Paolo Guerrieri Martedì 23 Luglio 2019 11:26 Stampa


IL VOTO E LA RICHIESTA DI CAMBIAMENTO

La fotografia complessiva dei risultati delle recenti elezioni europee è abbastanza chiara. Il dato sicuramente più sorprendente è l’elevata partecipazione al voto (con l’eccezione dell’Italia), la più alta dopo le prime elezioni europee che si svolsero quarant’anni fa. La tanto temuta spallata sovranista e populista non si è verificata. Gli euro­scettici si sono fermati a poco meno di un quarto dei seggi, e questo nonostante i grandi errori commessi nella conduzione delle politiche europee in questi anni.

Ancora, l’avanzata di liberali e verdi, questi ultimi sorretti soprattutto dal voto dei giovani, ha arginato la perdita di voti e seggi delle due for­ze politiche più tradizionali – il partito popolare e quello socialista – da decenni al governo in Europa.

Le trattative per la formazione della nuova Commissione dell’UE sono in corso e si protrarranno ancora a lungo. Ma già ora si può prevedere alla guida dell’Unione un variegato insieme di forze euro­peiste, composto, oltre che da popolari e socialisti, dal gruppo libe­rale e, molto probabilmente, dai verdi. Una maggioranza più fram­mentata di prima, comunque ampia, che non dovrebbe modificare gli equilibri di fondo. Ma sarebbe sbagliato dedurne che tutto potrà proseguire come prima. Dietro al voto europeo si intravedono aspet­tative crescenti dei cittadini elettori sul ruolo dell’UE. C’è in Europa più voglia di Europa. Una richiesta chiara a favore di cambiamenti importanti nei contenuti e nelle politiche.

L’ingresso di verdi e liberali nel governo dell’Unione potrebbe contri­buire positivamente a generare tali cambiamenti. Ne deriverebbe una spinta a far ripartire l’Europa. Ma non è affatto scontato che questo avvenga. L’elevata eterogeneità della maggioranza potrebbe rendere più complicato, viceversa, il raggiungimento di compromessi politici ambiziosi, anche considerando la diffusa debolezza e il periodo di crisi che stanno vivendo i più importanti paesi membri. Non va di­menticato che nei quattro grandi paesi dell’Unione – Regno Unito, Francia, Italia e Polonia – i partiti più votati sono forze sovraniste e ostili all’integrazione dell’UE. L’accentuata frammentazione della maggioranza e l’ostilità delle forze nazionaliste potrebbero così impe­dire decisioni coraggiose da parte del Parlamento e/o del Consiglio.

Alla fine molto dipenderà dai temi trattati. Un dato certo è che gli ostacoli da superare saranno formidabili, soprattutto se si guarda a quanto successo nel recente passato. Al riguardo, proviamo qui di seguito a stilare un’agenda della politica europea per la prossima legi­slatura sui temi e i problemi economici che sono all’origine del ma­lessere sociale oggi così diffuso in Europa e del successo dei sovranisti in diversi paesi. Un insieme di interventi e iniziative da varare nei prossimi anni in campo europeo su aspetti assai rilevanti che vanno dal governo dell’euro al mercato unico, alle politiche sociali e al ruolo internazionale dell’UE.


STABILIZZAZIONE DELL’AREA EURO

Tra i temi economici più rilevanti e prioritari vi sono la riforma della governance dell’area euro e il completamento dell’Unione economi­ca e monetaria (UEM). Sono ormai diversi anni che se ne discute, sono state avanzate svariate proposte, si è pensato a passi in avanti importanti per la fine della legislatura che è appena trascorsa, ma poi tutto è rimasto fermo. E l’elenco di temi e proposte ancora in lista d’attesa è davvero lungo. Una priorità assoluta è il problema della stabilizzazione finanziaria dell’area euro.

È un fatto noto che nel malaugurato caso di una nuova grave crisi finanziaria – tutt’altro che da escludere, purtroppo – l’area euro non sia ancora attrezzata ad affrontarla. In altri termini, i rischi di una nuova crisi rimangono elevati. Due i motivi. Innanzitutto, perché l’Unione bancaria europea (UBE), che per molti motivi rappresenta un traguardo fondamentale per il rafforzamento dell’UEM, tanto importante quanto fu all’epoca la creazione della moneta unica, è un processo rimasto incompiuto, per ragioni che hanno avuto finora e continuano ad avere natura squisitamente politica. Questi motivi si possono riassumere nel contrasto tra quei paesi – come la Germania e altri paesi del Nord – che sostengono la necessità di una più o meno lunga fase di riduzione dei rischi bancari e finanziari a livello dei singoli Stati – a partire dall’Italia – prima di arrivare a forme di condivisione dei rischi, come l’assicurazione comune dei depositi. E, dall’altro lato, quei paesi – come l’Italia – che ritengono riduzione e condivisione dei rischi due processi da portare avanti in parallelo. Servirebbe un compromesso, finalizzato soprattutto alla creazione di un meccanismo comune di assicurazione dei depositi. Ma, come emerso nell’eurosummit dello scorso giugno, i paesi della rinata “Lega Anseatica” sono fermamente determinati a impedire qualsiasi accordo su meccanismi di condivisione dei rischi con i paesi del Sud, in primo luogo con l’Italia. A meno che una nuova crisi finanziaria non spinga ancora una volta i membri dell’eurozona ad agire insieme e approvare nuovi strumenti, come av­venuto in passato.

Il secondo passaggio importante per la stabiliz­zazione finanziaria dell’area euro riguarda il raf­forzamento del Meccanismo di stabilizzazione europeo (ESM). Questo richiederebbe sia un consistente aumento delle risorse a sua disposizione sia una riformula­zione della sua governance in grado di aumentarne legittimazione ed efficienza della capacità d’intervento. Al riguardo, nel vertice europeo dello scorso giugno si sono fatti dei passi avanti ma non nella direzio­ne auspicabile, conferendo nuove competenze all’ESM – a danno so­prattutto della Commissione europea – in tema di monitoraggio dei programmi di aggiustamento e assistenza finanziaria dei paesi mem­bri. Il tema più controverso rimane quello dell’introduzione di mec­canismi per la ristrutturazione del debito pubblico dei paesi membri insolventi e richiedenti aiuto, con poteri più o meno discrezionali da assegnare al rinnovato ESM. È evidente il grande interesse che l’esito di questo confronto avrà in generale per la riforma dell’ESM e, in particolare, per il nostro paese, che si distingue in Europa per l’avere il più elevato stock di debito rispetto al PIL fatta eccezione per la Grecia. Eppure, l’Italia ha preso parte solo marginalmente nella fase più recente al confronto in atto. Più assorbita dai contrasti con gli altri partner europei sui problemi dell’immigrazione e/o più interessata a evitare o comunque rinviare una procedura d’infrazione da parte della Commissione per eccessivo debito, come già avvenuto lo scorso anno nella definizione dell’ultima legge di bilancio.


PER UNA CRESCITA INCLUSIVA 
DELL’AREA EURO

In tema di crescita economica, la ripresa in corso rimane su ritmi relativamente modesti se confrontati con le fasi di espansione degli ultimi tre decenni e vieppiù esposta ai rischi geopolitici che minac­ciano oggi la scena globale. Servirebbero sia rinnovati strumenti di sostegno e stabilizzazione della crescita, come un migliore uso della politica fiscale, per mitigare il peso oggi sopportato dalla sola Banca centrale europea, sia processi di aggiustamento dei paesi meno asim­metricamente imperniati – come avviene oggi – sui paesi più gravati da indebitamento elevato e problemi di liquidità. Ma anche in que­sto caso le divisioni e i contrasti tra i membri sono assai marcati e tuttora irrisolti.

Sarebbero necessari altresì adeguati meccanismi di decisione comune nell’eurozona, dotandola, ad esempio, di una “capacità fiscale” e/o di “bilancio”, pur se limitata inizialmente. Le si potrebbero assegnare tre principali funzioni: la formulazione di un’assicurazione europea per la disoccupazione; forme di sostegno ai processi di aggiustamen­to dei paesi; una capacità comune d’investimento. Va considerato che strumenti quali delle linee di bilancio in grado di sostenere le economie dei paesi membri durante una fase di ristagno o recessione sono pilastri fondamentali di altre unioni monetarie. La Francia di Macron ha fatto proposte in tale direzione. Potrebbe essere utile an­che in questo caso una soluzione di compromesso, ma c’è pochissima fiducia tra i paesi membri attualmente. E l’euroscetticismo imperan­te rende tale strada ancora più difficile da percorrere. Lo si è visto nell’ultimo eurosummit dove la proposta di un bilancio anticiclico in grado di sostenere la domanda aggregata a livello europeo è stata accantonata in favore dell’istituzione di un ben più modesto mec­canismo di bilancio a sostegno dei processi di convergenza dei paesi dotati peraltro di scarsissime risorse.

Va aggiunto che un’area di intervento altrettanto importante, per non ripetere gli errori del passato, allorché i frutti della crescita sono andati a beneficio di troppo pochi con il risultato di generare esclu­sione e diseguaglianze crescenti, è il perseguimento di un processo di “crescita inclusiva” per l’area euro, in grado di realizzare una più equa distribuzione delle risorse prodotte. Si tratta di raggiungere allo stes­so tempo più efficienza e più equità, attraverso una pluralità di mi­sure e politiche economiche e sociali su cui per motivi di spazio non posso qui soffermarmi. Va detto, comunque, che il più delle volte tali politiche riguardano livelli nazionali d’inter­vento, pur se necessitano di un contesto europeo che sia in grado di facilitarle anziché ostacolarle, come avvenuto in passato.

A questo proposito la Commissione ha approva­to tempo fa il cosiddetto “pilastro dei diritti so­ciali”, con una serie di proposte d’intervento che potrebbero servire ad arricchire l’agenda sociale europea e accrescere il grado di coesione sociale in Europa. Su molte di esse la maggioranza dei paesi europei concorda. La vera sfida concerne l’implementazione e l’affermazione di questi di­ritti e standard sociali. Al riguardo gli aspetti finanziari sono assai rilevanti, in quanto servirebbero nuove e aggiuntive risorse, previste finora solo in minima parte dal bilancio dell’Unione. Decisivo sarà il conferimento o meno di un preciso mandato in questo campo alla Commissione da parte dei paesi membri.


RIDEFINIRE IL RUOLO DELL’UE NEL 
CONTESTO GLOBALE

Oltre che sul fronte interno, è su quello internazionale che si gioche­rà per l’Europa una partita davvero importante. Questa riguarda la definizione del ruolo dell’UE nel contesto economico globale, che è profondamente mutato negli ultimi anni. L’economia mondiale è ormai un sistema multipolare senza più la leadership di un solo paese, perché gli Stati Uniti di Trump non vogliono più esercitarla mentre la Cina non è ancora in grado o è restia a farlo. Ne consegue una scena globale in cui prevalgono i rapporti di forza e sono in atto duri conflitti tra paesi, come la guerra commerciale e tecnologica in corso tra Washington e Pechino. Se l’UE vorrà contare e avere un ruolo in questo contesto – come d’al­tra parte le hanno chiesto i cittadini europei con il recente voto – dovrà saper ridefinire e affermare nei prossimi anni una sua posizione. In estrema sintesi, ciò significherà definire nei cinque anni della nuova legislatura una strategia comune europea nei confronti innanzitutto dei due maggiori attori economici globali: Stati Uniti e Cina. Non si potrà restare semplicemente a guardare lo scontro in atto tra i due gi­ganti, pensando magari di lucrarne anche un beneficio. Sarebbe a dir poco esiziale per le sorti dell’Europa. E una fonte sicura di maggiori costi e frammentazioni futuri.

Allo stesso tempo l’UE dovrà continuare a tes­sere relazioni sempre più intense con il resto del mondo, a partire dal Giappone e dagli altri paesi dell’Asia, intensificando la politica di accordi già sperimentata con successo in questi ultimi due anni. Pur in presenza di un graduale smantella­mento dei grandi accordi multilaterali, per l’Eu­ropa la difesa di un sistema commerciale mul­tilaterale aperto ha rappresentato in passato e continua a rappresentare oggi un interesse vitale dal punto di vista sia economico che strategico. Ma il contesto multilaterale andrà rivisitato e adattato al nuovo con­testo multipolare e alle logiche di potere che lo animano. E sarà come andare controcorrente, considerate le strategie mercantiliste praticate oggi da tutti i maggiori paesi (Stati Uniti, Cina, Russia).

L’altro tema a carattere globale assai rilevante che sarà al centro dell’a­genda europea, anche per la netta avanzata dei verdi nelle recenti elezioni, sono i problemi ambientali e del riscaldamento climatico. Sono questioni che rispecchiano ormai un sentimento profondo e diffuso nella società europea. Anche per questo, c’è una maggiore consapevolezza oggi in Europa sul fatto che si possa e debba fare di più a livello comune rispetto al poco fatto in passato. Il problema in realtà non è economico, perché in questo campo l’Europa ha tutti i numeri per ambire a essere un grande attore protagonista a livello globale, ma è politico, perché l’accentuata frammentazione e l’as­senza di adeguati meccanismi di decisione comune hanno sempre indebolito in passato la posizione europea. LA SFIDA COMPETITIVA

Un ruolo più attivo dell’UE nella nuova arena multipolare comporta la necessità, in chiave domestica, di contrastare un evidente indebo­limento e la perdita di competitività accusata dall’Europa in questi anni nel confronto in campo industriale e tecnologico rispetto agli Stati Uniti e anche alla Cina. Vi è un’abbondante evidenza del terre­no perso fin qui in termini di intelligenza artificiale, digitalizzazione e investimenti in R&D nei confronti tanto di Washington quanto di Pechino. Recuperarlo richiede articolati interventi. Si è delineata una certa convergenza tra i maggiori paesi sulla necessità di agire, con numerose prese di posizione, ufficiali e non, anche recenti, da parte franco-tedesca e della stessa Commissione.

Si tratterà di porre mano a un ventaglio di politiche, quali quelle commerciali, industriali e tecnologiche per modernizzarle e meglio coordinarle a livello europeo. In altre parole, serve un approccio co­mune allo sviluppo produttivo dell’Europa, che continui a difendere la nostra apertura e integrazione nel mondo ma in modo da promuo­vere la crescita tecnologica e della produttività dei paesi membri. A partire dalla realizzazione di una maggiore reciprocità nelle relazioni con i nostri principali trading partner. Andrebbe previsto altresì uno spazio di finanziamento più ampio per progetti tecnologici in grado di sostenere iniziative comuni (sanità, energia, clima, sicurezza ed economia digitale) volte alla creazione di tecnologie d’avanguardia in tutti i campi più “caldi”, dall’intelligenza artificiale alla cybersecurity.

In questa prospettiva il problema più spinoso da affrontare resta quello dei nazionalismi europei e della mancanza di fiducia reciproca tra paesi. È da qui – va ricordato – che sono venuti in questi anni gli ostacoli maggiori alla nascita e allo sviluppo in molti settori di grandi imprese europee, veri campioni continentali in grado di competere a livello globale con gli oligopoli americani e cinesi. E non lascia ben sperare per il futuro che vi siano tra i partiti “centristi”, destinati a essere i nuovi pilastri della maggioranza dell’UE, ampi dissensi su temi cruciali delle politiche per l’ambiente, il commercio e l’immi­grazione.

In conclusione, non si può non osservare che rispetto agli sviluppi possibili delle politiche della UE fin qui delineati nella nuova legisla­tura l’Italia rischia molto semplicemente di restare tagliata fuori. Alla luce dei risultati delle elezioni è pressoché scontato che la maggio­ranza dei nostri parlamentari farà parte della minoranza del futuro Parlamento e governo europei. Rischiamo così di rimanere isolati e di non essere presenti là dove si decideranno le più rilevanti politiche e interventi. E pensare che con la Brexit si era immaginato per l’Italia un ruolo da terzo polo di un nuovo “triangolo” alla guida dell’Unio­ne. Ma non sarà così. Gli equilibri che si stanno formando in Europa ci spingono ai margini delle scelte che più contano. Con effetti e ripercussioni negative che si riveleranno nel tempo e saranno pesanti.