La frammentazione globale e il ruolo dei BRICS

Di Paolo Guerrieri Mercoledì 20 Settembre 2023 15:04 Stampa
La frammentazione globale e il ruolo dei BRICS Illustrazione di Emanuele Ragnisco

 

L’attivismo dei BRICS, un raggruppamento di paesi costituito dalle cinque maggiori economie emergenti, Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, ha suscitato una crescente attenzione a livello internazionale nel corso dell’ultimo anno. Hanno lanciato un insieme di iniziative finalizzate ad offrire una piattaforma di cooperazione a molti altri paesi dell’area in via di sviluppo su un’ampia gamma di temi di grande rilevanza, dal cambiamento climatico alla governance globale, alla gestione del debito dei paesi più poveri. Tra i progetti, particolare rilevanza assume quello di dare nuova linfa alla Banca di sviluppo dei BRICS che è stata di recente ribattezzata Nuova banca di sviluppo (NDB) col mandato di colmare il divario di finanziamenti che penalizza i progetti di molti paesi emergenti e in via di sviluppo, soprattutto in tema di transizione climatica. A conferma dell’interesse crescente suscitato dai BRICS sono circa venti i paesi che hanno espresso il loro interesse a entrare a far parte del gruppo. Nel summit dei BRICS che si è svolto lo scorso agosto a Johannesburg, in Sudafrica, sei di questi paesi, ovvero Argentina, Arabia Saudita, Iran, Egitto, Etiopia e Emirati Arabi Uniti, sono stati invitati a entrare a far parte del gruppo a partire dal 1° gennaio 2024.
Si formerà così un raggruppamento di 11 paesi e ci si può allora chiedere quali saranno le reali prospettive dei BRICS e, soprattutto, quale ruolo potranno giocare nei nuovi equilibri che si vanno definendo a livello economico globale dopo gli shock pandemico e della guerra in Ucraina? Sono domande alle quali si vuole offrire una risposta qui di seguito, a partire da brevi cenni sulla storia del gruppo di paesi (BRICS) divenuto poi così popolare.

LA NUOVA RILEVANZA DEI BRICS
Si è cominciato a parlare di BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) già all’inizio degli anni Duemila, allorché la Cina e l’India stavano vivendo una fase di rapida crescita economica e il Brasile e la Russia, favoriti dal boom dei prezzi delle materie prime, si stavano riprendendo dal crollo postsovietico degli anni Novanta. Dopo il primo summit ufficiale dei BRIC in Russia nel 2009, al gruppo si è aggiunto il Sudafrica nel 2010 – all’epoca la più grande economia africana – conferendo ancora maggior peso a quell’insieme di paesi, ribattezzato BRICS, la cui popolazione combinata superava allora il 40% del totale mondiale.
Negli anni iniziali del nuovo secolo le dinamiche di crescita dei BRICS erano superiori a quelle delle economie più avanzate, tanto da spingere molti a prevedere entro il 2040 il sorpasso dei PIL sommati dei cinque paesi su quello complessivo del G7. Ma le cose sono andate poi diversamente. Solo la Cina e, in minor misura, l’India riuscirono a mantenere una elevata crescita anche negli anni successivi. Il peso della Cina all’interno del gruppo è aumentato così a dismisura in pochi anni da circa il 50% (in termini di PIL) all’inizio del 2000 a oltre il 70% alla fine dello scorso decennio.
In questo stesso periodo i BRICS non sono riusciti a trasformarsi da singoli paesi più o meno rilevanti a livello internazionale in un attore unitario in grado di muoversi come tale sulla scena mondiale in ambito politico ed economico. Una mancata trasformazione che non ha però destato sorpresa, visto che i BRICS rappresentavano – e tuttora rappresentano – un mix assai eterogeneo, composto da alcune democrazie più o meno stabili e da autentiche autocrazie, ognuna con una sua peculiare struttura e interessi economici.
A causa di questa frammentazione di posizioni e interessi, i summit e le (poche) iniziative dei BRICS avevano finito negli ultimi anni per suscitare sempre meno interesse. Fino a qualche tempo fa, quando si è aperta una nuova fase nell’evoluzione dei BRICS. La frammentazione e polarizzazione in atto nel mondo, anche in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, hanno offerto nuova linfa alle iniziative del gruppo. Il blocco dei cinque paesi è tornato a giocare un ruolo rilevante a livello internazionale. Nonostante l’organizzazione istituzionale del gruppo sia tuttora assai poco sviluppata, i BRICS sono apparsi in grado di influenzare l’evoluzione dell’attuale sistema economico internazionale verso una nuova multipolarità, meglio rispondente alle esigenze dei paesi meno sviluppati. A ciò si è aggiunto il desiderio di rivalsa e contrapposizione da essi rappresentato nei confronti dei paesi più avanzati e condiviso da molti paesi del Sud del mondo. Non senza fondamento, naturalmente, vista l’incapacità o la non volontà dei paesi occidentali in tutti questi anni di attuare riforme dei meccanismi di governance globale tali da conferire all’area dei paesi meno sviluppati e a quelle economie emergenti divenute grandi potenze, come la Cina e l’India, una maggiore rappresentanza e influenza.

LA NUOVA BANCA PER LO SVILUPPO
Tra i progetti dei BRICS vi è quello di rilanciare – come detto – la Banca di sviluppo ridenominata recentemente Nuova banca di sviluppo (NDB) e la cui presidenza è stata affidata a Dilma Roussef, già presidente del Brasile. Con 50 miliardi di dollari di capitale la NDB vuole arrivare a coprire una quota rilevante a livello mondiale dei finanziamenti di progetti infrastrutturali, dedicando un 40% dei prestiti ai progetti specificamente legati al clima.
Si tratterebbe di una novità rilevante, visto che in passato le performance della NDB sono state nel complesso modeste. Dal 2015 ad oggi ha finanziato progetti per un ammontare totale di 33 miliardi di dollari, che è pari a quanto in un solo anno la Banca mondiale investe per progetti relativi al clima. La NDB si è comunque rafforzata negli ultimi anni con l’ingresso nel suo capitale di nuovi paesi come l’Egitto, gli Emirati Arabi, l’Uruguay. Il suo obiettivo prioritario è specializzarsi nel finanziamento di progetti dei paesi emergenti. Un’area di finanziamenti, quest’ultima, che presenta oggi grandi carenze e potenzialità. Solo per la lotta al cambiamento climatico, ad esempio, si stima che il fabbisogno dei paesi in via di sviluppo ammonti ad almeno 2,4 trilioni di dollari di investimenti annui, mentre il divario da finanziare per realizzare i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti dall’ONU (SDGs) è passato dai 2,5 trilioni di dollari all’anno prima della pandemia Covid-19 ai 4,5 trilioni di dollari oggi. Altre risorse sono poi necessarie per finanziare gli interventi volti a eliminare la povertà estrema. Le due priorità – la lotta al cambiamento climatico e quella alla povertà – sono in effetti complementari e non si devono naturalmente escludere a vicenda.
Rispetto a tutte queste esigenze l’attuale architettura finanziaria globale è fortemente sottodimensionata e mal strutturata. Sono necessari cambiamenti radicali per incrementare i finanziamenti a lungo termine, alleggerire l’onere del debito dei paesi a basso reddito e migliorare l’accesso ai finanziamenti ai paesi più poveri. Vi è soprattutto la necessità di reperire nuove risorse. Una parte degli investimenti necessari non produrrà ritorni finanziari a breve-medio termine e deve essere pertanto finanziata attraverso l’aiuto pubblico allo sviluppo. A questo riguardo, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha proposto un piano straordinario di finanziamenti a lungo termine per tutti i paesi bisognosi, pari ad almeno 500 miliardi di dollari all’anno. Una buona parte degli investimenti necessari, tuttavia, riguarda progetti potenzialmente redditizi e che potrebbero essere finanziati anche privatamente. Ma gli alti costi degli interessi per i prestiti privati ai paesi emergenti e in via di sviluppo ostacolano questi nuovi investimenti. Vi sono numerose proposte per agevolare tali finanziamenti del settore privato, che interessano anche le Banche multilaterali di sviluppo mediante l’aggiornamento dei loro modelli di business. Per affrontare queste nuove sfide finanziarie, non vi è dubbio che la NDB dei BRICS potrebbe trovare nuovi spazi e occasioni di rilancio.

IL PROGETTO DI DE-DOLLARIZZAZIONE
Uno degli obiettivi prioritari del gruppo dei BRICS fin dal primo summit nel 2009 è stato acquisire un maggiore peso a livello globale in campo monetario e finanziario. Soprattutto per controbilanciare il predominio esercitato dagli Stati Uniti e dalla sua moneta, il dollaro. Di qui il progetto – certamente il più ambizioso da sempre – di creare una nuova moneta in grado di rivaleggiare con il dollaro a livello internazionale. L’ultima, più recente versione del progetto di de-dollarizzazione prevede la creazione di una nuova moneta che si basi su un paniere composto dalle cinque valute nazionali dei BRICS: lo yuan cinese, il rublo russo, la rupia indiana, il real brasiliano e il rand sudafricano. È certamente un piano avveniristico ma, va aggiunto, con poche probabilità di successo, almeno in una prospettiva di breve e medio termine. E questo perché la sua realizzazione comporterebbe complessi e prolungati negoziati per arrivare a definire nuovi meccanismi in termini di accordi di cambio, sistema dei pagamenti e regolazioni dei mercati finanziari dei vari paesi membri.
Ancora oggi, com’è noto, la maggior parte delle transazioni finanziarie internazionali, dell’indebitamento e delle fatture commerciali globali è denominata in dollari. Quasi il 60% delle riserve valutarie globali è detenuto in dollari (dati alla fine del 2021). Nonostante la quota del PIL globale coperta dagli Stati Uniti si sia ridotta a circa il 22% negli ultimi decenni, la moneta americana ha potuto mantenere il suo status di valuta internazionale dominante perché ha continuato a usufruire di condizioni di liquidità e di una scala di transazioni a livello mondiale tali da averle assicurato una base di utenti davvero ampia e mai neppure avvicinata dalle valute di altri paesi. Ed è da ritenere che il piano dei BRICS non sarà in grado di scalfire tale predominio. Come confermano altri analoghi tentavi fatti in passato in questa stessa direzione.
Ciò non significa che non vi siano cambiamenti in atto e possibili futuri sviluppi nell’attuale sistema monetario internazionale in grado di ridimensionare, seppur gradualmente, il dominio del dollaro come valuta transfrontaliera. La diffusione delle tecnologie digitali nel sistema dei pagamenti, ad esempio, potrebbe intaccare il ruolo globale del dollaro rispetto ad altre valute, anche di paesi relativamente piccoli. In parte sta già avvenendo.
Più concreta è la possibilità che i paesi BRICS, soprattutto una volta completato l’allargamento, possano arrivare ad aumentare la quota dei loro scambi commerciali bilaterali denominati nelle loro rispettive valute. Si sta già verificando, ad esempio, nelle relazioni commerciali bilaterali tra Cina e Russia, che si sono fortemente intensificate dopo l’invasione dell’Ucraina.

IL GRUPPO SI ALLARGA A NUOVI PAESI
L’interesse a livello internazionale per i BRICS è molto alto, come detto, e in continua crescita. Circa venti paesi, tra cui Argentina, Turchia e Arabia Saudita, vogliono entrare a far parte del gruppo. Si è poi optato per l’ingresso di sei nuovi paesi, come detto, ma un tale allargamento non era affatto scontato, essendo un tema che divide ancor’oggi profondamente i cinque paesi membri al loro interno.
Ha prevalso il disegno della Cina, che fin dal 2017 ha spinto per l’espansione del gruppo quando presentò il progetto dei “BRICS Più” – un meccanismo per associare nuovi paesi in attesa di farli divenire a tutti gli effetti nuovi membri. E non è un segreto per nessuno che l’ambizione di Pechino per il futuro dei BRICS sia quello di un forum sempre più numeroso e a guida naturalmente cinese. Anche la Russia, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha espresso interesse ad un allargamento dei BRICS, intravedendovi la possibilità di creare un blocco di paesi in grado di contrapporsi ai tentativi di isolamento di Mosca da parte dell’Occidente.
Per contro, Brasile e India si sono opposti fino all’ultimo all’entrata di nuovi paesi, perché vi intravedono solo effetti negativi, quale quello di svilire il loro attuale status di membri esclusivi del club. In aggiunta, ritengono che i nuovi membri siano soprattutto interessati ad avere legami più diretti con Pechino e quindi possano finire per favorire una posizione dei BRICS sempre più incentrata sulla Cina e potenzialmente meno autonoma. Tra i nuovi entranti non vi è dubbio che l’Arabia Saudita rappresenti l’aggiunta più di peso. Anche in questo caso è la Cina a spingere di più. Va ricordato che negli ultimi anni la Cina è diventato il più grande partner commerciale dell’Arabia Saudita e ha intensificato là i suoi investimenti nell’ambito del progetto della Belt and Road Initiative (BRI).
Va osservato infine che in campo finanziario l’entrata dell’Arabia Saudita e degli altri paesi rafforzerà il gruppo dei BRICS, aumentando le potenzialità della Nuova banca di sviluppo e le sue capacità di fronteggiare il predominio degli Stati Uniti a livello globale.

QUALE FUTURO PER I BRICS
Il rilancio con l’allargamento dei BRICS è un dato di fatto e l’attrazione del gruppo è destinata ad aumentare tra i paesi emergenti. Ma è tutta da dimostrare la capacità dei BRICS a 11 di realizzare le loro ambizioni, a partire dalla costruzione di un nuovo ordine mondiale, riassunto nella formula “BRICS by BRICS”. I loro progetti erano e restano generici e, se si fa eccezione per la Cina, che vuole rimodellare i BRICS a sua immagine e somiglianza, la strategia del gruppo è ancora tutta da definire.
Per aumentare il loro peso a livello internazionale, i BRICS dovranno innanzi tutto risolvere una serie di contraddizioni. L’eterogeneità politica ed economica al loro interno, il disaccordo sull’allargamento e su temi politici fondamentali quali la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, l’aspra disputa territoriale tuttora non sanata tra Cina e India, rappresentano altrettanti seri ostacoli alla continua cooperazione e rafforzamento dei BRICS. Ed è certo che il semplice desiderio di rivalsa e le lamentele condivise nei confronti dell’Occidente non saranno sufficienti a rifondare e sostenere un nuovo ordine mondiale.
Anche il summit del gruppo di agosto di quest’anno a Johannesburg in Sudafrica, il quindicesimo consecutivo, non è servito a chiarire questi interrogativi, né a rafforzare la loro cooperazione e indirizzare meglio le future strategie. Ma non vi è dubbio che la decisione di far entrare l’Arabia Saudita nel gruppo rappresenti un segnale forte di ferma determinazione dei BRICS a proseguire nella ricerca di alternative per una nuova governance economica e finanziaria a livello globale.
Un segnale che è diretto in particolare ai paesi occidentali perché prendano atto che qualunque riforma o rinnovamento del sistema di governance globale dovrà fondarsi a partire dai nuovi ruoli e spazi da assegnare ai paesi emergenti e più in generale all’area in via di sviluppo. D’altra parte, il G7, che ha tenuto il suo summit di recente a Hiroshima in Giappone, rappresenta ormai solo poco più del 30% dell’economia mondiale e circa il 10% della popolazione mondiale. Sono numeri che testimoniano quanto il mondo sia cambiato negli ultimi decenni e quanto sia destinato a cambiare ancora. E sembra che i paesi più avanzati abbiano iniziato a prenderne nota. All’incontro in Giappone quest’anno sono stati invitati a partecipare come osservatori un insieme di paesi del nuovo mondo, dall’India, al Brasile, all’Unione Africana, al Vietnam e Indonesia. È solo un primo timido passo, certo, ma va nella giusta direzione.