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Il paradosso europeo

Di Giovedì 15 Ottobre 2009 17:34 Stampa

 

All’inizio di ottobre si è tenuta a Madrid la Global Progress Conference, dal titolo “Towards a Global New Deal ”, un meeting di fondazioni progressiste statunitensi ed europee, tra le quali anche la Fondazione Italianieuropei, il cui obiettivo era produrre una comune agenda progressista per rispondere alla crisi globale.

Nel corso della conferenza, organizzata dal Center for American Progress e dalla Fundación IDEAS , sono state presentate molteplici proposte progressiste. Ve ne presentiamo qui una, “Oltre la Terza Via”, elaborata da alcuni fellow del Center for American Progress. Il breve articolo è tratto da un saggio più ampio,  “The European Paradox ”, scritto da Matt Browne, Ruy Teixeira e John Halpin.

 

Oltre la Terza Via

di Matt Browne, John Halpin e Ruy Teixeira

 La vittoria di Angela Merkel conferma quanto molti già sapevano: i partiti socialdemocratici europei non sono riusciti a trarre alcun beneficio politico dall’associazione tra la reverenza della destra nei confronti di un mercato senza limitazioni e la crisi economica che attanaglia il continente.

Tradizionalmente, gli europei si rivolgono ai partiti conservatori in tempo di crisi. Ma oggi, la situazione è molto complessa. In Germania anche i Cristiano Democratici hanno ottenuto risultati peggiori rispetto alle elezioni precedenti. Gli elettori hanno infatti optato per La Sinistra (Die Linke), i Liberali e i Verdi. Questi partiti attingono ai più avanzati trend demografici: l’emergere di una giovane generazione progressista, l’accresciuto livello di istruzione, la crescita della classe professionale, l’aumento del peso sociale dei single e delle famiglie atipiche, l’accresciuta diversificazione religiosa e la diffusione della laicità. Nonostante la sconfitta dei socialdemocratici, dunque, è possibile identificare nuovi bacini elettorali che sostengono i progressisti. Questa tendenza si registra in gran parte dell’Europa.

Allora, per quale ragione questi potenziali elettori non votano per i socialdemocratici?

È possibile identificare quattro ragioni, comuni a molti partiti socialdemocratici in Europa, ognuna delle quali trae origine dai limiti della Terza Via.

In primo luogo, i socialdemocratici europei non sono stati in grado di indicare chiaramente i principi per i quali si battono o in cosa differiscono dai conservatori. La Terza Via riconciliò il pensiero progressista con l’economia di mercato, l’individualismo con la globalizzazione. Ciò aiutò Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schröder a costituire egemonie politiche in un’era di dominio conservatore. Tutti e tre i progetti erano egalitari, ma rifiutando molte delle politiche che caratterizzano il pensiero socialdemocratico, permisero ai conservatori di attenuare le differenze tra se stessi e i socialdemocratici. Inoltre, le attuali difficoltà a proporre un paradigma economico alternativo dipendono dalle lacune nel pensiero della Terza Via, in particolare per quanto riguarda la ripresa industriale.

In secondo luogo, i socialdemocratici non sono stati capaci di mettersi in relazione con i valori degli elettori e di conseguenza hanno avuto difficoltà a dare una risposta alla rabbia populista che è tipicamente radicata in questi valori. Il rifiuto dell’ideologia da parte della Terza Via era una volta ragione di forza; oggi è diventata una debolezza. I politici socialdemocratici soffrono spesso di una sorta di “sindrome da seminario” e trattano i processi politici come una questione di accumulo di dati, prove e idee brillanti. Ma gli elettori hanno bisogno di molto più che una lista di posizioni politiche. Concentrandosi su responsabilità e riforme tecnocratiche, i socialdemocratici sono sembrati poco interessati ai valori e alle emozioni della classe lavoratrice e dei nuovi gruppi di elettori progressisti. Come risultato sono stati affiancati da altri partiti tanto a destra quanto a sinistra, dai Liberali e dai Verdi.

In terzo luogo, i socialdemocratici si trovano oggi a dover affrontare una sfilza di sfide politiche che la Terza Via non aveva previsto. La Terza Via emerse in un periodo di profondo ottimismo. La fine della guerra fredda e il boom dei dot.com indussero molti a credere che l’ideologia (e il conflitto) fosse ormai concetto superato e che l’Occidente postmoderno potesse vivere di servizi e allo stesso tempo consumare i beni prodotti dal mondo in via di sviluppo. Ma l’ingresso di un miliardo di nuovi lavoratori nell’economia globale non è stato privo di conseguenze. Mentre i benefici della globalizzazione sono stati distribuiti diffusamente; i costi sono stati sostenuti da pochi, in genere dalle comunità di lavoratori che un tempo costituivano la base dei partiti socialdemocratici.

Questa tendenza è stata esacerbata dalla crisi economica e i partiti socialdemocratici non hanno saputo fornire alcuna risposta convincente. Si aggiungano le crescenti preoccupazioni relative all’immigrazione, al crimine e al terrorismo islamico e l’elettorato europeo è diventato vulnerabile a una politica di paura e populismo. I socialdemocratici oggi sembrano intrappolati tra l’apparire stonati – quando cantano le virtù della globalizzazione e del multiculturalismo senza ammetterne le difficoltà – e l’alienarsi parte di quell’elettorato che hanno bisogno di conquistare. Sui temi dell’economia e dell’immigrazione, le roccaforti dell’elettorato socialdemocratico sono tentate dal messaggio emotivo dei competitori di destra e di sinistra, che usa lo stesso linguaggio facendo perdere supporto tra coloro i quali danno un voto etico.

Infine, i socialdemocratici non hanno saputo modernizzare il modo in cui fanno politica. Molti nuovi movimenti etici o progressisti appaiono più attraenti perché sono aperti e meno gerarchici. I giorni delle strutture di comando e controllo in grado di gestire 24 ore su 24 e dello sviluppo di politiche e messaggi sono ormai passati. L’avvento di nuovi media sociali e la “biosfera” rendono quell’approccio impossibile. Inoltre, gli elettori oggi sono meno riverenti e vogliono giocare un ruolo più attivo nel processo politico.

La Terza Via rappresentava una fase essenziale del rinnovamento socialdemocratico, soprattutto in quanto servì a riconciliare un elettorato abituato al conservatorismo con la possibilità di una politica progressista. Tuttavia i suoi giorni sono chiaramente finiti. Se si vuole che i partiti socialdemocratici si riprendano, è necessario che essi si muovano verso una nuova fase della governance progressista.

I socialdemocratici possono trarre vantaggio dall’emergere di nuovi gruppi sociali e bacini elettorali potenzialmente favorevoli, ma per far ciò avranno bisogno di una nuova agenda, di nuova passione, e di nuova politica: una politica che sia aperta alla collaborazione con altri partiti. È prematuro, se non esagerato, parlare della morte della socialdemocrazia.

Per coloro i quali sono avvezzi alla politica della Terza Via, però, la ripresa sarà dura. E il lavoro deve cominciare immediatamente.

 

 

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