Il secondo Quaderno di Italianieuropei rappresenta un contributo importante e per molti aspetti innovativo nell’avanzamento del dibattito politico e culturale sul federalismo italiano. Senza eludere le questioni di carattere tecnico che, inevitabilmente, devono essere tenute in considerazione quando si parla di temi quali il federalismo fiscale o i poteri sostitutivi, i saggi contenuti in questo Quaderno muovono da un interrogativo sulle ragioni di fondo, sul “senso” del federalismo in Italia (se di federalismo si può parlare, ma questa è questione ampiamente discussa nelle pagine che seguono).
Questo Quaderno, ancor prima che una raccolta di saggi individuali, rappresenta il frutto di quattro mesi di attività del gruppo di lavoro sul federalismo promosso dalla Fondazione Italianieuropei. Il gruppo ha il compito di svolgere ricerche e approfondimenti su natura, funzionamento e limiti del federalismo italiano, senza preconcetti o tesi precostituite, anche lasciando emergere – come avviene nei saggi qui presentati – posizioni diverse e non sempre conciliabili. E ciò anche sui temi di maggiore rilevanza politica, come l’attuazione del federalismo fiscale.
Il contributo si propone di ricostruire alcune delle ragioni alla base delle riforme in senso federalista che hanno interessato l’Italia negli ultimi quindici anni. A tal fine, si ripercorrono anzitutto le ragioni tattiche, legate alla volontà di rispondere al successo della Lega Nord nel settentrione. Si accenna poi alle spinte più profonde che hanno operato nella medesima direzione in Italia come in altri paesi in seguito alla globalizzazione e, infine, si tracciano norme il più possibile chiare e condivise per individuare procedure idonee ad assicurare la funzionalità del “sistema paese”.
La riforma costituzionale del 2001 ha rappresentato l’esito di un processo che, a prima vista, può essere ricondotto entro la nozione di “federalizzazione per devoluzione”. Tuttavia un’analisi più attenta conduce a conclusioni diverse: pur nella consapevolezza della difficoltà di individuare elementi idonei a fornire una definizione chiara e univoca della nozione di federalismo, non appare possibile, allo stato attuale, definire l’assetto istituzionale italiano come Stato federale.
La struttura costituzionale federale esercita un condizionamento sullo sviluppo del sistema dei partiti. All’interno degli Stati federali, quelli con più forte propensione alla cooperazione tra i livelli di governo presentano la maggiore simmetria del sistema partitico e la maggiore integrazione organizzativa dei partiti. L’assenza di una struttura costituzionale di tipo federale favorisce l’emersione di partiti regionali. In assenza di meccanismi che canalizzano al centro gli interessi territoriali regionali, questi tendono ad assumere la forma di partiti regionali.
Il contributo analizza le caratteristiche salienti e il rendimento dei sistemi elettorali dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario. Il premio di maggioranza e la scarsa selettività di tali sistemi sembrano fuori asse rispetto al processo di riassetto del sistema politico nazionale iniziato con le elezioni politiche del 2008 ma appaiono difficilmente eliminabili, nella misura in cui sono essenziali nell’ottica dell’elezione diretta del presidente.
La forma di governo regionale neoparlamentare introdotta con la riforma costituzionale del 1999, ha assicurato maggiore stabilità ed efficacia all’azione dei governi e competizione tra i diversi organi istituzionali. In questo contesto si colloca la definizione di un nuovo ruolo delle assemblee legislative regionali.
II contributo esamina il tema degli strumenti di partecipazione delle Regioni italiane alla revisione costituzionale. Nell’intento di individuare le modalità più adeguate per realizzare tale obiettivo, compie un’analisi comparatistica dell’istituto nei sistemi federali, mettendone in luce, in particolare, l’evoluzione storica.
Nel quadro delle novità introdotte con la riforma del Titolo V della Costituzione, il contributo affronta il tema del regionalismo differenziato, chiarendone la nozione e proponendone una lettura in chiave di prospettiva sistemica in grado di fornire una ricostruzione nuova del complessivo assetto delle autonomie regionali nell’ordinamento repubblicano.
Muovendo dai lavori dell’Assemblea costituente, il contributo ricostruisce le principali caratteristiche del sistema bicamerale italiano, mettendone in evidenza i limiti, soprattutto in ragione del mancato riconoscimento di effettive forme di rappresentanza territoriale nella seconda Camera. Di qui la proposta di una riforma che preveda una rappresentanza al Senato del sistema delle autonomie territoriali.
Le Conferenze Stato-Regioni, Stato-Città e autonomie locali e unificata sono sempre più determinanti per il funzionamento del sistema istituzionale, spesso svolgendo anche un ruolo di supplenza rispetto all’assenza di una Camera delle autonomie nell’ambito del Parlamento. La conformazione delle Conferenze, come luogo di confronto fra gli esecutivi dei diversi livelli istituzionali, rappresenta anche un modello utile per riflettere sulla composizione della futura Camera delle autonomie, che forse potrebbe germogliare proprio da tali organismi.
Il contributo si muove nella prospettiva di un intervento di tipo manutentivo della riforma costituzionale del 2001. Tra le soluzioni proposte: l’eliminazione dell’attuale competenza ripartita, illustrata nell’articolo 117, comma 3 della Costituzione e l’introduzione, in sostituzione di questa, di clausole di flessibilità nell’esercizio di talune competenze legislative statali.
L’incidenza della riforma costituzionale del 2001 ha determinato la configurazione di un nuovo modello amministrativo, non senza aspetti problematici. Per questa ragione, la centralità del cittadino-utente e la pluralità delle funzioni da parte degli enti hanno creato l’esigenza di una nuova organizzazione amministrativa più semplice e collaborativo.
Nello scritto che segue ci si propone di verificare se il modello costituzionale della sostituzione sia idoneo a garantire necessarie modifiche della Carta fondamentale per dotare lo Stato degli strumenti necessari a sostenere, in alcuni settori e in relazione a specifiche situazioni, interventi rapidi e/o uniformi sull’intero territorio nazionale.
Partendo da una riflessione sul doppio federalismo, l’articolo analizza quanto è accaduto all’interno dell’Unione europea, a partire dall’approvazione dei trattati istitutivi fino al Trattato di Lisbona, con riferimento alla previsione di una struttura degli Stati membri alquanto decentralizzata, per soffermarsi su quali dovrebbero essere in Italia i cambiamenti da introdurre nell’ordinamento.
Se il federalismo alla fine degli anni Novanta fu una risposta, voluta per alcuni e necessiaria per altri, alla crisi generale, oggi è un’opzione irreversibile. La crisi del sistema politico segnala la ricerca di una legittimazione ideale dei “nuovi partiti” in termini di valori, principi, regole. L’attuazione del federalismo può essere temperata e ragionevole e va realizzata in un rapporto equilibrato fra i diversi livelli di governo.
Il disegno di legge sull’attuazione del federalismo fiscale è il frutto di un forte raccordo con le autonomie regionali e locali, avviato fin dalla prima stesura del progetto, che ha perciò subito numerose modificazioni prima ancora della sua presentazione al Senato. L’elaborazione dei decreti legislativi e la successiva verifica sul funzionamento del nuovo sistema richiederanno momenti di coordinamento tra tutte le componenti della Repubblica, misura del principio costituzionale di leale collaborazione.
L’attuazione dell’articolo 119 investe le fondamenta stesse del patto di cittadinanza; essa non potrà essere realizzata se non attraverso un pieno coinvolgimento delle forze politiche e delle autonomie territoriali e la costruzione di un ampio consenso. Il contributo inserisce dunque il problema del federalismo fiscale in una cornice costituzionale e istituzionale più ampia, esaminando i nessi che legano tra loro forma di Stato, forma di governo e assetto del sistema politico.
Il nuovo d.d.l. sul federalismo fiscale rappresenta una riforma bipartisan, perché porta a sintesi i lavori degli ultimi anni. È una riforma che introduce una serie di principi importanti e innovativi che permettono di coniugare in modo virtuoso autonomia e responsabilità, con una possibilità di razionalizzazione della spesa e di controllo democratico degli elettori regionali e locali.
Il contributo prende in esame i principali aspetti del disegno di legge sul federalismo fiscale presentato dal quarto governo Berlusconi, collocandolo nella più ampia prospettiva dell’evoluzione della finanza territoriale nel quadro della forma di Stato. All’interno del testo, verranno valutati gli aspetti generali e le finalità del provvedimento, anche alla luce dei più recenti interventi di governo e Parlamento sulle finanze pubbliche.
Il recente disegno di legge sul federalismo fiscale si propone di dare attuazione all’articolo 119 della Costituzione promuovendo fonti di finanziamento che siano in grado di far ricadere le conseguenze delle politiche di bilancio su chi ha concorso a determinarle. Questa problematica ha un diretto riflesso sulla perequazione, che si muove su un doppio binario: integrare il fabbisogno essenziale e perequare la capacità fiscale rispetto a un limitato numero di tributi, con incerti impatti redistributivi complessivi.
La finanza pubblica è uno strumento per un fine, che è lo svolgimento delle funzioni pubbliche. Il perseguimento di questo fine richiede anche il ricorso ad altri strumenti. Dopo avere illustrato la centralità delle funzioni, il contributo esamina l’attuale stato del riparto e del finanziamento delle funzioni amministrative, per poi concentrarsi sui problemi legati al personale, in ordine del quale vengono esaminati la distribuzione e la disciplina.
Al centro dell’intera disciplina del sistema finanziario e tributario della Repubblica risultante dalla vigente Costituzione si colloca il canone del coordinamento tra i diversi livelli istituzionali. Il vincolo del coordinamento in materia di finanza pubblica non può non abbracciare tutte le istanze autonomistiche, in quanto esso rappresenta il necessario corollario di quella istanza di coesione nazionale senza la quale l’intero ordinamento perderebbe la sua stessa natura unitaria e dunque la sua ragion d’essere.
La disciplina è analizzata con riferimento agli statuti speciali, che contengono elenchi di competenza legislativa esclusiva e concorrente che dovranno reggere all’attuazione del federalismo fiscale. La correlazione tra le funzioni spettanti alle Regioni speciali e le risorse necessarie per il loro esercizio è dunque ineludibile per la realizzazione di un federalismo fiscale commisurato alle ragioni storiche delle specialità.
Gli interventi speciali e le risorse aggiuntive dello Stato introducono nel regime dei finanziamenti del sistema delle autonomie un meccanismo di erogazioni vincolate, destinate a specifiche realtà territoriali del paese al fine di promuovere lo sviluppo economico e sociale, ovvero garantire l’effettività dei diritti. In questo contesto, le regole sul federalismo fiscale dovrebbero valorizzare la specialità dell’intervento ed esaltare il ruolo della cooperazione tra lo Stato e il sistema delle autonomie.