Rilanciare l'Europa dei cittadini: per un'iniziativa della sinistra progressista europea*

Di Redazione Lunedì 02 Gennaio 2006 02:00 Stampa

La crisi dell’Europa Il non francese e il nee olandese hanno messo a nudo la profonda crisi che attraversa l’Europa. Oggi, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni dei critici del trattato costituzionale, non esiste un «Piano B». D’altro canto, anche sottoporre un testo tale e quale ai popoli che già si sono espressi negativamente non è un’opzione verosimile. Inoltre, in un’Europa dominata da forze conservatrici non c’è alcun margine di manovra per la rinegoziazione a breve termine di un altro trattato che meglio interpreti le opinioni della sinistra progressista europea. È l’Europa nella sua forma attuale ad essere messa in questione in modo fondamentale. Il «no» al referendum ha sprigionato forze centrifughe e agli egoismi nazionali si è dato campo libero. Questa non è una crisi «salutare»: è invece quanto mai dannosa perché alla fine potrebbe portare ad un indebolimento sostanziale dell’intero progetto europeo, se non addirittura farlo finire in naftalina. Ma come cambiare questa situazione, che in effetti è la più grave mai attraversata dall’Europa? E come rilanciare il progetto europeo?

 

La crisi dell’Europa Il non francese e il nee olandese hanno messo a nudo la profonda crisi che attraversa l’Europa. Oggi, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni dei critici del trattato costituzionale, non esiste un «Piano B». D’altro canto, anche sottoporre un testo tale e quale ai popoli che già si sono espressi negativamente non è un’opzione verosimile. Inoltre, in un’Europa dominata da forze conservatrici non c’è alcun margine di manovra per la rinegoziazione a breve termine di un altro trattato che meglio interpreti le opinioni della sinistra progressista europea.

È l’Europa nella sua forma attuale ad essere messa in questione in modo fondamentale. Il «no» al referendum ha sprigionato forze centrifughe e agli egoismi nazionali si è dato campo libero. Questa non è una crisi «salutare»: è invece quanto mai dannosa perché alla fine potrebbe portare ad un indebolimento sostanziale dell’intero progetto europeo, se non addirittura farlo finire in naftalina. Ma come cambiare questa situazione, che in effetti è la più grave mai attraversata dall’Europa? E come rilanciare il progetto europeo?

Sono questi i temi che noi, in qualità di think tanks progressisti di tutt’Europa, vorremmo affrontare in questo documento. Il nostro obbiettivo è fornire una piattaforma per le iniziative politiche dei partiti politici socialisti e socialdemocratici, sperando che a ciò si associno altri gruppi progressisti tanto a livello europeo che dei singoli Stati membri.

 

La lezione del «no»: quattro critiche all’Europa di oggi

Un referendum è un voto che, fin troppo spesso, comprende una dimensione plebiscitaria. I cittadini tendono a rispondere a chi pone la domanda tanto quanto alla domanda stessa.

In questo senso i «no» dei francesi e degli olandesi dimostrano una chiara disapprovazione dei rispettivi governi di stampo conservatore. Ma scaturiscono anche, a onor del vero, da una campagna estremamente lacunosa da parte dei sostenitori del trattato: troppo scarna, troppo tardiva, troppo dispersiva e troppo difensiva. In termini generali, il trattato costituzionale è stato vittima, in Europa, di una mancanza generale di spiegazioni: i governi nazionali, che spesso non esitano a dare la colpa a Bruxelles quando si tratta di giustificare le difficoltà nell’attuazione delle riforme, non sono riusciti a spiegare perché i propri cittadini avrebbero dovuto aderire al progetto europeo.

In termini sostanziali, il «no» al trattato costituzionale rappresenta l’espressione di una sfiducia nei confronti dell’Europa che si è andata sviluppando soprattutto negli ultimi dieci anni.

 

L’Europa è inefficiente

I cittadini hanno la sensazione che l’Europa abbia fallito in ciò che è percepito come il suo maggiore ambito di competenza: l’economia. E hanno ragione.

A partire dalla metà degli anni Novanta, l’Europa è stata una delle aree del mondo che sono cresciute di meno. Nel periodo 1995-2005 il tasso di crescita medio annuale dell’UE a quindici è stato pari a 2%, contro il 4% dell’Africa, il 3,5% degli Stati Uniti e l’8,5% della Cina. Solo la Russia ha registrato risultati peggiori, con una diminuzione media dell’1,9% del PIL nel periodo che va dal 1993 al 2001. Anche la crescita pro capite rimane inadeguata: nel corso dello stesso periodo ha infatti raggiunto solo il 70% della crescita pro capite del PIL registrata negli Stati Uniti.

Il Mercato unico, l’euro e l’Agenda di Lisbona avrebbero dovuto portare ad un ritorno alla prosperità. Ma troppe promesse sono rimaste lettera morta. L’Europa ha fallito sul fronte della crescita e della disoccupazione. E proprio tale fallimento è in larga misura alla base della perdita di credibilità e legittimità sofferta dall’Europa. L’inefficienza non è sostenibile.

 

L’Europa non è abbastanza protettiva e capace di dare ai cittadini gli strumenti di cui hanno bisogno

Quello che i cittadini vogliono è accedere davvero alle opportunità promesse in un mercato costituito da 450 milioni di abitanti. Ma i cittadini hanno anche bisogno di protezione in un mondo che si muove più freneticamente di quanto non abbia mai fatto, e che è più vulnerabile e rischioso di quanto non sia mai stato prima. Oggi i cittadini hanno l’impressione che l’Europa sia il cavallo di Troia delle peggiori conseguenze della globalizzazione o che, comunque, non sia in grado di reagire appropriatamente alle sfide che proprio la globalizzazione ha lanciato, quale ad esempio la delocalizzazione dei posti di lavoro. Molti progetti legislativi realizzati dalla Commissione, l’attentato alla direttiva sull’orario di lavoro o il terzo pacchetto ferroviario, contribuiscono a legittimare l’accusa di «ultraliberalismo» mossa all’Europa durante le campagne referendarie.

La globalizzazione implica pericoli, questo è certo, ma anche opportunità. Per trarre vantaggio dalle opportunità e scongiurare i pericoli, una maggiore crescita dev’essere accompagnata da forme rinnovate di protezione sociale. Per essere accettata dai propri cittadini, l’Europa dovrebbe essere percepita come un progetto politico, sociale ed economico, e dovrebbe essere in grado di gestire il fenomeno dell’immigrazione conformemente ai propri valori di libertà, di sicurezza mondiale e di giustizia per tutti. Infine, dovrà convincere i propri cittadini che è in grado di reagire efficacemente alle problematiche globali che la riguardano direttamente, quali il terrorismo, la proliferazione nucleare, il fallimento della struttura statale, il crimine organizzato e la deflagrazione dei conflitti regionali, vicini e distanti.

Fino ad oggi, l’unico fatto certo è che non si è dataall’Europa la competenza necessaria a realizzare quella protezione che è invece rimasta appannaggio quasi esclusivo degli Stati membri. La mancanza di protezione non è sostenibile.

 

L’Europa è troppo distante ed è troppo difficile percepirne le responsabilità

I cittadini hanno la sensazione di non avere alcuna voce in capitolo nelle decisioni adottate il seno all’Europa, e che tali decisioni, che però avranno un impatto sul loro futuro, vengano di fatto prese sulle loro teste.

È facile capire il perché. Se la maggior parte delle competenze politiche vengono trasferite ad un Consiglio dei ministri che opera in modo assolutamente non trasparente e ad un esecutivo privo di responsabilità democratica, ovvero la Commissione europea, i politologi parlano di «deficit democratico», oppure di «mancanza di legittimità politica ». In termini meno tecnici, si può parlare semplicemente di un processo d’integrazione europea plasmato senza alcun coinvolgimento attivo dei cittadini europei. Questo distacco non è sostenibile.

 

Il progetto europeo è confuso

L’allargamento rappresenta uno sviluppo fondamentalmente positivo per tutti i cittadini europei. Ma è fuori di dubbio che la leadership europea non sia mai riuscita a dotarsi degli strumenti adeguati a rendere l’allargamento digeribile in tutta l’Unione, come evidenziato dalla sindrome dell’«idraulico polacco» emersa nel corso del referendum francese e da altri segnali di rigurgito nazionalista in seno all’Unione.

Gli strumenti mancanti includono ovviamente strutture istituzionali appropriate, la cui assenza mostra ogni giorno di più le proprie conseguenze, ma comprendono anche un progetto politico più chiaro e rinnovato per l’Europa. Ieri l’Europa era vista come una garanzia di pace, come la chiave d’accesso ad un mercato interno ampliato e come l’unico vero modo per riunificate un continente, il nostro, che emergeva da quarantacinque anni di divisioni generate dal totalitarismo sovietico. Ma oggi qual è il progetto europeo e quali sono le frontiere dell’Europa? Dalla fine degli anni Quaranta il metodo d’integrazione di Monnet si è concentrato, spesso con successo, su fasi concrete attorno alle quali andare a costruire il consenso tra gli Stati membri, piuttosto che puntare su sogni federalisti fuori portata dal punto di vista politico. Ma il fine ultimo del processo europeo non è mai stato veramente esplicitato. E sebbene questo fine ultimo sia stato rinvigorito dalla moneta unica e, potenzialmente, dal trattato costituzionale, la crisi odierna dimostra chiaramente che un progetto europeo confuso non è sostenibile.

 

Verso un’iniziativa europea progressista

L’Unione europea ha bisogno di rinnovamento e di una nuova visione per il futuro. Il rilancio dell’Europa deve divenire uno degli obbiettivi primari della sinistra progressista europea. Spetta ai partiti socialisti e socialdemocratici portare la fiaccola dell’ Unione europea, assemblare un’iniziativa e poi lavorare per condurla in porto.

Per superare la crisi del «no» francese e olandese alcuni governi sembrano preferire ancora la strategia della «seconda opportunità». L’idea sarebbe quella di raggranellare un numero sufficiente di ratifiche nazionali al fine di isolare i paesi che hanno rifiutato il trattato. Tale maggioranza giustificherebbe la rinegoziazione di un trattato costituzionale non troppo diverso da quello iniziale. «Configurazioni» politiche nazionali più favorevoli dovrebbero permettere da quel momento in poi l’adozione del trattato da parte dei popoli che nel 2005 gli hanno voltato le spalle. Noi siamo convinti che la strategia della «seconda opportunità» sia destinata a fallire perché non prenderebbe in debita considerazione, né tanto meno risponderebbe francamente o esaurientemente, alle rimostranze ed alle critiche che i cittadini hanno mosso all’Europa nel suo assetto attuale.

Noi proponiamo un’impostazione più efficace per far rientrare il progetto europeo in carreggiata, basandoci su tre pilastri che dovranno svilupparsi in parallelo:

Primo pilastro: far funzionare l’economia europea

È necessario rispondere in modo convincente alle critiche relative all’inefficienza economica: perché mai i cittadini europei dovrebbero dirsi favorevoli alla continuazione del progetto europeo se non produce i benefici sperati? L’Europa deve riscoprire il cammino verso la crescita, l’occupazione e la prosperità.

Secondo pilastro: far emergere l’Europa che protegge e conferisce capacità ai propri cittadini

Siamo dell’avviso che il progetto dell’Unione europea non si limiti all’integrazione economica. Riteniamo invece che dovrebbe espandersi fino ad includere la protezione dei cittadini ed il conferimentoa questi ultimi di nuove capacità dal punto di vista sociale, ambientale e di sicurezza.

Terzo pilastro: concretizzare l’Europa democratica

Prendiamo atto che le nostre diverse culture politiche nazionali comportano un diverso modo di concepire il funzionamento delle istituzioni europee e la portata delle competenze dell’Unione europea. Ma nonostante tali differenze, abbiamo una visione comune: quella di creare un’Europa democratica, capace di farsi portatrice di quei valori che gli europei condividono. Il modo per tradurre questo in realtà trova tutti d’accordo. Dobbiamo far emergere la coscienza europea, cioè dobbiamo «fare gli europei».

 

Far funzionare l’economia europea: le competenze dell’Unione europea per la crescita

I cittadini non hanno fiducia nell’Europa così com’è. E ne hanno ben ragione: l’odierna economia europea non funziona affatto e tale fallimento paralizza qualsivoglia progresso verso l’Europa di domani. Non ci rimane dunque che ribadire ciò che è ovvio: bisogna far funzionare ciò che abbiamo, far funzionare l’Europa dell’economia. Il programma per rilanciare la crescita in Europa è già ben consolidato, ma gli strumenti per attuarlo mancano del tutto.

 

Un programma per rilanciare la crescita in Europa

Sta emergendo un sempre maggiore consenso in Europa attorno ad un’agenda per la crescita che si sviluppi su due fronti. In primo luogo la crescita potenziale è estremamente lenta, se paragonata con il dinamismo economico statunitense (2% contro quasi il 4%). Ciò significa che l’Europa ha bisogno di riforme strutturali. In secondo luogo la performance economica dell’Europa rimane costantemente al disotto del livello della sua stessa crescita potenziale. Ciò implica la necessità di riforme macroeconomiche.

Dal punto di vista strutturale, l’Europa soffre di una malattia conclamata: non ha raggiunto la soglia tecnologica necessaria per accedere all’economia basata sulla conoscenza che contraddistingue il XXI secolo e per conseguire una crescita sostenuta e sostenibile. I fattori chiave per avere successo in quest’impresa sono noti. Sono stati concordati e decisi in occasione del vertice di Lisbona del 2000 e comportano massicci investimenti nel campo della ricerca, dell’istruzione superiore, dell’innovazione e delle infrastrutture.1

Dal punto di vista macroeconomico, le poco brillantiprestazioni dell’Europa affondano le radici nella mancanza di gestione macroeconomica della zona dell’euro. Abbiamo creato un’area economica integrata ma non ci assumiamo l’onere di gestirla, e quindi ci priviamo della possibilità di sfruttarne le potenzialità. Eccezion fatta per la politica monetaria, che è condotta dalla Banca centrale europea, non esiste una politica comune nella zona euro. E invece la zona euro ha bisogno di un pilota, che dovrebbe occuparsi della qualità delle finanze pubbliche e, in particolare, di facilitare il passaggio delle risorse verso un tipo di spesa e di fiscalità orientate alla crescita, pur rispettando le linee guida del Patto di stabilità e crescita.

Dunque il programma c’è, ma non lo si attua per mancanza di strumenti adeguati. A nostro avviso l’economia europea non funziona perché continua ad essere un progetto incompleto. Siamo in mezzo alla corrente e imbarchiamo acqua. Dobbiamo decidere di attraversare il fiume una volta per tutte, e quindi conferire all’UE le competenze atte a stimolare la crescita, così da trasformare la sua agenda per la crescita, per l’appunto, in politiche ed azioni concrete.

 

Investire nel futuro: «i nuovi strumenti di Lisbona»

L’Agenda di Lisbona è rimasta «lettera morta» semplicemente perché non ha avuto i mezzi per fare altrimenti: insomma le mancano i «denti». L’Unione europea deve dotarsi degli strumenti istituzionali e di bilanci atti ad agire in modo efficace, e ciò include la definizione di un ruolo ampliato e più attivo della Commissione europea. Proponiamo dunque le seguenti decisive riforme:

Un Consiglio dei ministri per la crescita

Un Consiglio dei ministri per la crescita, che deliberi sulla base di un voto di maggioranza, dovrebbe occuparsi dell’attuazione dell’Agenda di Lisbona così da facilitare il passaggio verso un’economia basata sulla conoscenza. Dovrebbe operare più o meno come il Consiglio per il mercato interno fece alla fine degli anni Ottanta e negli anni Novanta, ossia coordinando tutte le decisioni inerenti al mercato interno, alle tasse, alle imprese, alla ricerca e allo sviluppo, alle aree economiche, finanziarie, ambientali e dell’istruzione che, direttamente o indirettamente, possano contribuire alla concretizzazione dell’Agenda di Lisbona. Il Consiglio per la crescita dovrebbe usare sia strumenti normativi (cioè leggi), che politici (cioè esercizio di pressioni e processi di monitoraggio basati sugli indicatori). Ciò facendo il Consiglio dovrebbe fornire un orientamento fattivo sull’applicazione delle linee guida, collegando le misure macroeconomiche a quelle di natura strutturale definite nei Piani d’azione nazionali della Strategia di Lisbona.

Politiche di spesa orientate al futuro

Indipendentemente da quanto recentemente concordato in merito alle prospettive di bilancio dell’Unione per il periodo 2007-2013, l’Unione europea dovrebbe rivedere le proprie priorità di spesa in maniera radicale.

La ricerca, la nuova priorità di bilancio dell’UE

Oggi la spesa comunitaria per ricerca e sviluppo si limita allo 0,04% del PIL europeo, mentre le sinergie e gli effetti che questo produce sono più che evidenti. Un’Agenzia europea per le scienze e la ricerca, che sia strutturata sul modello dell’American National Science Foundation potrebbe contribuire a snellire ed ottimizzare gli sforzi compiuti in tutta l’Unione. Infine, anche gli incentivi alla ricerca privata dovrebbero essere incrementati: dovrebbero di fatto comprendere, tra le altre cose, una qualche forma di incoraggiamento allo sviluppo di partenariati pubblico-privato e di sistemi fiscali mirati agli investimenti per la ricerca e lo sviluppo da parte delle imprese.

L’istruzione superiore, uno sforzo congiunto tra Stati membri dell’UE

Spetta agli Stati membri produrre uno sforzo maggiore allo scopo di riguadagnare terreno in questo campo. Ma l’Unione dovrà fissare un obbiettivo collettivo, mirando a dare al 50% della popolazione europea un grado di istruzione superiore. L’UE dovrà farsi carico del monitoraggio della realizzazione di tale obiettivo. Inoltre dovrà finanziare la creazione di una rete di centri europei d’eccellenza capaci di competere con i migliori atenei di tutto il mondo.

La costruzione di infrastrutture del settore trasporti, attraverso l’emissione di eurobond

Nonostante il fatto che le infrastrutture del settore trasporti siano fonda mentali per la realizzazione del mercato unico, le spese ad esse collegate rappresentano solo l’1% del bilancio europeo. Come già proposto venti anni fa, quando Jacques Delors era presidente della Commissione, è giunta l’ora di attuare l’emissione di eurobond volti a finanziare la creazione di quelli che sono i «collegamenti mancanti» in Europa.

 

Un unico quadro macroeconomico: gli «strumenti della zona euro»

La mancanza di una gestione macroeconomica nella zona euro deriva dall’assenza di istituzioni appropriate in seno all’UE che siano responsabili di tale funzione. Noi proponiamo dunque i seguenti cambiamenti, al fine di dare alla zona euro la guida di cui ha bisogno.

Istituzionalizzazione del Gruppo-euro

Il Gruppo-euro, ossia la riunione dei ministri delle finanze della zona euro, al momento non è altro che un forum informale, impossibilitato a prendere qualsivoglia decisione legalmente vincolante. Il suo ruolo di coordinatore non è mai stato veramentesviluppato, e ciò ha implicato un vero e proprio vuoto nella guida economica dell’Unione e, in particolare, la totale mancanza di una strategia fiscale comune e di un effettivo dialogo tra le autorità finanziarie e la BCE. I cittadini europei soffrono in prima persona l’effetto di tali lacune e inoltre, l’assenza di una rappresentanza esterna unificata che parli a nome della zona euro priva la moneta unica europea di una voce altrimenti vigorosa. L’istituzionalizzazione del Gruppo-euro gli conferirebbe poteri decisionali indipendenti, che peraltro proponiamo di estendere, così da includere l’adozione di politiche fiscali per la zona euro, il monitoraggio della compatibilità delle politiche nazionali e la definizione di linee guida relative alla politica sui tassi di cambio.

Il ministro delle finanze europeo

Il presidente del Gruppo-euro dovrebbe gestire i rapporti con la BCE, parlare a nome della zona-euro ed assicurare che quest’ultima si esprima davvero con voce unica in occasione degli inconbtri finanziari internazionali. Al fine di migliorare la visibilità della presidenza del Gruppo-euro tanto all’interno che all’esterno dell’Unione, proponiamo che chi ricopre tale posizione divenga il ministro delle finanze dell’Unione, possibilmente seguendo il modello della «duplice veste» che il trattato costituzionale prevede per il ministro degli affari esteri dell’Unione.

 

Far emergere un’Europa che dispensi protezione e capacità ai propri cittadini: un welfare sostenibile per l’Europa del XXI secolo

Abbiamo già avuto modo di spiegare perché siamo convinti che indurre la crescita sia una conditio sine qua non per portare avanti il processo d’integrazione europea. Riteniamo anche che una condizione aggiuntiva ed altrettanto necessaria perché l’Europa riconquisti il sostegno dei cittadini è che l’Europa stessa li protegga di più e dia loro maggiori capacità.

Questo è ciò che chiamiamo «welfare sostenibile europeo per il XXI secolo», perché dovrà essere in linea con la realtà dell’economia globalizzata dei nostri giorni. Sosteniamo che ci sono ragioni più che fondate per espandere e migliorare le competenze europee in questo senso.

Prima di tutto gli europei devono fare propri i valori comuni di base. La protezione è il fulcro di tali valori, e abbraccia la continua ricerca di una piena e migliore occupazione, la giustizia sociale in seno all’Unione e ai suoi Stati membri, la massima tutela ambientale ed infine la sicurezza interna ed esterna. Oggi la maggior parte di tali responsabilità ricade nelle competenze degli Stati membri.

In secondo luogo, l’Unione europea si trova rispetto agli Stati membri in una posizione migliore per fornire protezione nei confronti dei nuovi rischi che emergono dall’ambiente globalizzato attuale. Contrariamente a quanto ogni singolo Stato potrebbe fare agendo da solo, l’Unione, in virtù della propria massa critica, è in grado di dare un contributo decisivo alla regolamentazione del fenomeno stesso della globalizzazione, di affrontare il problema dei cambiamenti climatici o di gestire altre e sempre nuove problematiche di sicurezza quali il terrorismo internazionale.

In terza battuta, i sistemi sociali europei rappresentano un’alternativa reale all’approccio neoliberale che si sta imponendo. È necessario dare all’Europa la capacità di promuovere la coesione socioeconomica all’interno e tra i suoi Stati membri. L’Europa deve rispondere in modo efficace al problema dell’invecchiamento della popolazione, senza per questo minare l’equità dei sistemi pensionistici, ma mantenendo gli obiettivi del rafforzamento strutturale e della convergenza economica strettamente collegati.

 

Nuove reti di sicurezza in un’economia globale

Storicamente, le reti di sicurezza sociale sono state create negli Stati membri dopo la Seconda guerra mondiale. Contribuiscono alla coesione sociale di questi paesi ed ovviamente non debbono essere trasferite a livello dell’Unione. L’Unione invece, può e deve sviluppare nuove reti di sicurezza per proteggere gli europei dagli inconvenienti della globalizzazione ed aiutarli a trarre vantaggio dalle opportunità che questa offre. Le tre proposte seguenti illustrano la nostra posizione.

Sostegno europeo al reddito minimo

Un sostegno europeo al reddito minimo rifletterebbe il diritto del cittadino europeo alla «sicurezza della sussistenza», ossia ad un livello di vita che non scenda al di sotto di un determinato minimo. Esprimerebbe solidarietà tra tutti i cittadini euro pei e diverrebbe il simbolo del «welfare europeo per il XXI secolo». Il livello minimo del reddito non sarebbe ovviamente lo stesso in tutta Europa, viste le disparità esistenti in un’Europa a venticinque membri, altrimenti la nostra proposta risulterebbe inutile (se il livello fissato è troppo basso) o impraticabile (se invece è troppo alto). Ogni livello minimo nazionale dovrebbe però essere determinato sulla base di un metodo comune di calcolo che permetta adeguamenti nazionali al fine di riflettere le differenze di potere d’acquisto nei diversi Stati membri.

«La sicurezza sociale professionale», il primo diritto sociale europeo

In tutta Europa i lavoratori dipendenti si stanno trovando ad affrontare un generale cambiamento nell’assetto della propria carriera professionale. La questione è semplice: il modello di una carriera che si sviluppi in seno alla stessa azienda per tutta la vita è ormai finito, e i lavoratori cambiano occupazione sempre più frequentemente. Questo fenomeno è all’origine di ineguaglianze di vasta portata tra coloro che possono beneficiare della mobilità lavorativa e coloro che invece soffrono per questo nuovo stato di cose. Per distribuire i costi associati a questa mutazione dell’industria a tutti i comparti della società, l’Unione dovrebbe contribuire a sostenere la transizione dal vecchio posto di lavoro, quello che si è perso, a quello nuovo. Nell’economia dei nostri tempi è comunque sempre più difficile proteggere il posto di lavoro, e quindi sono i lavoratori e le loro carriere che dovrebbero essere l’oggetto di nuove forme di protezione ed i destinatari di nuovi strumenti atti a migliorare l’occupabilità degli individui, a facilitarne la mobilità e a migliorare le prospettive di avanzamento professionale.

L’avanzamento professionale dovrebbe essere garantito durante tutta la carriera del lavoratore grazie ad agenzie di collocamento che operino in modo attivo, attraverso la possibilità di riutilizzare le capacità previamente acquisite e grazie alla formazione continua.

Il Fondo europeo di sostegno alla prima infanzia

Dal momento che i lavoratori cambiano spesso occupazione durante la propria vita lavorativa, si trovano anche a dover acquisire continuamente nuove capacità. La capacità di imparare qualcosa dipende dal «capitale cognitivo» accumulato nella prima infanzia. In questa fase della vita sussistono enormi differenze tra bambino e bambino, tra quei bambini il cui intelletto è attivamente stimolato dai genitori e quelli abbandonati di fronte al televisore. Il retaggio sociale svolge un ruolo chiave nei primi anni di vita e influisce significativamente sul capitale cognitivo di un individuo. Ecco perché dobbiamo «investire sui bambini», creando in tutta l’Unione asili nido dedicati alla prima infanzia che siano disponibili ed accessibili a tutti, come già avviene in diversi Stati nordici.

L’investimento sulla prima infanzia dipende in gran parte dalle comunità locali, ma l’Unione dovrebbe fungere da facilitatore, cofinanziando gli schemi nel settore attraverso un fondo specifico per la «prima infanzia». L’intervento comunitario dovrebbe anche alleviare l’impatto delle prevedibili difficoltà che si verificheranno nei nuovi Stati membri, che hanno abolito gli asili comunisti e non dispongono delle risorse finanziarie sufficienti a rimpiazzarli. Questo costituirebbe un’altra e sostanziale espressione da parte dell’Unione del carattere coesivo delle proprie politiche, a vantaggio di tutti i cittadini comunitari.

 

Il programma europeo per la convergenza ambientale

L’Europa è probabilmente la regione che può vantare la maggiore coscienza ambientale del mondo. Eppure i suoi sforzi finora sono stati tutt’altro che adeguati. Lo sviluppo sostenibile richiede un approccio globale, imperniato sulla prevenzione e non più essenzialmente sulla cura. Ad esempio, le emissioni di anidride carbonica hanno scatenato un processo di riscaldamento del pianeta, e anche riducendo drasticamente le emissioni di CO2, il clima continuerà a cambiare nel lungo termine. Ecco perché lo sviluppo sostenibile non può più ricorrere semplicemente ad azioni volte a riparare il danno a posteriori: dobbiamo adottare una modalità di gestione che ci permetta di giocare d’anticipo. Proponiamo dunque l’introduzione di un principio di prevenzione nelle politiche ambientali dell’UE.

Tale principio dovrebbe trovare attuazione nel contesto di un programma d’azione generale modellato sull’esempio di quello per la convergenza economica, che ha permesso di introdurre senza scosse l’euro. Comporterà la definizione di un «Programma dell’UE per la convergenza ambientale», mirato a stimolare il delinearsi di un vero e proprio modello di sviluppo sostenibile. Il programma sarà corredato da indicatori che consentiranno di valutare i cambiamenti a lungo termine. Sarà inoltre sostenuto da adeguati strumenti tanto finanziari che legislativi al fine di garantirne la piena realizzazione.

 

Migliorare la libertà, la sicurezza e la giustizia: le politiche comuni in materia di affari esteri e sicurezza dell’UE

In un ambiente globalizzato, non esistono frontiere tra l’interno e l’esterno. Per i cittadini europei dare credito al concetto di un’Europa che ci protegge significa percepire effettivamente il ruolo svolto dall’Unione europea nel migliorare la sicurezza a casa loro, cioè negli Stati membri, ma anche all’esterno. Questa è la ragione per cui noi sosteniamo, come d’altronde previsto fin dai Trattati di Maastricht ed Amsterdam, che l’intera Unione europea divenga un’area di libertà, di sicurezza e giustizia capace di attuare più ampie politiche comuni tanto nel campo degli affari esteri che della sicurezza. Iniziative attualmente in corso quali Eu ropol ed Eurojust dovrebbero essere estese e trasformate rispettivamente in una sorta di Euro-FBI e di Ufficio del Pubblico ministero europeo che coordinino le attività degli Stati membri in questi due settori di competenza. Le suddette misure rappresentano una condizione per opporsi con successo a piaghe internazionali quali il terrorismo, la proliferazione nucleare, il fallimento dello Stato e il crimine organizzato.

Una forte politica estera e di sicurezza comune dovrebbe contribuire ad estendere oltre i confini dell’Unione un sistema multilaterale internazionale basato sul diritto internazionale, sui diritti umani e sulle relazioni di buon vicinato, nonché facilitare la risoluzione delle controversie pendenti grazie al ricorso alla Carta delle Nazioni Unite e all’acquis comunitario. Il processo decisionale relativo alla politica estera e di sicurezza comune dovrebbe farsi più flessibile, così da permettere di dare risposte pronte ed efficaci ad eventuali conflitti regionali, tanto vicini quanto lontani. Questo non solo nell’interesse dei paesi terzi coinvolti, ma anche e in egual misura per il bene dell’Europa e dei suoi cittadini.

 

Far emergere l’Europa democratica

A che cosa mira l’Europa, e qual è l’obbiettivo finale del progetto europeo? I cittadini si attendono risposte esplicite. I socialisti ed i socialdemocratici europei hanno le loro opinioni politiche e nazionali. Non esiste un consenso, ad esempio, quanto ad un progetto federale per l’Europa. Ma i progressisti hanno in comune la stessa visione di un’Europa democratica. Questa non è comunque fine a se stessa. L’Europa è legittima perché i valori comuni europei, condivisi da tutti gli europei e caratteristici di questa parte del mondo, esistono comunque, a dispetto delle differe n ze nazionali. Possono essere sintetizzati come segue: inviolabilità dei diritti umani, cultura come strumento di emancipazione, un modello di sviluppo sostenibile, caratterizzato da un particolare equilibrio tra prosperità economica, giustizia sociale e protezione ambientale, e una visione dell’ordine internazionale fondata sul multilateralismo. Il nostro obbiettivo finale è la piena democratizzazione dell’Europa e delle istituzioni europee. Siamo convinti che a tale scopo sia necessario che la classe politica contribuisca all’emergere di una coscienza europea. Per ottenere democrazia e legittimità in Europa, abbiamo bisogno di un’opinione pubblica europea formata da cittadini europei.

 

Democratizzare l’Unione europea

Per colmare il deficit democratico, proponiamo che le istituzioni europee siano rese pienamente responsabili di fronte ai cittadini europei: la Commissione deve trasformarsi in un organo esecutivo appartenente all’Unione e democraticamente eletto a maggioranza in parlamento; il Parlamento europeo dovrà detenere pieni poteri legislativi e di bilancio; il Consiglio dei ministri dovrà trasformarsi in una seconda camera legislativa dell’Unione, che rappresenti gli Stati; il Consiglio europeo dovrebbe essere al vertice dell’architettura istituzionale. Dovrà essere presieduto dal presidente d’Europa il quale, assieme al ministro degli esteri dell’Unione europea, sarà la voce dell’UE nell’arena internazionale.

Parallelamente alla creazione delle istituzioni, propugnamo quella di un vivace «Spazio democratico europeo», finalizzato a promuovere una vita pubblica europea che sia attiva davvero. Le seguenti riforme andranno a sostenere il raggiungimento degli obbiettivi prefissati:

a) Presentare la scelta del presidente della Commissione europea come una delle sfide delle elezioni europee. Oggi il presidente della Commissione europea è nominato dai capi di Stato e di governo. L’interesse nei confronti delle elezioni europee risulterebbe quanto mai accresciuto se ogni partito politico designasse, prima delle elezioni, il proprio candidato alla carica di presidente.

b) Scegliere i commissari tra i membri del Parlamento europeo. Ciò rafforzerebbe considerevolmente l’attrazione verso le elezioni europee da parte dei politici nazionali, giacché una carriera europea richiederebbe un mandato come deputato del Parlamento europeo.

c) Riservare una parte dei seggi del Parlamento europeo (il 20%, ad esempio) a parlamentari eletti da liste europee. L’attuale sistema elettorale è insoddisfacente perché le elezioni europee sono ancora troppo spesso combattute sulla base delle politiche nazionali. La creazione di liste di portata europea presenterebbe il vantaggio di stimolare il dibattito europeo e di scollare finalmente le elezioni dalla sola scena nazionale o regionale.

d) Annunciare simultaneamente in tutta l’UE i risultati delle elezioni per il Parlamento europeo. Gli annunci in ordine sparso rafforzano il carattere nazionale delle elezioni europee. Un annuncio simultaneo implicherebbe un’analisi ed un’intepretazione dei risultati paneuropea.

 

Rafforzare l’identità europea

Una delle lezioni fondamentali da trarre dall’insuccesso del trattato costituzionale è che abbiamo voluto «fare l’Europa» senza prima «fare gli europei». I cittadini dell’Unione sono troppo spesso europei inconsapevoli di esserlo. Una condizione necessaria per concretizzare un’Europa democratica è quindi la genesi di un comune senso di appartenenza all’Europa. A che servono le istituzioni europee, anche se, come speriamo, dovessero divenire più democratiche, se gli europei non si sentono parte della stessa comunità di valori? Molte sono le soluzioni da esplorare al fine di sviluppare un genuino senso di cittadinanza europea.

Mobilità

Lo scambio è la migliore garanzia per far coagulare questo senso di appartenenza. Il programma Erasmus coinvolge un milione di studenti ogni anno e costituisce un grande successo. L’obbiettivo sarà quello di estenderlo a 30 milioni di studenti europei. Proponiamo inoltre di inserire nei programmi scolastici dell’istruzione superiore ulteriori incentivi a svolgere i propri studi al di fuori del proprio paese d’origine per almeno un anno. Le linee del bilancio UE pertinenti a questo settore dovranno essere adeguate all’uopo, così da assicurare che tutti gli studenti, qualsivoglia sia il livello delle risorse di cui dispongono, possano avere accesso allo schema.

Istruzione

L’informazione riguardo all’Europa è altamente deficitaria. I cittadini non conoscono le istituzioni europee, e d’altronde, chi ha mai insegnato loro cosa siano? Noi proponiamo un’integrazione al programma di educazione civica nazionale applicato nelle scuole, che comprenda la discussione dei valori europei e la presentazione delle istituzioni dell’Unione. Anche i programmi di storia europea mostrano gravi lacune: gli europei hanno in comune un’eredità storica ricchissima, ma non la conoscono granché. Una storia europea raccontata agli studenti, con gli stessi riferimenti storici, i medesimi grandi personaggi, gli stessi grandi traguardi, avrebbe un valore inestimabile. Proponiamo dunque la creazione di un programma di corso scolastico in cui si racconti la storia dell’Europa e delle sue diversità, sulla base di un libro di testo comune a tutt’Europa. Ed infine parliamo della formazione linguistica, anch’essa ancora ben lungi dal potersi dire soddisfacente. Siamo d’accordo che è essenziale proteggere le lingue europee. Per molti europei, però, la diversità linguistica sembra essere un ostacolo alla creazione di una comunità europea democratica. Come dimostrato dal successo ottenuto in molti paesi, soprattutto dell’Europa del Nord, riteniamo che tale ostacolo possa essere superato. Proponiamo dunque di promuovere lo studio obbligatorio della seconda lingua fin dalle scuole elementari.

Cultura

La cultura svolgerà un ruolo chiave nello sviluppo di un senso comune di appartenenza all’Europa. L’Europa deve sentirsi orgogliosa ed adoperarsi per tutelare la ricchezza della propria diversità a fronte delle sfide poste dalla globalizzazione. L’Unione spende solo lo 0,1% del proprio bilancio per la cultura. Proponiamo di incrementare il budget ad essa dedicato e di dare priorità al sostegno della produzione di cultura europea.

Informazione

Non parliamo abbastanza dell’Eu ropa agli europei. La creazione di una grande emittente di diffusione radiotelevisiva investita di un mandato europeo rappresenterebbe una prima tappa verso la risoluzione del problema. In oltre, per sgombrare il campo da idee bizzarre e da malintesi riguardo all’Europa, i dibattiti pubblici sui temi europei dovrebbero divenire una costante a livello sia dell’Unione che nazionale, regionale e locale, e non rimanere eventi sporadici, limitati, ad esempio, al periodo in cui si tiene un referendum. Questo sarebbe, a nostro avviso, il più efficace dei modi per contro battere ai tentativi a dir poco sistematici da parte dei politici nazionali di attribuire a se stessi tutto il merito per ciò che va bene e di dare la colpa all’Europa per tutto quanto va male.

 

Rilanciare l’Europa dei cittadini

Far funzionare l’Europa e simultaneamente promuovere l’emergere di un’Europa dispensatrice di protezione e di nuove capacità implica la necessità di rafforzare l’Unione, conferendole competenze specificatamente orientate a promuovere la crescita e ad intraprendere una serie di passi concreti verso un welfare europeo sostenibile per il XXI secolo. Questi sono appunto i primi due pilastri della nostra proposta congiunta per rilanciare l’Europa dei cittadini. Sono essenziali per assicurare il ritorno della crescita e dell’occupazione, contribuendo al tempo stesso alla creazione di prosperità, coesione, equità e solidarietà tra le generazioni e tra i nostri popoli. Il terzo pilastro è quello della costruzione democratica: vogliamo sostenere l’emergere di un sentimento comune di appartenenza all’Europa che, ne siamo convinti, spianerà il cammino al rafforzamento di istituzioni davvero democratiche e allo sviluppo di un «spazio democratico» europeo. Noi, think tanks di tutta Europa, proponiamo le nostre riflessioni a tutti i progressisti, ed in particolare ai partiti membri del Partito socialista europeo. Aspettiamo con impazienza di poter dar vita ad un dibattito fruttuoso in questo senso sia all’interno che all’esterno della nostra famiglia politica e di poter avviare quell’azione politica concreta che ci permetterà di realizzare le nostre proposte.

 

 

Note

* Questo testo è il risultato del lavoro di un gruppo di fondazioni progressiste – A gauche en Europe, Demos Hungary, Fundacion Alternativas, Gauche Réformiste Eu ropéenne, Istame, Italianieuropei e Policy Network – che tra l’ottobre e il dicembre 2005 hanno elaborato analisi e proposte relative alle diverse dimensioni a cui dovrà rivolgersi un’iniziativa riformista per rilanciare il progetto europeo, dopo la battuta d’arresto registrata con i referendum sulla Costituzione. Il documento è stato discusso a Bruxelles il 14 gennaio scorso da esponenti politici riformisti europei – tra questi Joaquin Almunia, Massimo D’Alema, Anna Diamantopolou, Roger Liddle, Poul Nyup Rassmussen, Dominique Strauss-Kahn, Livia Turco – nel corso del seminario «Re-launching Citizens’ Europe. For an iniziative of the European Left».

 

1 Ricerca: l’Europa investe in ricerca e sviluppo solo l’1,9% del proprio PIL, contro il 3% di Stati Uniti e Giappone. Istruzione Superiore: solo il 24% della popolazione europea ha un grado di istruzione superiore, contro il 40% degli Stati Uniti. Ecco una cifra ancora più inquietante: ogni anno la spesa dedicata all’istruzione superiore negli Stati Uniti rappresenta oltre il doppio di quella investita in Europa allo stesso fine, con il 3% contro l’1,4% del PIL. Innovazione: le cosiddette nuove entrate sul mercato, che sono il fulcro stesso dell’innovazione, non hanno mai goduto di priorità nel contesto europeo: i mercati finanziari dell’Unione europea sono troppo ristretti, la quota di capitale di sviluppo troppo esigua. Mentre il Mercato unico è troppo sbilanciato verso gli operatori già consolidati. Ne consegue che solo il 4% delle aziende dell’UE (in termini di capitalizzazione del mercato) sono state fondate meno di 4 anni fa, contro il 12% degli Stati Uniti. Infrastrutture: per quasi vent’anni, uno dopo l’altro, i vari Consigli dell’UE hanno preso atto, senza peraltro dare seguito alle proprie analisi e alle proprie decisioni, che una maggiore integrazione del mercato europeo richiede investimenti per le reti europee dei trasporti pari a 500 miliardi di euro in un periodo di tempo di dieci anni.