Il peggio è passato, ma l'Ulivo deve crescere

Di Enrico Letta Lunedì 02 Giugno 2003 02:00 Stampa

Ci siamo finalmente buttati alle spalle i due anni peggiori della legislatura. Una legislatura che, con una schiacciante maggioranza sia alla Camera sia al Senato, come non si vedeva da molti decenni, per chi sta all’opposizione non poteva che tramutarsi, soprattutto nella fase iniziale, in un incubo. A rivedere con gli occhi di oggi il tempo trascorso da quel 13 maggio del 2001 l’esercizio di analisi su dinamiche e tendenze interne all’opposizione è tutt’altro che retorico. Ci siamo trovati di fronte una maggioranza partita con significative posizioni di vantaggio. Le principali sono di natura politica. Quella quantitativa anzitutto.

 

Ci siamo finalmente buttati alle spalle i due anni peggiori della legislatura. Una legislatura che, con una schiacciante maggioranza sia alla Camera sia al Senato, come non si vedeva da molti decenni, per chi sta all’opposizione non poteva che tramutarsi, soprattutto nella fase iniziale, in un incubo. A rivedere con gli occhi di oggi il tempo trascorso da quel 13 maggio del 2001 l’esercizio di analisi su dinamiche e tendenze interne all’opposizione è tutt’altro che retorico. Ci siamo trovati di fronte una maggioranza partita con significative posizioni di vantaggio. Le principali sono di natura politica. Quella quantitativa anzitutto. Se pensiamo ai numeri appena sufficienti con cui l’Ulivo ha dovuto fare i conti per tutta la durata della scorsa legislatura, la maggioranza parlamentare che sostiene il governo Berlusconi determina uno scenario completamente diverso. Basti ricordare cosa ha significato per i governi dell’Ulivo avere partiti o gruppi eterogenei di singoli parlamentari sempre condizionanti rispetto all’approvazione dei propri provvedimenti e allo stesso voto di fiducia. Anche le evoluzioni politiche interne alla maggioranza cui abbiamo assistito nella scorsa legislatura sono il frutto e la conseguenza delle risicate maggioranze che sostenevano i governi di centrosinistra.

La seconda condizione di vantaggio, anch’essa di natura tutta politica, è legata alla coesione dell’attuale maggioranza. Il vero successo di Berlusconi, più che nel risultato numerico, è infatti consistito nell’aver conquistato una insostituibile e «monarchica» centralità interna alla coalizione. Fu chiaro a tutti, fin dall’inizio, che nuovi ribaltoni sarebbe ro stati impossibili, vuoi per l’indisponibilità preannunciata dall’Ulivo, vuoi per l’impossibilità concreta che consistenti frammenti del centrodestra abbandonassero la Casa delle Libertà determinando una crisi di governo. I numerosi tentativi per conquistare margini di autonomia si sono esauriti in spicchi di visibilità che una volta la Lega, una volta l’UDC, una volta Alleanza Nazionale sono riusciti a ritagliarsi nella dialettica quotidiana di questi due anni e che avevano la sola prospettiva di una crescita di peso specifico e di un riposizionamento in vista di possibili nuovi scenari. Si trattava però di mere operazioni di «libera uscita» concesse dal Cavaliere.

Le uniche vere operazioni politiche si sono compiute quando pezzi della Casa delle Libertà hanno agito facendo da sponda a iniziative istituzionali, provenienti per lo più dal Quirinale e tendenti a evitare sconquassi intollerabili nell’ordinamento, nella dialettica tra potere legislativo ed esecutivo da una parte e magistratura dall’altra. In questi casi, i pur scarsi margini di autonomia di parti della coalizione più sensibili alla dignità delle istituzioni, sono stati sufficienti a provocare interventi dalle conseguenze molto rilevanti. Tutto ciò facilitato dalla particolare situazione di debolezza in cui Berlusconi si trova a causa del pervicace rifiuto di risolvere il conflitto di interessi e della gestione spericolata delle sue vicende giudiziarie.

Le stesse reazioni alla recente batosta elettorale confermano l’incapacità della Casa delle Libertà di costruire dinamiche alternative a quelle uscite dalle urne due anni fa. Nei giorni successivi alle amministrative sui giornali hanno strepitato Alleanza Nazionale e la Lega, lo strapotere del ministro dell’economia è stato oggetto di più di un’intervista, Bossi ha provato a rinverdire i fasti del periodo in cui era veramente autonomo e indipendente. Il tutto non ha prodotto nulla di concreto. Se niente è capitato dopo l’univoco segnale di questa tornata elettorale, si può azzardare una previsione: la Casa delle Libertà confermerà le dinamiche e gli assetti consolidati, registrando un deterioramento della sua dialettica interna, finché Berlusconi stesso non deciderà di intervenire. Ma avrà ancora la forza per farlo?

Il terzo vantaggio competitivo per la Casa delle Libertà è stato il clima di consenso profondo e reale che nei diversi settori del mondo economico ha accompagnato la nascita del secondo governo Berlusconi. Ancora oggi, di fronte all’evidenza di ricette sbagliate e all’assenza di una se pur minima strategia per far fronte alla grave crisi economica che il paese e l’Europa attraversano, è sempre pronta la sfilza degli alibi declinata dai soliti irriducibili. A dimostrazione che performance così maldestre hanno intaccato solo in parte quelle aspettative di sviluppo che, congiuntamente alle nostre carenze, avevano convinto piccoli e grandi artigiani, commercianti e imprenditori, a scegliere la CdL. Certo, ormai il cambiamento di clima nei confronti del governo è palpabile anche in quegli ambienti. È innegabile tuttavia che se fossimo stati noi a inanellare gli errori, le arroganze, i fallimenti di questo governo, nessun alibi ci sarebbe stato concesso. Neanche la negativa congiuntura internazionale ha avuto sull’immagine e sul consenso al governo le ripercussioni che era plausibile attendersi. Semmai, la profonda crisi economica della Germania, unitamente a meccanismi informativi troppo spesso benevoli, ha reso meno clamorosa a sguardi superficiali la situazione di grande difficoltà in cui, con inerzia preoccupante, sta scivolando l’Italia.

In una condizione come quella tratteggiata, suona oggi singolare il clima da ultima spiaggia che ha caratterizzato la vita dell’Ulivo di questi due anni. L’accusa generalizzata nei confronti della sua dirigenza, ripetuta con sempre maggior forza, è stata quella di non essere in grado di «mandare a casa» Berlusconi. Ci si è stupiti che questo non accadesse. Si sono messi sotto accusa i partiti e i gruppi parlamentari per la loro incapacità di realizzare l’obiettivo ripetendo il percorso del 1994. Le vicende di questi ultimi mesi dimostrano che il paragone con il 1994 non è proponibile, dimostrano che questa legislatura terminerà alla sua scadenza naturale e che, purtroppo, l’unico che può evitare che questo accada è Berlusconi medesimo. Non l’opposizione. Le conseguenze del risultato elettorale del 13 maggio del 2001 sono sotto gli occhi di tutti: per la prima volta nel parlamento italiano, dopo cinque legislature, c’è una maggioranza che nella sua ampiezza numerica è paragonabile solo al pentapartito degli anni Ottanta e che nella sua coesione attorno al leader non ha alcun vero precedente nella storia repubblicana italiana. Modelli di questo genere sono recuperabili solamente nelle esperienze di altri paesi europei con sistemi maggioritari altrettanto spinti come il nostro, o con leadership simili a quella dell’attuale capo del governo sulla sua maggioranza. La tradizionale assenza in Italia di ampie maggioranze ha ciclicamente ingenerato e quasi legittimato aspettative di cambi di governo e di scenario. In tutte le altre democrazie europee, tramite il sistema maggioritario o forti sbarramenti, si sono sempre avute lunghe stagioni di governo, dovute o alle regole o alla forza della leadership. In questo senso gli ultimi due anni hanno rappresentato per l’Ulivo un doppio potenziale scacco. Da una parte il vedere dispiegarsi la strategia berlusconiana, dall’altra l’evidente scarto fra le aspettative «modello 1994» e l’assenza della sua realizzazione. Oggi che l’asse Ragusa-Roma-Pescara-Friuli ha segnato una prima svolta e che il referendum, pericolosa trappola nella quale il centrosinistra poteva cadere rovinosamente, è stato superato con saggezza e maturità, possiamo vedere più chiaramente i passi avanti compiuti dall’Ulivo e la strada da percorrere. La scossa dei movimenti, la nascita stessa di nuove soggettività, ha fatto bene all’Ulivo. Esso ha dimostrato di recepirne con intelligenza gli stimoli, senza cadere alla tentazione di esprimere reazioni sdegnate alla critica o di inseguirne alcune suggestioni sbagliate.

Si è innanzitutto evitato uno scontro tra la piazza e il palazzo, tra i movimenti e i partiti, che avrebbe potuto essere letale per l’Ulivo, che, per tornare ad essere competitivo e vincente alle prossime elezioni politiche deve crescere ed evolversi. C’è stato uno sforzo reciproco nel capirsi e nel legittimarsi dopo incomprensioni iniziali, che ha avuto un effetto importante anche sullo stesso risultato elettorale di primavera. E va sottolineato il fatto che la gran parte delle difficoltà che il governo Berlusconi ha incontrato sono state scandite da manifestazioni nel paese che hanno reso ulteriormente evidente lo strappo in atto tra l’oggettivo radicamento popolare berlusconiano di qualche tempo fa e la chiusura «arcorecentrica» di oggi.

Alla luce dei recenti risultati elettorali è chiaro che l’opposizione alle destre va condotta efficacemente e con decisione sia all’interno delle aule parlamentari che fuori, attraverso la mobilitazione dell’opinione pubblica che liberamente si organizza e manifesta. Si è evitato che la giusta e feconda indignazione si trasformasse in un fenomeno banalmente protestatario, che invece di aiutare il centrosinistra impaurisce e provoca la reazione negativa di quell’area di cittadinanza che – risvegliatasi dal sogno berlusconiano – deve riprendere all’indietro il sentiero della motivazione a votare lo schieramento alternativo. È ora necessario che il rapporto movimenti-partiti evolva dentro forme e articolazioni che a Roma come nelle 100 province d’Italia diano ulteriori opportunità di partecipazione in una logica sempre più orientata alla costruzione del progetto alternativo vincente. E se i singoli partiti della coalizione hanno giocato un ruolo fondamentale nell’evitare divergenze radicali, solo l’Ulivo oggi è in grado di indicare una nuova prospettiva di partecipazione corale.

Il tempo è maturo. Si tratta di trovare le formule più giuste e idonee. L’aver tentato, già in queste amministrative, esperienze più o meno evidenti, di «primarie» indica che la strada è tracciata. L’avvicinarsi delle elezioni europee pone un altro obbligo, quello di evitare che una prova tutta giocata con il sistema proporzionale abbia effetti divisivi sulla coalizione, proprio ora che essa ha ritrovato forme di vita più unitarie. Per questo l’altra priorità è quella di individuare da subito dieci punti programmatici sui temi europei che tutte le liste dell’Ulivo sottoscrivano congiuntamente all’impegno di inserire nel simbolo elettorale un forte riferimento alla coalizione. Questo esercizio è essenziale per dare al centrosinistra quella forte identità su scala europea che è oggi necessaria per caratterizzare l’esperienza italiana. L’Ulivo non può essere ricondotto dentro l’artificiosa, incolore e novecentesca dicotomia socialisti-conservatori che vige nel parlamento europeo. La nostra peculiarità – l’incontro tra riformismi diversi – è la nostra vera ricchezza. Si tratta oggi di un esempio ancora isolato, ma non per questo va ricondotto a logiche di «normalizzazione» che avrebbero effetti fortemente controproducenti.

Se guardiamo all’avvio della legislatura e alle condizioni politiche di partenza, dobbiamo considerare lo stallo e l’evidente affanno nel quale il governo Berlusconi oggi si trova come un successo e come una grande opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire. Pena la stessa sorte di quei partiti che in Gran Bretagna, in Germania, in Spagna sono rimasti all’opposizione anche più di un decennio. In questi due anni sono stati compiuti passi importanti anche per la costruzione delle gambe con cui deve camminare l’Ulivo: i congressi dei partiti, il consolidamento della Margherita, le giuste scelte dei candidati sindaci, presidenti di provincia e presidenti di regione, la rinnovata voglia di partecipazione che si è manifestata anche attraverso tanti movimenti. Ora dobbiamo costruire l’Ulivo.

Le elezioni amministrative hanno dimostrato che si vince e si governa bene là dove l’Ulivo e il candidato sono qualcosa in più della somma delle «gambe». Questa è la nostra caratteristica. Siamo profondamente diversi dalla Casa delle Libertà. Non è un caso che in ogni elezione il voto all’Ulivo o al candidato dell’Ulivo sia sempre superiore a quello destinato alle liste. È stato così per Romano Prodi. È stato così nelle recenti amministrative. Questa è una forza, non una debolezza. Ne disponiamo anche grazie al sistema elettorale che abbiamo criticato tante volte, ma che, di fronte ai tentativi di Berlusconi per tornare al proporzionale, dovremo difendere con il coltello tra i denti.

Far crescere l’Ulivo vuol dire, da una parte, prepararsi alle europee con il doppio obiettivo del programma comune e dei simboli con il riferimento all’Ulivo, dall’altra, estendere il «metodo Illy» sia alla costruzione dei quindici Ulivi regionali che sfideranno la CdL nelle elezioni del 2005, sia al lavoro attorno al futuro candidato premier dell’Ulivo nazionale. Per metodo Illy si intende la scelta per tempo e senza affanno dei 15 candidati presidenti, almeno dodici mesi prima delle elezioni, e magari con le primarie. Si intende l’individuazione di metodi e persone per l’elaborazione di un programma su cui il candidato possa giocare un ruolo determinante. Si intende la delega al candidato, piena anche se non in bianco, della trattativa con gli alleati esterni all’Ulivo (in Friuli sia Rifondazione che Cecotti sono stati molto importanti) e la definizione della squadra.

L’estensione del metodo delle primarie rappresenta una grande opportunità da gestire con saggezza, ma senza paura. Dopo le elezioni europee e in vista delle regionali del 2005, l’Ulivo, a 18 mesi dalle politiche, dovrà scegliere, con l’espressione fisica del voto di due milioni di suoi sostenitori, il candidato presidente e dovrà costruirgli attorno le condizioni per la vittoria. Per la riuscita di questo progetto saranno necessari molti piccoli passi. Alcuni li abbiamo già fatti. Non fermiamoci.