Giovani cittadini europei: attori o spettatori?

Di Federica Caciagli Sabato 01 Giugno 2002 02:00 Stampa

A luglio il parlamento europeo ospiterà la «Convenzione dei giovani dell’Europa» per una discussione sul futuro dell’Unione europea secondo le nuove generazioni. Proposta dal Presidium, la Convenzione dei giovani sarà composta da 210 rappresentanti, fra i 15 e i 25 anni, scelti sulla base di autocandidature selezionate dai membri della Convenzione e dalle organizzazioni giovanili europee. La Convenzione dei giovani è un’iniziativa che risponde alle priorità del processo d’ascolto attraverso cui la Convenzione deve riscoprire le origini del progetto europeo, e definire le aspettative degli europei all’inizio del XXI secolo.

 

A luglio il parlamento europeo ospiterà la «Convenzione dei giovani dell’Europa» per una discussione sul futuro dell’Unione europea secondo le nuove generazioni. Proposta dal Presidium, la Convenzione dei giovani sarà composta da 210 rappresentanti, fra i 15 e i 25 anni, scelti sulla base di autocandidature selezionate dai membri della Convenzione e dalle organizzazioni giovanili europee. La Convenzione dei giovani è un’iniziativa che risponde alle priorità del processo d’ascolto attraverso cui la Convenzione deve riscoprire le origini del progetto europeo, e definire le aspettative degli europei all’inizio del XXI secolo. Giscard D’Estaing le ha così sintetizzate: «sviluppare un’affectio societatis europea forte e accettata, mantenendo il naturale attaccamento all’identità nazionale», privilegiando in questo processo i paesi candidati e «i giovani». Fra le raccomandazioni rivolte ai Convenzionali seniores che dovranno nominare le loro controfigure juniores si invita a rispettare il più possibile «l’equilibrio d’insieme per assicurare una rappresentanza diversificata all’interno della Convenzione dei giovani: età, sesso, stato professionale, mondo rurale-urbano, appartenenti ad associazioni e non ecc.».

Raccomandazioni, queste, a cui non è affatto semplice attenersi e che potrebbero sollevare alcune perplessità non solo di forma. Poiché il cosiddetto «mondo giovanile» è una realtà multiforme e dai confini sfocati che rende complessa la ricerca di una formula in grado di darne una rappresentazione fedele. La definizione da dizionario di «giovane » come colui o colei «che si trova nell’età della giovinezza», a cui normalmente segue «da intendersi spesso col valore di “adulto ma non ancora maturo e tanto meno vecchio”», dà l’impressione di un ridimensionamento a categoria di un gruppo socialmente, culturalmente ed economicamente eterogeneo. Ricondurre i giovani a categoria in virtù di criteri anagrafici non è sufficiente a spiegare chi siano le nuove generazioni con le quali l’Unione europea deve approfondire il dialogo. Criteri che hanno qualche senso, tuttavia, se aiutano a individuare un interlocutore rappresentativo nel quadro di un esperimento pilota che è da considerarsi un buon inizio come stimolo a forme di partecipazione strutturata dei giovani. Resta comunque il dubbio che nella selezione dei giovani prevalgano scelte personali e politiche dei Convenzionali. A maggior ragione in Italia poiché non esistono organizzazioni giovanili che rappresentano il paese nel Forum internazionale della gioventù, l’organismo consultivo dell’Unione. Un altro rischio è che sia data la preferenza a giovani rappresentanti con un titolo di studio elevato, il che non farebbe fede alle caratteristiche reali della «categoria» dei giovani. Non si dimentichi infatti che in alcuni paesi ancora il 10% circa dei giovani si trova nel cosiddetto status zero, ovvero non studia, non lavora, non è inserito in programmi di formazione, né beneficia di sussidi di disoccupazione.1

I «giovani» a cui ci si riferisce un po’ astrattamente, non sono in realtà che «giovani cittadini» europei la cui vicinanza e partecipazione effettiva alla costruzione europea è l’elemento fondamentale affinché di costruzione e integrazione si possa parlare nei prossimi anni. Soprattutto in previsione dell’allargamento dell’Unione e della necessità che i popoli dei futuri Stati membri facciano proprio il concetto – con ciò che esso implica – di «cittadinanza europea». E quella di «cittadinanza europea» – introdotta formalmente con il Trattato di Maastricht – non è una nozione di cui si prende coscienza automaticamente con il raggiungimento della maggiore età o la prima volta che ci si reca alle urne per eleggere il Parlamento europeo. Si tratta bensì della consapevolezza che la propria identità di cittadino deriva, oltre che dall’appartenenza ad un’entità statuale definita, dal riconoscimento del diritto/dovere alla partecipazione politica e alla rappresentanza nell’ambito sovranazionale dell’Unione europea. Ma non si tratta di un’equazione scontata. Il vincolo che lega orizzontalmente gli appartenenti alla stessa comunità è destinato a restare largamente teorico, senza quegli strumenti in grado di farne un veicolo di integrazione e miglioramento per le generazioni future.

Come emerge da un sondaggio dell’Eurobarometro del novembre 2001, mentre ancora un giovane su dieci non ha nessuna idea del significato di «cittadinanza europea», nei quindici paesi membri si registra una tendenza abbastanza uniforme ad associare a tale concetto una trilogia di rappresentazioni piuttosto pratiche: maggiore libertà di lavorare, vivere o studiare in uno qualsiasi degli Stati dell’Unione. Tali aspetti sono citati più frequentemente da chi ha avuto già l’opportunità di un’esperienza all’estero. Troppo pochi, tuttavia, perché l’educazione internazionale non sia più considerata un privilegio di élites, alla Grand Tour sette-ottocentesco.2 L’idea di «partecipazione politica» è invece ancora lontana dall’essere considerata un valore aggiunto rilevante associato alla cittadinanza europea. Diritti politici e possibilità di votare ai diversi livelli di elezioni nel paese in cui si sceglie di risiedere sono ancora aspetti che i giovani europei non considerano fra le loro priorità. Tutto ciò sembrerebbe una proiezione sul piano europeo di una tendenza che si manifesta più chiaramente nei contesti nazionali, e che è stata di recente confermata dall’assenteismo elettorale alle elezioni in Francia.

Solo un giovane su quattro infatti aderisce a un’organizzazione sindacale o a un partito politico.3 È un dato che indica un’evidente disaffezione dei giovani verso la partecipazione politica e associativa, e che appare più preoccupante dal fatto che solo il 4% attribuisce credibilità e rispetto ai politici come classe e professione. Tuttavia, sembra che la constatazione della scarsa partecipazione alla vita associativa e politica sia percepita dai giovani come un fenomeno su cui è necessario intervenire. Durante la preparazione del Libro bianco sulle politiche europee per la gioventù completato nell’autunno 2001, la Commissione ha avviato un processo di consultazione da cui è emerso l’auspicio dei giovani a una maggiore partecipazione ai processi legislativi, alla creazione di spazi per l’educazione politica nelle strutture educative e al sostegno ai loro Consigli o «Parlamenti». In parallelo, alla critica ricorrente secondo cui i giovani dimostrano generalmente disinteresse e apatia verso le istituzioni e il coinvolgimento attivo nella società, i giovani hanno risposto invitando gli «adulti» ad incoraggiare la creazione di spazi e processi formativi di educazione scolastica ed extra-scolastica a livello nazionale ed europeo. Sarebbe difficile altrimenti andare oltre gli auspici simbolici. La «partecipazione» viene indicata nel Libro bianco come il presupposto per lo sviluppo dell’educazione e della cittadinanza dei giovani europei. Ed è al centro delle richieste avanzate alla Commissione dalle associazioni giovanili europee affinché sia rafforzata la cooperazione con le ONG che operano in ambito giovanile, per costruire un «modello partecipativo» che preveda la cogestione e la delega parziale di attività e programmi. Attraverso un coinvolgimento attivo verrebbe incoraggiata «l’assunzione di responsabilità» da parte dei giovani, per la quale occorrono tuttavia almeno due diversi strumenti. Per sentirsi «responsabili» i giovani devono conoscere l’oggetto del loro impegno civile. Il che significa andare oltre un’idea approssimativa di Europa a metà tra le immagini televisive un po’ esotiche dei vertici europei (troppo lontani dalle realtà che molti giovani vivono), e uno spazio di libertà e potenzialità dilatate, a cui però raramente si sa come accedere e trarre beneficio. Di fatto, anche nei casi in cui i benefici derivano direttamente dall’essere cittadino di uno Stato membro, non sempre si ha la consapevolezza di quale sia l’origine di tale beneficio.

Si può riflettere dunque su due interrogativi. Quale idea hanno i giovani dell’Unione europea? E che tipo di informazione è facilmente fruibile senza che ciò richieda particolari canali intellettuali o materiali privilegiati? Il timore è che «l’Europa mascherata» a cui fa riferimento Giuliano Amato citando Delors, quella in cui «se io non vedo chi sta decidendo cosa, nella migliore delle ipotesi me ne disinteresso», prevalga come l’entità dai contorni sfocati troppo distante dalla rappresentazione che i giovani hanno di governo e di Stato. L’idea di Europa dei giovani degli Stati membri rivela posizioni niente affatto univoche. Da entità astratta e vaga, sovrastruttura-quadro, si passa a giudizi che attribuiscono all’Europa un «ruolo molto importante» ad altri in cui il ruolo dell’Europa è invece definito del tutto marginale nella quotidianità.4 Spesso emergono ancora sentimenti di distanza, di scarsa identificazione o addirittura di estraneità all’identità europea. L’esempio estremo è quello della Finlandia dove la UE è addirittura dipinta come una «minaccia all’identità nordica, al Welfare State e al modello nordico di relazioni familiari e di autonomia dei giovani».5 In alcuni casi persiste una visione etnocentrica ed eurocentrica e una sorta di diffidenza verso l’apertura dei confini esterni dell’Unione, in altri invece l’allargamento e l’apertura della «Fortezza Europa» sono considerati passi necessari. L’Europa è vista talvolta come una sorta di European dream che offre pionieristicamente la libertà di «andare dove si vuole e di crearsi un futuro migliore», ma che non corrisponde ad una mobilità sufficientemente incentivata. E se l’idea di «governo europeo» inizia ad essere recepita dai giovani, l’Unione continua anche ad essere associata alla «maschera» di una fumosa macchina burocratica. Ciò che più di frequente ci si auspica sono incentivi visibili all’occupazione, una maggiore sicurezza e pari opportunità, ma vale la pena sottolineare che la consapevolezza dei vantaggi che la cittadinanza europea può portare aumenta con il grado di istruzione.

Questo quadro non è certamente semplificato dall’incognita dei paesi candidati dell’Est, in cui la società civile dopo l’immediato boom post-transizione non ha ancora colmato l’assenza di una tradizione di sostegno alla partecipazione. E dove non è affatto scontato che i giovani facciano propria l’equazione del naturale ritorno nella «casa comune europea», nei cui valori dovrebbero identificarsi. Il fatto che i giovani dell’Est vivano in realtà svantaggiate rispetto alla nostra, non implica automaticamente che si affermi a priori una percezione positiva dell’Unione come veicolo di miglioramento. Per un’integrazione non solo di forma e in nome del «benessere» sono necessari processi d’informazione efficaci, di conoscenza e contaminazione reciproche di lingua, cultura e tradizioni fra giovani dell’Est e dell’Ovest. Non si tratta dunque di un quadro che rispecchia una sostanziale omogeneità di tendenze, ma di una proiezione che conferma la scarsa chiarezza intorno all’Europa che continua a prevalere tra i giovani.

Più omogenea è invece la natura delle aspettative e delle richieste che vengono avanzate all’Unione. Fra queste forse la più urgente è il perfezionamento di un’informazione capillare e di facile accesso, che non rifletta il malinteso per cui i giovani sarebbero una «categoria in senso anagrafico». Poiché di informazioni sulle istituzioni, le politiche e i processi comunitari ne esistono in abbondanza, ma la varietà dei componenti della «categoria giovani» fa sì che solo coloro che sono in grado di servirsene riescano ad avvicinare e a sfruttare le opportunità che derivano dall’essere cittadino europeo. La difficoltà sta nel fare in modo che le politiche di informazione, i programmi e i canali indirizzati ai cittadini – e dunque anche ai giovani – vengano strutturate in una strategia organica. Ciò affinché il destinatario sia messo in condizione di ricevere l’informazione senza dovere disporre di un accesso di fatto elitario a strumenti tecnici ancora non di massa. Larga parte dell’informazione passa per Internet – utilizzato oggi dal 37% dei giovani rispetto al 7% del 1997, ma pur sempre strumento non a portata di tutti.6 I mezzi di comunicazione di massa – televisione in testa – sono largamente indicati come il principale veicolo di informazione. Un veicolo che non filtra tuttavia un’informazione altrettanto specifica e mirata (nei paesi candidati addirittura si lamenta una «inflazione» di notizie interne e poca copertura sui temi europei),7 di frequente criticata dai giovani come «poco trasparente» e gestita esclusivamente da adulti. Un segmento inferiore è trasmesso da scuola e università, mentre associazioni e partiti non sono indicati come fonti d’informazione rilevanti, con l’eccezione dell’opinione dei giovani che si definiscono di sinistra.

Si tratta quindi di trovare un punto di contatto fra le esigenze e le richieste dei giovani cittadini europei e gli strumenti di cui gli Stati nazionali di concerto con l’Unione possono concretamente disporre. Le parole di Kofi Annan – «nessuno nasce un buon cittadino; nessuna nazione nasce democratica. Entrambi sono invece processi che continuano ad evolversi lungo l’arco di una vita. I giovani devono esservi inclusi fin dalla nascita» – sintetizzano un imperativo rivolto all’Unione. Poiché l’inclusione e la partecipazione dei giovani sono le – ovvie – precondizioni per il rinnovo e il funzionamento della democrazia. L’Unione ha riassunto i principali orientamenti e princìpi delle politiche per la gioventù nel Libro bianco sulla base dei criteri adottati a Lisbona per progredire verso una «società della conoscenza». L’applicazione del metodo aperto di coordinamento alla strategia europea dell’occupazione per agevolare il passaggio dalla scuola al lavoro, e il processo di inclusione sociale, non sono che due degli esempi di azioni promosse dal Libro bianco. Tali politiche incontrano però ancora molti ostacoli pratici – a partire dalle barriere linguistiche, fino all’assenza di uno standard europeo sulla formazione e lo status professionale.

È necessario dunque che siano impostate le basi per iniziative trasversali ai vari settori e concepite su vari livelli. Dal quasi esclusivo appannaggio degli Stati membri delle politiche giovanili sarebbe opportuno rafforzare il coordinamento di azioni a livello comunitario – con la creazione di un Fondo europeo diretto a finanziare le organizzazioni giovanili – e a livello nazionale, estese capillarmente fino alle realtà locali o regionali. Proprio per incentivare il coinvolgimento dei giovani nei processi decisionali che li riguardano attraverso l’accesso ai luoghi di rappresentanza da cui sono ancora largamente esclusi. Poiché continuare a confinare le voci dei «giovani» – per quanto diverse, complesse, non strutturate e difficilmente riconducibili all’espressione di una «categoria» – in una sottosezione della rappresentazione politica e dell’organizzazione nazionale e comunitaria, significherebbe aggirare un problema. Perché non esistono giovani oggi e adulti domani, ma solo giovani dai quali attingere futuri cittadini.

 

 

Bibliografia

1 Cfr. «Contributo iniziale del Forum europeo della gioventù al Libro bianco della Commissione europea» adottato dall’Assemblea generale. Bruxelles, 19-21 ottobre 2000.

2 Cfr. risultati dell’Eurobarometro, 8 novembre 2001.

3 Ibid.

4 Ibid.

5 Cfr. «National Youth Consultations to the White Paper on Youth Policy in Europe», Summary Report, May-July 2000.

6 Cfr. Eurobarometro.

7 Cfr. Europeans watching the Convention, 17 marzo 2002, «Convention watch», Istituto universitario europeo, www.conventionwatch.iue.it