Nepotismo

Di Antonio Menniti Ippolito Giovedì 03 Maggio 2012 16:21 Stampa

Farà forse sorridere qualcuno il risultato di un test elementare. Si prenda un catalogo bibliotecario italiano online e si digiti nel campo della ricerca per soggetti il termine “nepotismo”. Compariranno molti risultati, nella quasi totalità attinenti alla dimensione storica del fenomeno, in primo luogo legata alla vicenda del papato. Compiere la medesima operazione su un catalogo anglosassone rivela invece il contrario e un predominio dell’interesse per gli sviluppi della pratica nella contemporaneità. Perché questo avviene? Una diversa coscienza del passato… oppure del presente?


Farà forse sorridere qualcuno il risultato di un test elementare. Si prenda un catalogo bibliotecario italiano online e si digiti nel campo della ricerca per soggetti il termine “nepotismo”. Compariranno molti risultati, nella quasi totalità attinenti alla dimensione storica del fenomeno, in primo luogo legata alla vicenda del papato. Compiere la medesima operazione su un catalogo anglosassone rivela invece il contrario e un predominio dell’interesse per gli sviluppi della pratica nella contemporaneità. Perché questo avviene? Una diversa coscienza del passato… oppure del presente?

Proviamo a trattare qui dell’uno e dell’altro. Il nepotismo papale, dico di quello dell’età moderna, aveva motivazioni funzionali precise. A Roma, in controtendenza con quanto avveniva nelle monarchie dinastiche ordinarie, dove i ministri di carriera (in Spagna Olivares, in Francia Richelieu e Mazzarino) si trovarono a essere avvantaggiati rispetto ai familiari stretti del re, si impose un sistema istituzionale fondato sul cardinal nipote. Lo imponeva la natura particolare di una monarchia elettiva come il papato. Su chi altro se non un consanguineo avrebbe potuto fare affidamento un pontefice spesso eletto anziano e malmesso, che si muoveva in un mondo, quello curiale, che già nel momento della sua incoronazione cercava di prevedere gli esiti – al fine di affiancarsi subito al possibile vincitore – della tornata elettorale successiva? I parenti, si diceva, condividevano la causa del pontificato, non avevano motivo d’adulare il sovrano, potevano essere più liberi dei ministri di carriera da interessi e passioni privati. Anche Cristo, si affermò in un dibattito nel tempo d’Urbano VIII, aveva voluto al suo fi anco il cugino Giovanni. Ancora, i consanguinei non avevano interesse a nascondere la verità, davano più garanzia di riservatezza e di segretezza nei negozi. I rapporti di fedeltà e di amicizia si rompevano, quelli di consanguineità no; un cardinal nipote si poneva poi a capo della fazione cardinalizia formata dalle creature del papa e poteva governare in quiete il Sacro Collegio. Il cardinale Sforza Pallavicini, vicino al papa nepotista Alessandro VII Chigi, scrisse che ai ministri «estranei» mancava «se non l’habilità, l’autorità, l’amore e la confidenza là dove il vincolo di sangue è un legame d’affetto ordinato dalla natura et indissolubile».

Sembrava dunque in quel tempo inevitabile premiare il nipote del papa (e molti altri suoi consanguinei) e tutti in pratica in Curia facevano lo stesso e per motivi del tutto analoghi. Avevano consanguinei nella propria famiglia ristretta il Segretario di Stato, i più alti prelati, addirittura i cuochi di Palazzo e gli scopatori, che erano peraltro custodi di segreti intimi e preziosi dei loro padroni. Il sistema serviva e sopravvisse di fatto anche dopo l’abolizione formale del sistema nepotista avvenuta nel 1692. Il cardinal nipote venne camuffato in altro modo (per lungo tempo da Segretario dei memoriali) e quel sistema di governo non conobbe soluzione di continuità.

Questo in pillole il nepotismo nel passato, fenomeno che pure destava scandalo ma che sopravvisse a lungo perché aveva, come detto, in quella data realtà, una funzione utile. E quello di oggi? Cominciamo a dire che il termine nepotismo non basta più: veniva utile per il familismo papale avendo presumibilmente i pontefici dei nipoti piuttosto che dei figli (ma il primo vero cardinale nipote, Alessandro Farnese, era però figlio del figlio di papa Paolo III, 1468-1549), ma oggi il fenomeno si è ampliato ad altri livelli di parentela e clientela. Figli, mogli, cognati, zii, amanti, si potrebbe addirittura parlare, come si è visto, di escortismo. A ben vedere, forse, a definire quanto accade oggi potrebbe essere efficace parlare piuttosto di “caligolismo”. Si premia per far avanzare chi si ha vicino a diverso titolo, perché si “ha famiglia”, ma anche per affermare il proprio potere, per dimostrare d’esistere (e questo soprattutto avviene per i partiti politici), ovviamente favoriti da un sistema marcio. In Italia il barone che ha già sistemato la moglie e chissà chi, viene nominato rettore da un elettorato cospicuo e politicamente variegato avendo così la possibilità di sistemare anche i due figli e il nipote; il capo carismatico del partito anti Roma-ladrona (o chi per lui) con i soldi pubblici a uno dei figli sembra avere addirittura pagato un naso nuovo; un altro suo rampollo, apparentemente non troppo brillante, aveva invece destinato a una ben retribuita carriera politica. Resto sul punto, tornando però al passato: un grande papa nepotista, Paolo V Borghese, consentì a un suo nipote, il cardinale Scipione, di arricchirsi smodatamente, ma lo tenne quanto più poté lontano dalle dinamiche politiche della Curia, in cui egli, in quanto cardinal nipote, avrebbe potuto addentrarsi e soprattutto lo impiegò in quanto capo della clientela della famiglia: Scipione ebbe addirittura una segreteria particolare che si occupava di questi affari privati. Il grande storico difensore del papato Ludwig von Pastor ci spiega efficacemente perché questo avvenne descrivendo perfidamente il cardinale quale uomo di “spirito vivace, se anche non precisamente profondo”. Insomma, papa Borghese amava i suoi, ma ancora di più curò il funzionamento della macchina dello Stato, cosa che a tanti “principi” di oggi non sembra interessare più di tanto.

Ma il “caligolismo” odierno, senza alcuna utilità e dignità, come può essere debellato o almeno contenuto? Principalmente in due modi: con una opinione pubblica attiva e reattiva al punto da prevenire i fenomeni degenerativi (considerati finalmente quali tali) e con una rivoluzione possibile. Quale? Chiudiamo gli occhi e immaginiamo che il direttore generale della Rai, così come sta avvenendo con quello della BBC, venga ricercato con un annuncio pubblico sulla carta stampata (e allo stesso modo ovviamente i direttori, funzionari ecc. di qualsiasi ente, istituzione). Ci sarebbe ancora spazio per trote, creature d’ogni tipo e, appunto, cavalli di Caligola? No, o in misura almeno assai minore. Ma i partiti politici, al pari di soggetti quali gli enti locali o altri centri di potere, si dimostreranno disposti a dismettere una parte così notevole del proprio arsenale? Il caligolismo è in Italia forma aggravata – e probabilmente incurabile – del nepotismo. L’unica malattia che vede i malati affezionati al virus che li contamina.