Il Mercosur: economia e istituzioni nelle politiche dell'integrazione. Intervista a Carlos A.Alvarez

Di Carlos A. Alvarez Domenica 02 Marzo 2008 20:23 Stampa

Domanda Fino a prima della riunione di Cordoba c’era un clima pessimista, quasi apocalittico riguardo al futuro del Mercosur. Si parlava «dell’agonia o della morte del Mercosur». Di recente, dopo Cordoba, in alcuni ambienti si comincia a esprimere un certo entusiasmo per le novità del Mercosur, che potrebbe quasi portare a un clima trionfalista. A che punto lei pensa si trovi oggi il Mercosur?

 

Carlos A. Alvarez Bisogna evitare di cadere in due tentazioni che sono sempre presenti: la prima, il «merco-scetticismo», cioè analizzare l’integrazione da una prospettiva meramente congiunturale, determinata dalla situazione delle bilance commerciali dei paesi in rapporto al loro commercio interregionale. Da qui, secondo le circostanze, possono derivare analisi molto critiche e diagnosi estremamente pessimiste. Questa situazione era evidente prima del vertice dei presidenti di Cordoba, in Argentina, nel luglio 2006. L’altra tentazione, motivata ideologicamente e anche, come la precedente, attraversata da una visione congiunturale, è quella di credere che una riunione dei presidenti, con discorsi molto stimolanti sui benefici e i progressi dell’integrazione, possa risolvere tutte le questioni. Così passiamo dallo scetticismo alle rifondazioni e ai rilanci; cioè ad aspettative che poi non si concretizzano.

È evidente che la realtà sfugge a queste due letture, poiché il processo di integrazione continua a presentare sfide molto forti su un cammino che dura da quindici anni e che, nonostante i progressi e i regressi, è stato quello di maggior successo della storia sudamericana. Non è un caso, che, per gli Stati che fanno parte del Mercosur, questo continui ad essere un’opzione strategica, nonostante le critiche, le imperfezioni e l’esistenza di nuclei di oppositori molto forti. L’integrazione deve essere intesa come un processo, che a sua volta non può essere considerato separatamente dalla situazione interna di ciascuno dei paesi membri. Per questo è sorprendente che il Mercosur sia sopravvissuto in situazioni estreme o in congiunture molto critiche nella maggior parte degli Stati. Da ultimo, non dobbiamo dimenticare che, diversamente dall’Unione europea, non abbiamo paesi che possano agire come locomotive economiche e finanziarie del processo, ruolo che nel caso dell’UE fu ricoperto, in particolare, dalla Germania. Non soltanto il Brasile o l’Argentina non hanno queste risorse, bensì presentano alti livelli di disintegrazione interna in termini produttivi, regionali e di frammentazione sociale; in definitiva stiamo davanti a progetti nazionali non conclusi.

 

D Questa sarebbe la sua riflessione su quanto dichiarò Fidel Castro a Cordoba riguardo all’esempio del processo di integrazione europea?

 

C. A. Sì. Esistono differenze decisive che impediscono di confrontare situazioni e processi. Il Brasile non è la Germania e l’Argentina non è la Francia. Allo stesso modo il Paraguay, l’Uruguay o il Venezuela non sono il Benelux o la Spagna. E neppure viviamo negli anni d’oro del capitalismo, in quei tre decenni gloriosi tra il 1946 e il 1973, data in cui avvenne la crisi petrolifera. Non abbiamo avuto un Piano Marshall, e non siamo mai stati per gli Stati Uniti un’area strategica per incrementare lo sviluppo condiviso. In sintesi, le condizioni di ciascuno di questi paesi sono molto diverse.

 

D A Cordoba ebbe luogo un evento fondamentale, ovvero l’inserimento del Venezuela. Chavez, dopo il vertice, e nel quadro della discussione sul suo seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, intraprese una politica estera che presenta alcuni elementi problematici, come le sue relazioni con l’Iran, la Bielorussia e il suo confronto radicale con gli Stati Uniti. Come è compatibile, secondo il suo parere, la strategia dell’Argentina, come parte del Mercosur, con gli impulsi del presidente Chavez?

 

C. A. Sulla questione del Venezuela bisogna distinguere due temi. Si incorpora nel Mercosur uno Stato che è la terza economia sudamericana e il sesto produttore di petrolio su scala mondiale. Quindi, non si può prescindere dal fatto che è stata una decisione fondamentalmente politica, determinata dai punti di contatto fra i presidenti Nestor Kirchner, Lula Da Silva, Tabaré Vázquez, Nicanor Duarte e gli associati Evo Morales e Michelle Bachelet. L’esistenza di questi punti di contatto indica che stiamo vivendo un momento molto speciale dal punto di vista delle opportunità della regione. È evidente, ancora una volta, il rapporto tra la visione strategica dell’integrazione, che trascende i governi, e gli impulsi o i regressi che può avere il processo, e che dipendono dalla congiuntura. Intendo dire che l’incorporazione di un paese non può essere giudicata in base al governo che ha in quel momento; difatti, quasi nessuno ricorda quali erano i presidenti dei quattro paesi che firmarono il Trattato di Asuncion nel 1991. È anche certo che ogni momento ha i suoi fattori determinanti, una sorta di «clima dell’epoca» che influenza il processo di integrazione. In effetti, negli anni Novanta il processo ebbe un tratto esclusivamente commerciale, per cui la liberalizzazione del commercio rappresentava l’elemento più importante dell’integrazione. Ora torna in auge soprattutto il carattere pubblico. La cosa importante è evitare questo effetto altalenante e procedere con un progetto di più ampio respiro, il che implica includere e affrontare con maggiore enfasi, oltre agli aspetti commerciali, quelli politici, produttivi, tecnologici, sociali e culturali. Lo sviluppo della cooperazione in queste aree ha grandi potenzialità che permetterebbero alla popolazione di vedere con maggiore chiarezza i benefici concreti dell’integrazione.

Per quanto riguarda la proiezione internazionale di Chavez e il suo atteggiamento di scontro radicale con Bush, bisogna tener conto del fatto che il Mercosur non ha – e non avrà per molto tempo – né una politica estera né una politica di difesa comuni. Questi sono gli ultimi passi di un cammino verso l’integrazione. L’Europa, dopo cinquanta anni, non ha ancora una politica estera comune, come si desume dalle diverse posizioni assunte da Spagna, Italia, Francia e Gran Bretagna nei confronti della guerra contro l’Iraq e di altri conflitti internazionali. Bisogna analizzare quali sono le priorità o gli obiettivi principali dell’integrazione a ogni tappa. Ritengo che l’aspetto produttivo, quello sociale e quello energetico dovrebbero occupare l’agenda a breve termine.

 

D Quali sono i benefici dell’ingresso del Venezuela come socio a pieno titolo del Mercosur?

 

C. A. È possibile configurare un asse geografico e geo-economico che, per la prima volta nella storia della regione, vada dai Caraibi alla Terra del Fuoco, formando una colonna vertebrale costituita dalle tre economie più importanti del Sud America: Brasile, Argentina e Venezuela. Insieme agli altri paesi sudamericani, esse hanno le più grandi riserve di gas petrolio e risorse naturali dell’America; nonché un’eccezionale biodiversità, ricchissime fonti di acqua dolce e di ogni tipo di minerali. In questo momento, il Sud America rappresenta una regione marginale rispetto al conflitto che domina l’agenda internazionale. Siamo di fronte a una opportunità molto grande. E dipende dalla qualità delle leadership saperla utilizzare.

 

D La questione del Parlamento del Mercosur può aiutare il compito dell’integrazione?

 

C. A. Sì, dal punto di vista del consolidamento di una dirigenza politica con maggiore coscienza regionale, che si riunisca per affinità programmatiche più che per il paese di provenienza. Il Parlamento del Mercosur potrà contribuire al processo di istituzionalizzazione e sopranazionalità, poiché i legislatori del Mercosur potranno presentare proposte e iniziative che, anche se non in un primo tempo vincolanti, accelereranno il processo di integrazione. Dall’altro lato, la formazione del Parlamento conferma, nonostante i problemi, l’impegno strategico dei paesi che costituiscono il Mercosur. Questo impulso politico-istituzionale deve essere però accompagnato da progressi a livello della complementarità produttiva, di una migliore distribuzione degli investimenti tra i paesi e di una lotta integrale contro le asimmetrie, tema quest’ultimo che suscita i conflitti più profondi. Non vi è possibilità di successo per l’integrazione, se ciascuno dei paesi non pensa che a ottenere vantaggi. Le affinità politiche e ideologiche non sono sufficienti a compensare situazioni avverse in altri campi. Ci deve essere una sinergia tra gli interessi nazionali e l’agenda strategica regionale. Per questo ci preoccupano le tensioni bilaterali che perturbano la comunicazione tra governi progressisti, che dovrebbero avere più elementi di contatto che di dissenso. Il conflitto delle piante di cellulosa, le divergenze per il prezzo del gas tra Bolivia e Brasile o la controversia storica tra Cile e Bolivia sono temi che si deve cercare di risolvere nelle circostanze attuali, quando abbiamo dei presidenti che hanno sottoscritto importanti accordi programmatici e che condividono una visione più o meno comune.

 

D Ma le differenze esistono, e non è lo stesso se si tratti di Chavez o Bachelet.

 

C. A. La soluzione è saper coesistere in un mondo pluralistico e non pretendere di imporre leadership egemoniche. Si tratta di avanzare nel processo di integrazione, ma nel rispetto della diversità e considerando che la realtà di paesi come la Bolivia e il Venezuela – nei quali il sistema partitico tradizionale è crollato e dove l’obiettivo è di ricostruire il rapporto tra Stato e società – non è comparabile con la situazione attuale dell’Uruguay, del Cile o dell’Argentina, nonostante il collasso del 2001. Per questo è vitale garantire un’agenda positiva, nella quale tutti i paesi siano concordi nel legittimare nuovamente l’integrazione. (…) È anche negativo per la regione cercare di dividere il Sud America tra paesi con politiche moderate – soprattutto i paesi dell’area del Pacifico, che hanno sottoscritto trattati di libero scambio con gli Stati Uniti (Colombia, Perù, Cile, Messico) – e i paesi dell’Atlantico, con programmi più riformistici, che hanno respinto l’ALCA (la Zona di libero scambio tra le Americhe) e hanno preferito assumere posizioni di maggiore confronto con gli Stati Uniti, come è emerso al vertice delle Americhe di Mar del Plata, nel novembre 2005. Sarebbe un errore accettare questa dicotomia e rinunciare a un cammino a geometria variabile che rispetti, come deve essere, le caratteristiche e le decisioni sovrane dei paesi. Un eccessivo carico ideologico, la lotta per l’egemonia o gli scontri su temi circostanziali possono avere l’effetto di aprire una frattura sempre più grande tra i discorsi a favore dell’integrazione e la realtà concreta. Sarebbe molto frustrante che, in presenza di buone condizioni politiche (leadership affini) ed economiche (stabilità e crescita), non si possa fare un balzo in avanti nel progetto di integrazione.

 

D Che può dirmi dei paesi più sfavoriti del Mercosur, come il Paraguay e l’Uruguay, e della decisione dell’Uruguay di firmare un trattato di libero scambio?

 

C. A. La questione delle asimmetrie nel gruppo è un tema centrale ed è molto positivo che abbia meritato un’analisi importante da parte dei ministri dell’economia e degli esteri all’ultimo vertice dei presidenti a Cordoba. Le disparità economiche fra gli Stati membri del Mercosur rendono più difficile il compito di trasformare l’integrazione in un gioco con risultati positivi, dove tutti i paesi sentano di poter ottenere dei vantaggi. È necessario lavorare per migliorare le condizioni di accesso dell’Uruguay e del Paraguay ai mercati, e affrontare le asimmetrie partendo da una visione globale, cioè consolidare non solo l’aspetto commerciale, ma anche le questioni produttive, sociali, scientifico-tecnologiche, nelle quali lo scambio di esperienze e il trasferimento di know-how possono svolgere un ruolo molto attivo. Stiamo provvedendo all’applicazione dei Fondi per la convergenza strutturale (FOCEM), per un valore di 100 milioni di dollari all’anno, che costituiranno un fattore ridistribuivo significativo per l’Uruguay e il Paraguay, che beneficeranno di questi fondi per il 70%. L’ingresso del Venezuela nel Mercosur apre anche un mercato interessante. È già stata firmata una clausola che permetterà l’esportazione a dazio zero di una serie di prodotti dei paesi a economia minore verso il paese caraibico, a partire dal momento in cui i paesi avranno votato il protocollo di adesione del Venezuela. Quanto al dibattito in Uruguay sulla proposta di un trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, il presidente Tabaré Vázquez lo ha escluso, sostenendo piuttosto la necessità di una formulazione diversa che preveda migliori rapporti commerciali, ma che non includa le clausole previste nei trattati di libero scambio classici, come quelli firmati dal Perù o dal Cile, che esigono cambiamenti nella legislazione sulla proprietà intellettuale (brevetti e diritti d’autore), sulle telecomunicazioni, le commesse pubbliche e altro. È molto importante che il presidente dell’Uruguay abbia confermato il Mercosur come l’opzione strategica scelta dal suo paese per definire la sua posizione internazionale. Questa definizione però deve essere accompagnata da una maggiore attenzione alla questione delle asimmetrie che, in definitiva, svolge un ruolo molto importante al momento di valutare l’efficacia e la legittimità dell’integrazione. Insisto sul fatto che la lotta contro le asimmetrie implica un approccio globale: commerciale, produttivo, sociale, scientifico-tecnologico e culturale.

 

D In modo che il problema delle asimmetrie venga risolto attraverso un rafforzamento istituzionale…

 

C. A. L’integrazione deve significare il miglioramento della competitività sistemica della regione e implica sforzi congiunti per aggiungere valore a sistemi produttivi che non sono facilmente complementari. In Europa si sta discutendo della creazione dell’Istituto europeo di tecnologia con l’obiettivo di migliorare la competitività del continente, una sorta di «nave ammiraglia», come la definì il presidente della Commissione europea. Noi dovremmo lavorare – con le differenze che tutti conosciamo – per realizzare questo tipo di imprese, che contribuiscano ad accrescere e a rafforzare i legami. In questo senso abbiamo progettato la creazione dell’istituto di formazione di funzionari per l’integrazione, un master di formazione di sei mesi, con obbligo di frequenza, affinché ogni anno sessanta funzionari possano condividere la stessa esperienza formativa. Dopo dieci anni, dovremmo avere seicento dirigenti con compiti di responsabilità che si saranno formati insieme, fatto che necessariamente contribuirà a rafforzare il loro impegno e le loro convinzioni a favore dell’integrazione regionale. Sicuramente, questa esperienza contribuirà a elaborare nuove e migliori proposte per approfondire l’integrazione. Concordo sul fatto che la conoscenza e il trattamento congiunti delle tematiche relative alla società dell’informazione sono fondamentali e dipendono dalla volontà politica degli Stati, principalmente dei più sviluppati, che contano su maggiori risorse e capacità accumulate. Per affrontare tali questioni sarà necessario negoziare una riformulazione organizzativa e istituzionale del Mercosur, ma non avviando una discussione puramente teorica tra sopranazionalità e cooperazione intergovernativa, bensì ancorando tale discussione alle politiche che il Mercosur considera strategiche.

 

D Questo rispecchia una sorta di scetticismo sulla possibilità di introdurre la sopranazionalità?

 

C. A. È un cammino sul quale bisogna avanzare per quanto si può realmente fare, per quanto i paesi sono disposti a fare; altrimenti, i grandi discorsi a favore dell’integrazione non riusciranno a trasformarsi in qualcosa di concreto. Quello che proponiamo è che il Mercosur definisca i suoi assi centrali e attorno a questi sviluppi un’organizzazione funzionale alle mete e agli obiettivi previsti. Per noi, lo sviluppo produttivo, energetico, la modernizzazione delle infrastrutture, lo sviluppo sociale e quello culturale dovrebbero essere gli obiettivi prioritari, se pretendiamo di identificare l’integrazione con un modello integrale di sviluppo e non semplicemente con la liberalizzazione del commercio. Prima di compiere un balzo precario verso la cooperazione sopranazionale, potremmo far passare una istanza organizzativa che riunisca a Montevideo funzionari dei vari paesi, specializzati in questi temi, per avanzare nell’elaborazione e nell’attuazione degli accordi sottoscritti a livello intergovernativo. Questo significa un salto di qualità nelle politiche pubbliche regionali, una maggiore ampiezza delle tematiche affrontate e una maggiore velocità al momento dell’esecuzione. La sopranazionalità fa parte di un cammino in cui la cessione di sovranità, o i benefici di una sovranità condivisa, per dirlo in altro modo, devono essere controbilanciati da vantaggi oggettivi per i paesi e non essere il risultato di un dibattito teorico che non potrà mai aver luogo, né tra i ministri né tra i presidenti. Quello che dovrebbe essere discusso è come attuare questo Mecosur dopo il vertice di Cordoba, dove è emerso l’interesse dei presidenti per una concezione più ampia e comprensiva del processo di integrazione rispetto a quella che prevalse negli anni Novanta, secondo la quale i mercati e le grandi imprese dovevano essere i protagonisti centrali di tale processo.

 

D In che consiste fondamentalmente il progetto di Osservatorio democratico che lei ha proposto?

 

C. A. Fa parte del programma di lavoro che abbiamo delineato quando ho assunto la presidenza della Commissione, in cui sono anche inclusi lo sviluppo produttivo, la dimensione sociale, la formazione dei funzionari, la società dell’informazione, l’integrazione delle frontiere e il miglioramento e l’approfondimento della democrazia nei nostri paesi. In questo ultimo punto si inserisce la necessità di approfondire la clausola democratica che è stata approvata dal Mercosur a Ushuaia e che prevede che gli Stati membri debbano essere democratici. Credo che si debba andare oltre e, a tal fine, collaborare, insieme agli organi dei diritti umani dei paesi, a migliorare lo sviluppo istituzionale e la qualità delle nostre democrazie. Aver contribuito alla democratizzazione della nostra regione costituisce un risultato politico molto importante del Mercosur, così come aver garantito la partecipazione necessaria per realizzare maggiori livelli di equità e una migliore distribuzione delle entrate, che sono fondamentali in America Latina. La stabilità e il rafforzamento delle nostre democrazie costituiscono, ugualmente, un argomento che aiuta, senza dubbio, la sostenibilità dei nuovi modelli di sviluppo che i paesi stanno cercando di portare avanti. Possiamo anche contare su un osservatorio elettorale. Abbiamo già effettuato una prima missione per le elezioni in Brasile e, nel mese di dicembre, assisteremo a quelle in Venezuela. È importante che le procedure elettorali nei nostri paesi siano trasparenti e che promuovano governanti con una legittimità indiscutibile.

 

D Lei dice che i processi di integrazione non rispondono agli orientamenti ideologici dei governi, crede che lo spazio progressista abbia un’affinità speciale con questi processi?

 

C. A. È vero che le forze nazionalpopolari, progressiste o di sinistra hanno sempre contribuito all’unità del continente. È una rivendicazione storica. Al contrario, le visioni più conservatrici o di destra hanno proposto, nella maggioranza dei casi, un modello subordinato alla potenza egemonica di turno. Per questo non è casuale che nei nostri paesi si incontri un maggiore sostegno verso l’integrazione all’interno delle forze progressiste e, invece, si riscontrino critiche molto dure dai settori di destra, sia che si tratti di politici, imprenditori o mezzi di comunicazione. Tuttavia, bisogna cercare di non ideologizzare i processi di integrazione quanto, piuttosto, di costruire politiche con il maggior consenso possibile. Dato che i processi di integrazione trascendono i governi di segno diverso, essi devono poter avanzare anche se con visioni differenti. Non si tratta di costruire un’identità, bensì una convergenza di interessi e un gioco dai risultati positivi, in cui i paesi capiscano che possono ottenere dei vantaggi, indipendentemente dalla collocazione ideologico dei governi. Tuttavia, visto che in questo momento c’è una maggioranza di governi progressisti nella regione, bisogna cogliere questa buona opportunità per rafforzare l’unità. Questa non è però una condizione né necessaria né sufficiente. Il caso dell’Europa lo evidenzia chiaramente. Nello stesso modo, il Mercosur è stato creato negli anni Novanta. quando vi era una preponderanza di governi conservatori e, tuttavia, nonostante l’impronta sostanzialmente commerciale, il processo avanzò.

Nelle circostanze attuali si osservano due orientamenti principali rispetto all’inserimento dei paesi sudamericani nello scenario economico internazionale: quello dei paesi che scelgono di firmare trattati di libero scambio con gli Stati Uniti, e quello dei paesi del Mercosur più propensi a cercare modelli con maggiore autonomia, che evitino di concentrarsi esclusivamente sulla produzione di beni primari e di pagare costi eccessivi per accedere alla società del know-how. In questa linea si trovano il presidente Lula Da Silva, in Brasile, ora rieletto, Néstor Kirchner, Tabaré Vásquez (che ha deciso di non firmare un Trattato di libero scambio con gli Stati Uniti) e il Paraguay, il Venezuela e la Bolivia come paesi associati.

Speriamo di poter avanzare insieme e che gli eccellenti rapporti tra il Brasile e l’Argentina, lungi dal riaffermare il bilateralismo, servano a rafforzare la solidarietà all’interno del gruppo, evitando che i paesi meno ricchi si sentano membri di «seconda classe». Anche se le relazioni tra il Brasile e l’Argentina hanno un’importanza decisiva per la regione – non solo per il Mercosur, ma per la futura costruzione della Comunità sudamericana delle nazioni – questo non deve essere inteso come un elemento che escluda dallo spazio politico, economico e mediatico coloro i quali non desiderano l’integrazione regionale e preferiscono optare per uno schema di subordinazione agli Stati Uniti.[1]



[1] Questa intervista del presidente Alvarez è stata concessa in esclusiva a «Italianieuropei» e a «Umbrales», rivista teorico-politica del riformismo latinoamericano, edita a Buenos Aires, Argentina.