Assetti di mercato e concorrenza nelle public utilities in Europa

Di Laura Cavallo Venerdì 29 Febbraio 2008 20:52 Stampa

Il percorso di liberalizzazione dei servizi pubblici ha avuto alterne fortune. A periodi in cui sembrava che liberalizzazione e privatizzazione dovessero rappresentare il fulcro di una nuova politica economica, si sono alternati periodi in cui le difficoltà incontrate o i dubbi sull’effettivo beneficio conseguito dal consumatoreutente dalle liberalizzazioni già avviate hanno sensibilmente frenato o comunque rallentato il processo in corso.

A livello europeo, il processo di trasformazione dei servizi pubblici è stato direttamente o indirettamente stimolato dalle iniziative intraprese in sede comunitaria. In origine la Comunità europea ha evitato di intervenire direttamente nel settore dei servizi pubblici, lasciandoli alle competenze nazionali. La situazione si è modificata dagli anni Novanta, con l’approvazione della direttiva 90/531/CEE sugli appalti pubblici nei cosiddetti «settori esclusi» (in particolare: acqua, elettricità, gas, ferrovie, aeroporti, telecomunicazioni) e successivamente di numerose direttive settoriali volte a liberalizzare i servizi pubblici (ad esempio elettricità, gas, telecomunicazioni, poste ecc.) nella convinzione che nell’interesse dei cittadini-utenti e per adeguarsi al nuovo contesto economico, tecnologico e sociale fosse necessario spingere verso modelli relativamente condivisi di organizzazione di questi servizi. Questo nuovo impulso da parte della Comunità europea ha dovuto vincere forti resistenze, soprattutto all’inizio e soprattutto da parte di alcuni Stati membri più attaccati alla loro tradizione di servizio pubblico, in particolare la Francia. Si è quindi aperta una dialettica tra organi nazionali e comunitari, nel tenta tivo di arrivare ad un difficile equilibrio tra interessi comunitari, nazionali e locali. Il tentativo di regolare in maniera unitaria tutti i servizi di interesse generale attraverso lo strumento della direttiva, avviato con la diffusione del «Libro verde sui servizi di interesse generale» del 2003 e del «Libro bianco sui servizi di interesse generale» del 2004, si è scontrato con una realtà molto eterogenea per paese e per settore. Nonostante i singoli paesi abbiano mantenuto discrezionalità nel definire l’organizzazione e il finanziamento di questi servizi e le modalità di adempiere agli obblighi di servizio pubblico, a livello comunitario non mancano alcuni principi generali e alcuni meccanismi per «arginare» questa discrezionalità. Gli obblighi di servizio pubblico devono comunque essere dettagliati; eventuali aiuti di Stato devono essere trasparenti e chiaramente individuati come contropartita. Il Libro verde sui partenariati pubblico-privato (2004) ha affrontato il tema delle «PPP istituzionali» (società miste) e in particolare le modalità con cui questi soggetti potessero essere costituiti e ottenere l’affidamento di un contratto pubblico o di una concessione. Anche dove la Comunità europea non è intervenuta con una specifica normativa, alcune sentenze della Corte di giustizia europea hanno contribuito a promuovere la concorrenza, limitando progressivamente il campo di applicazione degli affidamenti diretti e la discrezionalità nell’erogazione di corrispettivi alle imprese che gestiscono servizi pubblici. Gli affidamenti diretti sono legittimi, ma vengono penalizzati attraverso una definizione restrittiva dei soggetti titolati a ricevere l’affidamento (in house) e di cosa possono fare dopo averlo ottenuto. Per comprendere le motivazioni tecniche, sociali e politiche che ostacolano le liberalizzazioni è utile fare una panoramica sull’organizzazione dei servizi pubblici e sullo stato delle liberalizzazioni in Europa, focalizzando sui principi comuni ed evidenziando le differenze applicative. In particolare, è interessante concentrare l’attenzione sui settori che sono più refrattari all’introduzione di elementi di concorrenza, in particolare il settore idrico e quello dei trasporti nei suoi vari comparti. La maggiore resistenza agli impulsi concorrenziali dipende dal fatto che in questi settori è più labile il confine tra servizi di mercato e servizi sociali, e sono più forti gli interessi locali. È per questi motivi che in questi settori i maggiori punti di resistenza si trovano spesso nelle stesse amministrazioni pubbliche, sia centrali che locali.

Tradizionalmente, è possibile distinguere i principali modelli di organizzazione dei servizi pubblici in tre grandi linee: 1) un modello «statu- nitense», che valorizza la molteplicità dell’insieme degli operatori ed è basato sulla cost of service regulation, in cui le performance dei gestori sono soggette al monitoraggio di commissioni pubbliche indipendenti insieme all’autorità antitrust; 2) un modello «francese», di impostazione «dirigista» che sostanzialmente, almeno in passato, basava l’organizzazione dell’offerta dei servizi su pochi «campioni nazionali»; 3) un modello continentale-europeo o «renano», che attribuisce un ruolo centrale agli enti locali ed è basato sull’assenza di regolatori settoriali a favore di un rafforzamento dell’antitrust, che assume anche compiti di vigilanza sulle performance delle imprese. Anche se non è possibile giudicare a priori se un modello sia migliore di un altro, è fondamentale che ogni modello presenti al suo interno elementi di coerenza con particolare riferimento alla natura proprietaria e all’assetto istituzionale (le privatizzazioni richiedono un regolatore forte e indipendente), al rapporto tra regolatore e regolato (l’abbandono della gestione diretta del servizio da parte del soggetto pubblico richiede un rafforzamento dei poteri di regolazione sul soggetto affidatario e strumenti adeguati a garantire il perseguimento delle finalità di interesse pubblico, come il contratto di servizio), alla ripartizione dei rischi tra i soggetti coinvolti, alle forme di finanziamento. In Europa i sistemi organizzativi dei servizi pubblici sono diversi non solo da paese a paese, ma all’interno dello stesso paese tra settore e settore e all’interno dello stesso settore tra le diverse fasi della filiera produttiva.

Guardando alle differenze tra paesi, per motivi diversi, il settore idrico e quello dell’energia sono quelli in cui l’organizzazione dei servizi e il livello di apertura del mercato presentano una maggiore uniformità: nel settore idrico l’organizzazione dei servizi si basa prevalentemente su monopoli integrati a carattere locale, a causa di uno scarso sviluppo della concorrenza dovuto anche a ragioni strutturali; il settore elettrico e quello del gas sono stati più o meno ovunque oggetto di riforme, anche se con intensità diverse, per effetto della normativa di liberalizzazione a livello comunitario.

Con riferimento ai principali settori delle public utilities, l’introduzione di elementi competitivi è stata molto sviluppata nel settore delle comunicazioni, dove il progresso tecnologico ha permesso di introdurre anche elementi di concorrenza «nel» mercato, e nel settore energetico, dove l’intervento comunitario è stato più incisivo. La spinta concorrenziale è stata invece limitata nel settore dei trasporti, anche se con alcune differenze in relazione ai comparti: più sviluppata nel settore aereo, dove si è inserita nel più vasto quadro di un processo di apertura dei cieli a livello mondiale, e più limitata nel segmento del trasporto pubblico locale, a causa delle resistenze dei governi locali e dell’impatto sull’occupazione. L’apertura dei mercati è stata molto ridotta nel settore idrico, dove, a causa della natura del prodotto e delle caratteristiche strutturali del settore (difficoltà di trasporto, alto costo delle infrastrutture, caratteristiche qualitative difformi che non permettono l’utilizzo di infrastrutture unitarie) il mercato risulta prevalentemente integrato e costituito da monopoli pubblici.

Il grado di concorrenza si differenzia poi con riferimento alle diverse fasi della filiera produttiva. La separazione tra la gestione della rete e dell’infrastruttura, caratterizzate in genere da elementi di monopolio naturale, e la gestione del servizio, oltre a favorire la concorrenza tra operatori che possono fornire servizi utilizzando una stessa rete, contribuisce a separare i due obiettivi di gestione e a favorire gli investimenti in infrastrutture. Il principio è di facile applicazione per alcuni servizi (gas ed elettricità), meno per altri (telefonia e idrico). La separazione della rete dal servizio può influire anche su un altro aspetto controverso delle liberalizzazioni, ovvero la necessità di mantenere la proprietà pubblica della rete. Se c’è effettiva separazione tra rete e servizio e una seria e forte regolazione dell’accesso alle reti, potrebbe non essere necessario che la proprietà delle stesse rimanga in mano pubblica. L’evidenza europea e internazionale mostra alcuni «cambiamenti di rotta» rispetto al principio della proprietà pubblica delle reti, e dimostra che in alcuni casi la proprietà privata può dare risultati superiori a quella pubblica anche nelle scelte dei programmi di sviluppo delle reti stesse (peraltro orizzonti temporali lunghi possono essere poco coerenti con il ciclo politico che influenza le scelte degli amministratori centrali o locali).

La proprietà delle reti in mano al gestore può facilitare il reperimento di risorse finanziarie o migliorare le condizioni di finanziamento. Come si è detto, il settore idrico è tra i più refrattari all’introduzione della concorrenza. A parte le ragioni strutturali, uno dei principali freni all’introduzione di elementi competitivi nel settore è dovuto al ruolo prioritario attribuito alla risorsa idrica e alla duplice natura del servizio che intreccia aspetti più propriamente economici e concorrenziali a problematiche di natura ambientale.

I principali riferimenti normativi a livello comunitario sono, oltre al Libro verde e al Libro bianco sui servizi di interesse generale a cui si è già fatto riferimento, la direttiva quadro sull’acqua (2000/60/CEE) e l’«Internal Market Strategy: Priorities 2003-2006» (Com, 2003). La direttiva quadro ha come obiettivo prioritario la sostenibilità ambientale e la tutela delle risorse idriche, ma contiene anche una serie di indicazioni riferite alla politica delle risorse idriche orientata a obiettivi di efficienza economica. L’assetto di mercato predominante e piuttosto omogeneo tra paesi (con l’eccezione della Gran Bretagna) è fondato su monopoli locali a prevalente proprietà pubblica. Nel rispetto delle scelte riguardo la natura proprietaria delle imprese, la cui neutralità è garantita anche a livello comunitario, sarebbe comunque auspicabile spingere in maniera graduale e coerente con l’assetto istituzionale e di mercato verso forme di concorrenza «per» il mercato (quindi verso gare), eventualmente affiancando tali strumenti ad altre modalità di affidamento. Qualche recente spinta all’apertura alla concorrenza per il mercato per la gestione del servizio di distribuzione, fognatura e trattamento si rileva in Spagna e Francia (anche se in Spagna, di fatto, sono poche le imprese che competono per l’affidamento del servizio). In Germania la concorrenza nel settore idrico è esplicitamente esclusa dalla legislazione nazionale sulla competizione e le iniziative di Bruxelles volte a promuovere la competizione nel settore sono viste con scetticismo. Le municipalità svolgono un ruolo di primo piano nell’assetto istituzionale. Il ricorso all’impresa privata è limitato; è invece incrementato il ricorso ad aziende che gestiscono anche altri servizi e che quindi permettono forme di sussidi incrocia- ti tra attività più e meno redditizie. La Gran Bretagna ha proposto e implementato nuove misure per aumentare la competizione sulla vendita finale. In Italia il settore è caratterizzato da persistenti ritardi e squilibri. L’industria è molto frammentata (circa 8.000 imprese) e presenta caratteristiche molto eterogenee. Le modalità di gestione dei servizi sono varie e in molti casi arretrate (sono ancora numerose le gestioni in economia). Al ritardo nell’attuazione della legge Galli (legge 36 del 1994), non ancora conclusa a più di dodici anni dalla sua emanazione, si affianca una profonda incertezza normativa oltre che istituzionale, soprattutto con riferimento alle modalità di affidamento e gestione dei servizi, per le quali si è assistito negli ultimi anni a frequenti mutamenti di indirizzo. Il disegno di legge 772 di riforma dei servizi pubblici locali attualmente in discussione, che prevede a regime l’affidamento mediante procedura a evidenza pubblica per tutti i servizi, fa salva la gestione pubblica delle risorse e dei servizi idrici. Senza entrare nel dibattito politico oggi in corso sulla questione, si rileva come la liberalizzazione dei servizi dovrebbe prescindere da prescrizioni aprioristiche sul rapporto pubblico- privato e concentrarsi solo sugli obiettivi finali in termini di perseguimento del pubblico interesse e benefici sul consumatore finale e dei cittadini. Nel settore idrico la dimensione prevalentemente territoriale del servizio si traduce in molti paesi europei in un’articolazione delle competenze regolatorie con prevalente responsabilità locale. Solo in Gran Bretagna esiste un organismo di regolazione centrale e indipendente: l’Ofwat. In Portogallo, Spagna e Grecia la regolazione fa capo al governo centrale, mentre nella maggior parte degli altri paesi la regolazione economica viene esercitata a livello municipale o regionale. Per quanto le autorità di regolazione locali abbiano un ruolo fondamentale, grazie alla loro maggiore conoscenza e sensibilità delle peculiarità specifiche del settore o dell’area servita e alla maggiore flessibilità operativa, esse sono facilmente soggette a pressioni da parte delle imprese esercenti o possono trovarsi in conflitto di interesse con queste ultime. Un’autorità centrale, oltre a rompere il legame tra la regolazione e gli interessi politici o delle imprese, grazie ad una maggiore visione d’insieme e possibilità di confronto, permetterebbe di formare un disegno regolatorio più organico e di dare coerenza e unitarietà all’attività dei diversi regolatori locali. In Italia il disegno di legge di riordino delle autorità di regolazione, approvato di recente dal consiglio dei ministri, prevede l’attribuzione di compiti di regolazione nel settore idrico all’Autorità per l’energia elettrica e il gas, istituendo un regolatore indipendente a livello centrale per questo settore.

Il variegato comparto dei trasporti comprende settori la cui competenza rimane in misura rilevante nelle mani dello Stato centrale, con rilevanti vincoli europei (il settore aereo, il trasporto ferroviario a lunga distanza e in misura minore le autostrade), e settori attribuiti per competenza alle regioni e agli enti locali (i trasporti locali e regionali su ferro e su gomma).

La spinta europea verso l’apertura alla concorrenza e la realizzazione del mercato unico nel settore dei trasporti non è stata particolarmente incisiva. Le direttive e i regolamenti emanati dalla Commissione in materia sono stati in genere recepiti con ritardo dai paesi membri; in molti casi, al recepimento formale non è corrisposta un’effettiva apertura dei mercati. Tra i diversi comparti, il settore aereo è quello in cui la riorganizzazione ha avuto maggiore successo, grazie ad una più decisa spinta liberalizzatrice da parte della Commissione e alla forte crescita della domanda. Più indietro risultano invece il settore ferroviario e quello del trasporto pubblico locale, dove nella maggior parte dei paesi europei, ad eccezione della Gran Bretagna e dei paesi scandinavi, il superamento dei monopoli, sia a livello nazionale che locale, è ancora in fase iniziale. Le principali linee politiche del settore dei trasporti sono definite nel Piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL) del 2001. Nel settore ferroviario, il percorso di liberalizzazione in Europa si è articolato in diverse direttive (direttiva 91/440/CEE, seguita dalle direttive 95/18 e 95/19) e pacchetti ferroviari (il terzo ancora in gestazione). I principi di base contenuti nelle direttive sono: a) la separazione della rete dalle attività di trasporto; b) la liberalizzazione dell’accesso alle reti ferroviarie; c) l’apertura del mercato dei servizi di trasporto; d) la non discriminazione tra gli operatori. La piena liberalizzazione del trasporto merci è prevista per il 2008; l’ultimo pacchetto prevede l’apertura entro il 2010 anche alle imprese ferroviarie comunitarie del trasporto internazionale di passeggeri. Salvo poche eccezioni, la spinta comunitaria è stata accolta con difficoltà dai paesi membri. In Gran Bretagna il settore delle ferrovie è stato privatizzato già nel 1996 e poi profondamente ristrutturato. La British Rail, è stata ristrutturata prima della privatizzazione e sono state costituite Railtrack, proprietaria delle infrastrutture e incaricata della gestione della rete e delle stazioni, e venticinque TOC (Train Operating Companies) incaricate di gestire il servizio. Il servizio viene assegnato con procedure ad evidenza pubblica e tra i criteri si prevede quello del minore utilizzo del sussidio pubblico. A distanza di diversi anni tuttavia Railtrack è fallita, è nata Network Rail e si è assistito a una ricomposizione tra i soggetti imprenditoriali. Lo Stato si è ritirato completamente dalla proprietà delle ferrovie mentre il livello dei sussidi pubblici è aumentato rispetto al periodo che ha preceduto la riforma. In Germania la struttura del sistema ferroviario è prevalentemente costituita di monopoli pubblici a livello regionale, controllati da DB. Per quanto si sia assistito ad una graduale trasformazione del sistema, lo sviluppo dell’imprenditorialità è ancora scarso e solo una ridotta percentuale dei servizi è affidata con gara. In Francia il trasporto su ferro locale interno è stato caratterizzato da forte resistenza politica all’innovazione, dovuto al peso culturale della società delle ferrovie dello Stato. Nel 1996, a valle di un biennio di risultati gestionali molto negativi, si è assistito alla separazione della rete di proprietà dello Stato (con la costituzione di Reseau Ferrè de France, RFF) e si è avviata una separazione organizzativa, ma non societaria, tra la gestione della rete per conto di RFF e Divisioni di trasporto. Il trasporto locale è stato regionalizzato, rompendo la tradizione napoleonica della gestione unitaria e centralizzata dei servizi pubblici. In Spagna, come in Germania, prevalgono monopoli pubblici regolati. In Italia il processo di liberalizzazione è stato avviato a partire dal 1998 (con il DPR 277 e il DLGS 400 del 1999), con l’introduzione dell’obbligo delle gare anche per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale. La legge 388 del 2000 ha aperto alla concorrenza i servizi merci sulle tratte nazionali e l’accesso all’infrastruttura ferroviaria alle imprese comunitarie. Con la separazione societaria del gestore delle infrastrutture RFI dall’operatore ferroviario Trenitalia, l’Italia è andata oltre le prescrizioni comunitarie che impongono solo l’indipendenza organizzativa e decisionale. Tuttavia l’accesso al mercato da parte di nuovi operatori è ancora molto limitato a causa di alcune scelte che continuano a garantire a Trenitalia un vantaggio competitivo rispetto ai potenziali concorrenti. Per il settore passeggeri si è ancora lontani da un mercato liberalizzato.

La spinta liberalizzatrice ha avuto maggiore successo con riferimento al trasporto aereo, grazie ai vari «pacchetti» comunitari e a un’impetuosa crescita della domanda. L’elemento di maggiore rilievo nella modernizzazione del settore è costituito dall’emergere delle compagnie low cost. Con i tre pacchetti di normative comunitarie, a partire dal 1987, la Commissione ha combattuto le alleanze anti-competitive tra le compagnie, ha progressivamente ridotto i vincoli sulle tariffe e sull’accesso ai mercati, giungendo alla creazione di un regime di open skies in tutti i paesi dell’Unione. I regolamenti 95/93 e 793/04 hanno affrontato una delle questioni di maggior rilievo, quella dell’assegnazione degli slots aeroportuali, cercando di superare gradualmente il principio della priorità storica o dei grandfather rights e di garantire un uso più completo e flessibile dalla limitata capacità disponibile negli aeroporti caratterizzati da fenomeni di congestione. Il PGTL suggerisce di affidare le gestioni aeroportuali tramite meccanismi di gara ad evidenza pubblica e per periodi non eccessivamente lunghi. La liberalizzazione dei servizi di terra, avviata con direttiva europea 67 del 1996, non risulta ancora pienamente realizzata, soprattutto a causa dei vincoli imposti ai nuovi entranti sotto forma di «clausola sociale». Nel processo di liberalizzazione, in cui sono già stati conseguiti alcuni buoni risultati, rimane da risolvere la questione aeroportuale, che rappresenta ancora il collo di bottiglia del processo di apertura dei cieli. In materia di trasporto pubblico locale (TPL) la normativa comunitaria è stata particolarmente lenta e poco incisiva, con la conseguenza di uno scarso sviluppo della concorrenza di questi servizi a livello europeo. La normativa comunitaria in materia si basa sui regolamenti 1191/69 e 1893/91 CEE. Tale normativa è fondata sul principio della separazione tra funzioni di programmazione e finanziamento e gestione del servizio, ma non dà indicazioni in merito alle modalità di affidamento del servizio e all’apertura dei mercato, rimandando per questi aspetti alle direttive in materia di appalti. La proposta di prevedere forme di affidamento aperte e non discriminatorie («liberalizzazione regolata») avanzata nel 2000 dalla Commissione è ancora in discussione, anche se il proponimento iniziale è stato già fortemente ridimensionato. L’assenza di direttive quadro ha portato a scelte molto diverse da parte dei singoli paesi. In Gran Bretagna sono presenti forme di concorrenza «nel mercato». La concorrenza «per il mercato», almeno in alcuni segmenti, è stata introdotta ad esempio in Francia e nei paesi scandinavi, mentre in Germania e Spagna prevalgono i monopoli regolati a livello locale. In Italia si è tentato in più riprese di introdurre la concorrenza per il mercato ma con scarso successo. Il disegno di legge 772 oggi in discussione si propone di dare maggiore impulso all’utilizzo delle gare nei servizi pubblici locali. Dall’osservazione dello stato delle liberalizzazioni dei servizi pubblici a livello europeo, che come si è visto si è dispiegata con intensità differenti nei diversi paesi e nei diversi settori, è possibile trarre alcune conclusioni. L’impulso dato a livello comunitario, anche se non sempre recepito con tempestività e convinzione, ha avuto un ruolo determinante nel promuovere la riorganizzazione dei mercati dei servizi, aprendo spazi alla concorrenza e all’integrazione dei mercati.

La resistenza all’apertura dei mercati è più forte nei servizi dove prevalgono aspetti sociali e territoriali. Le liberalizzazioni rappresentano potenzialmente una minaccia per l’occupazione, per eventuali rendite di posizione di imprese che dominano il mercato, e possono avere ripercussioni su alcuni altri obiettivi dei governi centrali o locali diversi da quelli della pura massimizzazione del benessere dei consumatori. I governi locali sono inoltre facilmente «catturabili» dai soggetti regolati. I principali beneficiari delle liberalizzazioni, per altro verso, non sempre percepiscono in pieno l’impatto dell’apertura dei mercati, da un lato per la mancata trasparenza delle informazioni, dall’altro perché gli effetti maggiormente percepibili sono stati in alcuni casi distorti da scelte poco coerenti (privatizzare prima di liberalizzare) o da eventi esogeni (l’alto costo delle fonti energetiche in Italia che impedisce una sostanziale ridu- zione dei prezzi dell’energia). Per vincere questi ostacoli che frenano le liberalizzazioni sarebbe importante: a) rafforzare i poteri e l’indipendenza delle autorità di regolazione dal governo (ai diversi livelli) e dalle imprese regolate; b) approfondire lo studio delle forme di tutela per i lavoratori dei settori da liberalizzare; c) aumentare la consapevolezza sul nuovo ruolo che deve assumere il settore pubblico (si tende a sottovalutare che le liberalizzazioni e le privatizzazioni implicano un impegno più incisivo e responsabile del regolatore volto ad assicurare il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico); d) aumentare l’informazione ai consumatori sui reali benefici che le liberalizzazioni potrebbero portare e soprattutto sui costi delle mancate liberalizzazioni (peggiori servizi e più pesante imposizione fiscale). Il ruolo della Comunità europea, nel rispetto della diversità delle scelte organizzative dei servizi pubblici, è importante non solo nel porre vincoli volti a limitare la discrezionalità dei paesi membri e a rompere il fronte degli interessi specifici (politici, delle imprese o dei sindacati) che frenano le liberalizzazioni, ma anche nello studiare e promuovere la diffusione a livello europeo delle best practice evidenziate lungo il percorso di liberalizzazione. In questo senso sarebbe opportuno un monitoraggio assiduo sullo stato dell’arte in tema di liberalizzazioni, regolazione e privatizzazioni e un’analisi di impatto delle liberalizzazioni (e dei costi delle mancate liberalizzazioni) sui cittadini e sulle imprese, che oltre a guidare le liberalizzazioni verso un percorso virtuoso, permetterebbe ai consumatori di essere più consapevoli dei reali costi e benefici delle liberalizzazioni, aumentando anche gli incentivi politici a favore della concorrenza.