Le forze in campo nelle elezioni in Brasile

Di Fabio Porta Mercoledì 03 Settembre 2014 08:55 Stampa

Le elezioni presidenziali del prossimo ottobre – che, secondo una consuetudine ormai inveterata per la quale in Brasile politica e futebol si incrociano sempre, si terranno pochi mesi dopo i recenti mondiali di calcio – vedono la contrapposizione dei candidati dei due principali schieramenti, la presidente uscente Dilma Rousseff, erede di Lula e sostenuta da otto partiti, fra i quali il PT, e Aécio Neves per il PSDB. Sembra invece restare ai margini dei rilevamenti elettorali quella che è l’unica vera novità di questa tornata, la candidatura del leader del PSB Eduardo Campos, già ministro nei governi Lula, che potrebbe però assumere un peso rilevante in caso di ballottaggio. Sebbene Dilma continui a essere in testa nei sondaggi, la situazione rimane incerta, perché il rallentamento dell’economia degli ultimi anni e l’insoddisfazione di una nuova classe media che chiede qualità della vita e servizi pubblici adeguati potrebbero influenzare l’esito del voto.

All’indomani dell’apertura ufficiale della campagna elettorale brasiliana, il 7 luglio scorso, il Brasile subiva a Belo Horizonte la più drammatica e sonora sconfitta che mai la sua nazionale di calcio avesse sofferto nel corso di una gloriosa storia. Un suggello pesante all’apertura formale di una campagna elettorale iniziata in realtà parecchi mesi fa; quella del prossimo ottobre sarà probabilmente l’elezione più incerta e delicata degli ultimi venti anni e non mi riferisco solo al dato statistico o ai sondaggi. Questi ultimi, infatti, continuano a indicare un chiaro candidato favorito alla riconferma, l’attuale presidente Dilma Rousseff, in netto vantaggio rispetto ai suoi due principali sfidanti, l’ex presidente della Camera ed ex governatore di Minas Gerais, Aécio Neves (PSDB), e l’ex ministro di Lula ed ex governatore del Pernambuco, Eduardo Campos (PSB).

È molto probabile comunque che si arrivi al secondo turno per il ballottaggio, divenuto ormai il vero momento di individuazione di posizioni contrapposte e di misurazione delle forze in campo per la definitiva consacrazione del vincitore. Tutto ci porta a credere che per la sesta volta consecutiva le elezioni si risolveranno in un ennesimo “derby” tra i due partiti che meglio degli altri hanno saputo interpretare la spinta al bipolarismo che caratterizza il sistema presidenziale brasiliano: il Partido dos Trabalhadores (PT) e il Partido da Social Democracia Brasileira (PSDB). Una polarizzazione che dovrebbe così escludere dalla competizione finale quella che forse è la vera novità di queste elezioni, la candidatura del pernambucano Eduardo Campos, che potrebbe però assumere un peso rilevante proprio nel ballottaggio, nel caso di un suo importante risultato al primo turno.

 

1994-2014: un ciclo storico si chiude

Venti anni fa il sociologo Fernando Henrique Cardoso aveva la meglio su Lula grazie all’ondata di ottimismo generatasi a seguito dell’avvio del Plano Real, il programma di stabilità economica e di lotta all’inflazione promosso dal governo di Itamar Franco (subentrato a Fernando Collor de Mello, deposto per impeachment); Cardoso fece modificare dal Parlamento la Costituzione e ottenne così il diritto alla rielezione per un secondo mandato, cosa che si verificò puntualmente, anche grazie a una pesante campagna mediatica volta a demonizzare l’avversario, quel Luiz Inácio Lula da Silva che quattro anni dopo, nel 2002, sarebbe riuscito a conquistare la presidenza della Repubblica al suo quarto tentativo. Come per Fernando Henrique nel 1994, anche la vittoria di Lula nel 2002 fece seguito al successo della Seleção nei mondiali di calcio; politica e futebol si incrociano sempre in Brasile e la coincidenza quadriennale della Copa do Mundo con le elezioni contribuisce ovviamente a caricare di emozioni e significati particolari anche la vita politica del gigante sudamericano.

Se gli otto anni di Cardoso saranno ricordati come quelli della stabilità economica e del recupero di una dignità nazionale perduta a causa della dittatura prima e del fallimentare governo di Collor poi, saranno invece i due mandati di Lula a coincidere con il più grande programma di lotta alla fame e alla povertà mai realizzato, con una sostanziale redistribuzione della ricchezza tra le varie classi e con la definitiva affermazione del Brasile come potenza mondiale. Il grande successo consentirà a Lula di riuscire dove Cardoso aveva fallito, ovvero nella elezione di un suo erede nel 2010. La candidatura di Dilma Rousseff, militante della lotta contro la dittatura e importante ministro nei due governi Lula, fu considerata quattro anni fa da alcuni come l’ennesimo azzardo dell’ex leader sindacale brasiliano; in effetti, tra i due sono più visibili le differenze che le analogie: estremamente carismatico e passionale il primo, fredda e tecnocratica la seconda. Qualcuno arrivò addirittura a ipotizzare una deliberata scommessa sul “cavallo sbagliato”, al fine di favorire il rientro in campo dello storico leader del PT nelle elezioni di quest’anno. Si sbagliavano, evidentemente; o forse, più semplicemente, non conoscevano la sottile intelligenza politica e la saggia lungimiranza del “metallurgico di San Bernardo”, ancora oggi – e con buona pace dei suoi accaniti detrattori – in grado di dettare l’agenda della politica brasiliana e sudamericana.

Sono questi gli antecedenti che ci permettono di fare coincidere in qualche modo le elezioni del 2014 con la fine di una stagione politica iniziata venti anni prima e molto probabilmente destinata a concludersi con la scelta del prossimo presidente della Repubblica brasiliana. Anche il lontano Brasile ha, infatti, un bisogno urgente e non più prorogabile di riforme politiche e istituzionali, necessarie se vorrà diminuire la distanza crescente tra eletti ed elettori, depurando il sistema presidenziale dagli eccessi di personalismo da un lato e da un partitismo frammentato e superficiale dall’altro. Una crisi del sistema istituzionale che, oltre a frenare il trend economico positivo iniziato oltre un decennio fa, ha come conseguenza indiretta il rafforzamento della potente lobby dei media e degli apparati della comunicazione, vero contropotere sempre più determinato a intervenire in maniera diretta nella disputa politica.

Rousseff, Neves e Campos: i tre poli in campo

Ma torniamo al voto di ottobre e agli schieramenti in campo. La candidatura di Dilma Rousseff è sostenuta da otto dei trentadue partiti formalmente autorizzati dal Superiore tribunale elettorale a partecipare alle prossime elezioni. Il più forte alleato del PT è il PMDB (Partido do Movimento Democrático Brasileiro), ormai tradizionale “ago della bilancia” e fulcro decisivo degli equilibri della politica brasiliana; oltre a esprimere il vicepresidente (riconfermando Michel Temer, già presidente della Camera e uomo forte del partito a São Paulo), il PMDB contribuirà in maniera significativa a garantire alla coalizione quasi il 50% dello “spazio elettorale gratuito obbligatorio”, ossia i due blocchi di venti minuti l’uno trasmessi da tutte le televisioni brasiliane nei due mesi antecedenti le elezioni e assegnati in misura proporzionale alla rappresentanza in Parlamento dei partiti.

Meno forte e articolata la candidatura del principale candidato di opposizione, Aécio Neves. Quest’ultimo può contare sul convinto sostegno di un PSDB ricompattatosi dopo il lungo braccio di ferro tra i sostenitori dello stesso Neves e quelli dell’ex governatore di São Paulo José Serra, due volte candidato alla presidenza della Repubblica; pur di rendere solida questa alleanza, il PSDB ha rinunciato a offrire la candidatura di vicepresidente al suo tradizionale alleato (il partito conservatore DEM, Democratas), preferendo puntare sul “paulista” Aloysio Nunes, da sempre vicino a Serra e attuale senatore del PSDB di São Paulo. L’unico vero elemento di novità politica di questa tornata elettorale sembra così essere costituito, ripeto, dalla candidatura del giovane Eduardo Campos, leader del PSB (Partido Socialista Brasileiro) e fino a pochi anni fa alleato, nonché ministro degli esecutivi guidati da Lula. Campos, divenuto poi governatore dello Stato “nordestino” del Pernambuco (lo stesso che ha dato i natali a Lula), non ha mai nascosto le sue ambizioni presidenziali e ha preferito lanciarsi adesso in una controversa e difficile elezione piuttosto che attendere il 2018, quando avrebbe forse potuto presentarsi come successore della stessa Dilma Rousseff per dare continuità alla sua alleanza con Lula e il PT. A rafforzare la candidatura di Campos sarà l’ex ministro dell’Ambiente Marina Silva, che, dopo aver tentato invano di dare vita a una nuova formazione politica – la Rede, con esplicito riferimento alle reti sociali diffusesi grazie al web –, ha trovato nell’alleanza con Campos l’unico sbocco possibile per assicurare continuità alla sua forte azione politica.

Tra i partiti “minori” più attivi in questa lotta tripolare meritano di essere menzionati tre, equamente distribuiti tra i contendenti e in qualche modo noti in Italia per rapporti antichi e recenti con le organizzazioni politiche e sindacali di casa nostra. Il PDT (Partido Democrático Trabalhista) del compianto Leonel Brizola, aderente all’Internazionale socialista e oggi presieduto dall’italobrasiliano Carlos Lupi, ha confermato il proprio sostegno alla Rousseff. Scelta diversa e in controtendenza rispetto agli anni di appoggio ai governi Lula per Paulinho (Paulo Pereira da Silva), il leader di Força Sindical, adesso fondatore del partito Solidariedade, entrato nella base di sostegno alla candidatura di Aécio Neves. Infine il PPS (Partido Popular Socialista) di Roberto Freire, che dopo una lunga consultazione interna ha deciso di appoggiare la candidatura di Eduardo Campos.

Non sempre le coalizioni si presenteranno in maniera omogenea nelle elezioni delle Assemblee legislative e dei governatori dei singoli Stati; ragione per cui l’incrociarsi del voto nazionale con quello statale potrebbe rivelarsi decisivo ai fini della scelta del presidente della Repubblica.

Il PT ha candidati propri nei sei principali collegi elettorali del paese (São Paulo, Minas Gerais, Rio de Janeiro, Bahia, Rio Grande do Sul e Paraná) e questo dovrebbe favorirlo anche in ragione della presenza e degli spazi nei programmi elettorali gratuiti. Più articolata ed eterogenea la presenza del PMDB a livello statale; a São Paulo, ad esempio, questo partito si presenta da solo e con una candidatura forte e indipendente da PT e PSDB: quella del presidente degli industriali Paulo Skaf, candidatura che al momento sembra essere l’unica in grado di contrastare l’ormai “storica” predominanza “tucana” (così si chiamano in Brasile i militanti del PSDB) nello Stato più ricco e popolato della federazione.

 

Il ruolo dell’economia e delle manifestazioni di piazza

Se questo è il quadro relativo ai principali candidati, ai partiti e alle coalizioni che li sostengono, ancora più incerto e dinamico è il contesto socioeconomico nel quale le elezioni si realizzeranno, determinante e influente questa volta come mai prima per l’esito del voto. Ci si chiede, in primo luogo, quanto il rallentamento dell’economia e della produzione industriale degli ultimi anni influenzerà l’atteggiamento e la scelta degli elettori. O anche in che maniera le manifestazioni popolari iniziate lo scorso anno in occasione della Confederations Cup e proseguite fino ai mondiali di calcio di quest’anno potranno ripercuotersi e in che modo sul risultato elettorale. Difficile dare una risposta; sicuramente non in maniera univoca e chiara. Soprattutto con riferimento a quanto è successo negli ultimi mesi a livello di società civile; se, infatti, è indubbio che i movimenti di protesta, nel chiedere una migliore qualità dell’istruzione pubblica, della sanità e dei servizi in genere (trasporti in primis), si rivolgevano e indirizzavano le loro rivendicazioni al governo in carica, è altrettanto vero che questo fenomeno di protesta è il risultato del consolidamento sociale di una “classe media” cresciuta proprio a seguito dei programmi di inclusione sociale voluti da Lula e dal PT. Questa nuova generazione di cittadini chiede ed esige una qualità della vita e dei servizi pubblici proporzionale al livello di ricchezza raggiunto dal loro paese ed è difficile dargli torto. Commetterebbe un gravissimo errore Dilma se non fosse in grado di ascoltare e interpretare questa legittima richiesta proviente da tanti strati della popolazione brasiliana; altrettanto grossolano sarebbe l’errore dell’opposizione se pensasse di capitalizzare politicamente i frutti della protesta o di averne un automatico beneficio elettorale.

Il Brasile di oggi è cambiato, torniamo a ripeterlo, e tutti – a partire dalla sua classe dirigente, dai partiti agli stessi sindacati – dovrebbero capirlo, favorendo se possibile un rapido processo di revisione dei meccanismi politici e istituzionali in atto.

Cinquanta anni fa, nel 1964, il Brasile viveva forse una delle più tristi pagine della sua ormai lunga storia: il “golpe” dei militari faceva compiere al paese un passo indietro nel consolidamento dei processi democratici che avrebbe in qualche modo avuto ricadute negli anni a seguire, anche quando sarà ristabilito lo Stato di diritto e le istituzioni democratiche riprenderanno a funzionare. Oggi il Brasile ha bisogno di affrancarsi in maniera definitiva e matura da certi eccessi di personalismo che ancora attraversano il suo dibattito politico, da un sistema di potere dei mass media eccessivamente fazioso e conservatore e da processi istituzionali non più in grado di mantenere un salutare e proficuo legame tra cittadini e organi di rappresentanza.

Non abbiamo dubbi sulle capacità di questo grande paese di sapere affrontare e, quindi, vincere la nuova sfida; ce lo auguriamo perché siamo convinti sempre più del suo imprescindibile ruolo di leader nella regione e sullo scenario globale. Un ruolo che spetta a un paese amico; un paese al quale ci legano oltre trenta milioni di brasiliani, figli, nipoti o pronipoti di quegli italiani che proprio in quelle lontane terre andarono a cercare fortuna. Una fortuna che trovarono quasi sempre proprio grazie alle braccia aperte di un popolo che, come il Cristo redentore affacciato sulla baia di Rio de Janeiro, ancora oggi ci ricorda come il Brasile sia il prototipo e insieme lo specchio del mondo che vorremmo: incredibilmente bello, aperto a tutti e ricco di speranza.

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