Disuguaglianze capitali

Di Pasquale De Muro Martedì 19 Marzo 2013 11:00 Stampa

Le disuguaglianze, siano esse economiche, culturali o di qualità della vita, sono presenti a Roma come nella maggior parte delle aree metropolitane delle economie occidentali. Eppure, benché siano frequentemente oggetto di studio, manca a Roma una base informativa sufficiente che permetta alle amministrazioni di definire le politiche necessarie ad affrontarle. Dai tentativi fatti per tracciare una mappa delle disuguaglianze nella capitale emerge, infatti, come spesso l’agenda politica cittadina metta l’accento su questioni sulle quali non si registrano i livelli di malessere più elevati.

Che Roma sia una città con profonde disuguaglianze socioeconomiche non è una novità.1 E del resto è questo un carattere che permea non solo tutte le aree metropolitane del mondo, ma anche sempre più l’Italia intera, che è diventata uno dei paesi con maggiore disuguaglianza sia nell’UE sia nell’OCSE. Il riferimento non è soltanto alla disuguaglianza di reddito o di ricchezza – ossia al concetto più tradizionale di disuguaglianza economica – ma alle varie, molteplici dimensioni che costituiscono il benessere e la qualità della vita, che non sono soltanto monetarie e materiali.2

Di tali disuguaglianze sono ben coscienti la maggior parte delle persone che vivono e lavorano nella città, soprattutto i gruppi più svantaggiati, così come alcune organizzazioni della società civile che operano a Roma. Tuttavia, spesso solo le manifestazioni estreme del fenomeno sono percepibili, i senza fissa dimora, le baraccopoli, i campi rom, i venditori ambulanti, i lavoratori irregolari; esse rappresentano però soltanto la punta dell’iceberg:3 la maggior parte del fenomeno è invisibile e silenzioso e raramente riceve l’attenzione dei media.

Le disuguaglianze, così come altri fenomeni analoghi o correlati (esclusione sociale, disagio, discriminazione, povertà, marginalità ecc.), sono state documentate da diverse ricerche e pubblicazioni.4 Nondimeno, quasi tutta questa documentazione, benché illustri efficacemente le dinamiche sociali, politiche ed economiche, si basa essenzialmente su elementi narrativi e aneddotici, che non permettono di valutare compiutamente l’entità e la gravità delle disuguaglianze e dei fenomeni connessi. Infatti, sebbene la presentazione narrativa svolga una valida funzione di denuncia, sensibilizzazione e mobilitazione, essa non può costituire l’unica o principale base informativa sulla quale costruire le politiche e i progetti. C’è bisogno di una raccolta di dati più ampia e più solida che permetta di valutare le disuguaglianze anche attraverso una serie di indicatori appropriati.5 Bisogna, insomma, “fare rating del sociale”, per usare un’espressione coniata a suo tempo dal Censis. Non possiamo basarci su una conoscenza frammentaria, episodica e puramente soggettiva. Di fatto, per Roma, così come per tutti i Comuni italiani, tale base informativa non esiste: le statistiche necessarie a valutare le disuguaglianze all’interno delle città sono molto scarse, episodiche, poco accessibili e assolutamente insufficienti. Questo vale per l’esclusione sociale e le povertà, così come per il benessere e la qualità della vita. Le varie amministrazioni comunali che si sono succedute al Campidoglio, come pure gli altri livelli di governo competenti in materia, non si sono mai seriamente occupate di questi aspetti. Negli altri paesi europei, al contrario, la maggior parte delle città dispone di basi informative sistematiche, molto più ampie e adeguate. Naturalmente, la loro costruzione è un compito precipuo della pubblica amministrazione, considerando che queste informazioni dovrebbero costituire un input essenziale per la definizione delle politiche pubbliche.

Il Laboratorio di sviluppo locale ed economia sociale dell’Università “Roma Tre” ha svolto negli ultimi due anni un’attività di ricerca mirata a costruire una base informativa minima sulla quale valutare le disuguaglianze a Roma nelle varie dimensioni di benessere, assemblando ed elaborando dati frammentari esistenti – e spesso non proprio recenti6 – provenienti da fonti istituzionali eterogenee. Purtroppo, per i motivi sopra elencati, i dati esistenti consentono di valutare soltanto un aspetto delle disuguaglianze, ossia quelle territoriali nella città, e non anche le importanti disuguaglianze tra gruppi, ceti, classi e altre formazioni socioeconomiche. Tuttavia, come si vedrà più avanti, si tratta di informazioni che, seppur limitate, forniscono molti elementi utili di riflessione sulla qualità della vita dei residenti e sui necessari assi di intervento pubblico. Nel caso di Roma, in particolare, è stato possibile valutare le disuguaglianze tra i diciannove Municipi in cui è amministrativamente divisa la città. Senza entrare nel merito degli aspetti metodologici di questa ricerca, ispirati al Rapporto della Commissione per la misurazione della performance economica e del progresso sociale, diretta da Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi, il Laboratorio ha costruito, sulla base dei dati disponibili, una batteria di circa cinquanta indicatori suddivisi per undici dimensioni di benessere: abitazione, ambiente, cultura, dimensione economica, istruzione, mobilità, occupazione, pari opportunità, partecipazione e relazioni sociali, salute, sicurezza. In seguito, gli indicatori sono stati aggregati fino a ottenere per ciascun Municipio un solo indice sintetico (compreso tra 0 e 1) per ognuna delle undici dimensioni di benessere.

Il confronto di questi indici per i diciannove Municipi è molto interessante. Da un lato, vengono confermate alcune classiche “gerarchie” territoriali centro-periferia, ben note e percepibili: ad esempio, sia per quanto concerne la dimensione economica sia l’istruzione, i quattro Municipi più centrali (I, II, III, XVII) hanno i livelli di gran lunga più elevati di benessere. Dall’altro lato, emergono anche aspetti meno noti e più eclatanti, come ad esempio il fatto che la disuguaglianza di istruzione è molto più forte della disuguaglianza di reddito. Infatti, il rapporto tra il Municipio più abbiente (il II, con un indice di 0,81 nella dimensione economica) e quello meno abbiente (l’VIII con un indice di 0,41) è di 2 a 1, mentre il rapporto tra il Municipio con la maggior presenza di laureati (sempre il II, con un indice pari a 0,35) e quello con la minore presenza di laureati (di nuovo l’VIII, con un indice di 0,05) è di ben 7 a 1. Se consideriamo anche l’istruzione secondaria insieme con quella terziaria, le cose cambiano un po’ ma la disuguaglianza di istruzione resta maggiore di quella economica: il rapporto tra il II e l’VIII Municipio diventa di 3 a 1.

Non è un caso, naturalmente, che fra queste due dimensioni ci sia una relazione così significativa: si tratta di un fatto ben noto. La relazione è a doppio senso: nel breve periodo, è chiaro che a titoli di studio più elevati corrispondano in media redditi più alti; nel lungo periodo, le famiglie con redditi più alti avranno poi maggiore possibilità di investire nell’istruzione dei figli. Si crea dunque un possibile circolo virtuoso o vizioso, secondo i casi, che riproduce e allarga le disuguaglianze: una causazione circolare cumulativa, per usare un’espressione di Myrdal. Il circolo vizioso si può spezzare solo se esiste l’opportunità concreta di accedere all’istruzione superiore (secondaria e terziaria) a prescindere dal livello di reddito familiare. Il fatto che a Roma ci sia un rapporto di 7 a 1 nell’istruzione terziaria fra il II e l’VIII Municipio è dunque un aspetto decisivo della disuguaglianza urbana. Molto si discute della disuguaglianza di reddito e dei possibili rimedi, spesso limitandosi a proporre interventi basati sulla redistribuzione del reddito – che di fatto sono di breve periodo – attraverso manovre fiscali, un reddito minimo o sussidi. Poco si discute invece delle radici strutturali di questa disuguaglianza e degli interventi di lungo periodo, che non si basano sulla mera redistribuzione monetaria ma sull’aumento delle opportunità reali: in questo senso l’accesso all’istruzione è sicuramente un fattore decisivo e trascurato.

Per altri aspetti del benessere, la classica gerarchia centro-periferia invece non è sempre confermata a Roma. Ad esempio, per quanto riguarda l’ambiente, la geografi a della disuguaglianza urbana si ribalta. I Municipi centrali hanno una situazione peggiore delle periferie: i Municipi I, II, III, IX e XVIII sono agli ultimi posti della graduatoria, mentre ai primi posti troviamo alcuni Municipi più esterni, come l’VIII, il XIX e il XIII. Una delle ragioni principali, com’è facile immaginare, è la qualità dell’aria, che peggiora quanto più ci si avvicina al centro.

In altre dimensioni del benessere, la storia, le localizzazioni e la conformazione della città generano geografie più complesse in cui non emergono gerarchie territoriali univoche. È questo il caso della mobilità in cui, ad eccezione del XVIII Municipio (grazie alla presenza della linea A della metropolitana), tutto il settore occidentale della città ha livelli inferiori. La dimensione in cui esistono le maggiori disuguaglianze è la cultura: il rapporto tra il Municipio al primo posto, il I, e quello all’ultimo posto, l’VIII, è di circa 22 a 1. Ciò è dovuto al fatto che i Municipi centrali ospitano la grande maggioranza degli eventi di spettacolo e culturali: una concentrazione che non è stata sufficientemente contrastata dalle politiche comunali. La dimensione in cui esistono invece le minori disuguaglianze è la sicurezza: tra il Municipio più sicuro, il II, e quello più insicuro, il III, la differenza è solo del 3%. Inoltre, è importante sottolineare che, diversamente dalla vulgata giornalistica e dalla percezione soggettiva – che dalla prima è fortemente influenzata –, i valori dell’indice di sicurezza sono relativamente elevati per tutti i Municipi di Roma. Quest’ultimo dato suggerisce una riflessione su come, molto spesso, l’agenda politica cittadina – almeno quella di alcune forze politiche – sia orientata soprattutto verso questioni, come la sicurezza, che sebbene importanti non sono quelle in cui con una misurazione oggettiva si riscontrano i livelli di qualità della vita peggiori. Al contrario, alcune dimensioni con i livelli di malessere oggettivamente più elevati, come le pari opportunità, vengono sistematicamente trascurate.

Come si è visto, i livelli di benessere sono molto variabili passando da una dimensione all’altra e quindi le classifiche dei Municipi sono diverse secondo il tema considerato. Per avere un’idea complessiva della qualità della vita nei Municipi e ottenere quindi una classifica finale che consideri tutte le dimensioni contemporaneamente, abbiamo aggregato gli undici indicatori relativi ai singoli Municipi e abbiamo calcolato un unico indicatore sintetico di benessere totale per ognuno di essi. Ciò consente di avere una classifica unica della qualità della vita nei Municipi romani che tenga conto del benessere complessivo multidimensionale.

Il quadro d’insieme che emerge presenta due caratteristiche principali: da un lato resta confermata una qualità della vita mediamente più elevata nei Municipi centrali, e in particolare nel I, XVII e II; dall’altro non si può parlare di una periferia con livelli di benessere generalmente più bas-si. Infatti, il maggiore disagio è concentrato in un settore specifico della città, ossia il quadrante centro orientale, corrispondente a quattro Municipi contigui – IX, VI, VII, VIII – che partono dal centro e arrivano all’estrema periferia orientale. Tutti gli altri sono in una posizione intermedia tra questi due poli. Questo non vuol dire che in questi Municipi “intermedi” non vi siano situazioni di disagio. Il problema è che molti di questi hanno una forma a spicchio, con un vertice che parte dal centro urbano e un territorio che si estende fino alla periferia. È questo, ad esempio, il caso del XVI Municipio che parte da Porta Portese, al confine del centro storico, e arriva oltre il Grande raccordo anulare, in un’area agricola e industriale. Dato che in questi Municipi sono compresenti zone contigue al centro con livelli di benessere più elevati e zone periferiche con benessere inferiore, alla fine l’indicatore municipale, essendo una media di realtà spesso eterogenee, assume valori né alti né bassi e nasconde così significative differenze intramunicipali.

Da questo punto di vista è bene ricordare che, se consideriamo la loro dimensione in termini di popolazione, quasi tutti i Municipi di Roma, avendo una media di circa 150.000 abitanti, sono più grandi di molti capoluoghi di provincia italiani e sono dunque città nella città. È chiaro dunque che un indicatore unico per ognuno di essi, pur articolato in varie dimensioni di benessere, nasconde necessariamente ampie disuguaglianze interne, soprattutto per quelli con una superficie estesa e allungata. Questa conformazione, racchiudendo situazioni estremamente diverse, non è proprio la più adatta a una efficace ed efficiente azione da parte delle amministrazioni municipali.

L’analisi delle disuguaglianze a Roma deve perciò superare i confini municipali per indagare, da un lato, i diversi gruppi socioeconomici di residenti, e dall’altro i quartieri che formano i vari Municipi. Senza un serio impegno pubblico nella realizzazione di indagini statistiche comunali regolari e adeguate, sarà impossibile conoscere le reali condizioni di vita e di lavoro dei romani e disegnare dunque le politiche più appropriate.

 


 

[1] Per un’analisi più approfondita e di lungo periodo si rinvia a P. De Muro, S. Monni, P. Tridico, L’evoluzione del modello socio-economico romano tra retorica e realtà, in F. Pompeo (a cura di), Paesaggi dell’esclusione. Politiche degli spazi, re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, UTET Università, Torino 2012, e agli altri saggi contenuti nel volume.

[2] Secondo Amartya Sen e altri studiosi il benessere è un concetto multidimensionale, non riducibile al reddito. Il recente rapporto della Commissione per la misurazione della performance economica e del progresso sociale di Joseph Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi presenta una disamina accurata della questione. J. E. Stiglitz, A. Sen, J.-P. Fitoussi, La misura sbagliata delle nostre vite. Perché il PIL non basta più per valutare benessere e progresso sociale, ETAS, Milano 2010.

[3] Si vedano, ad esempio, i Rapporti sulla povertà a Roma e nel Lazio realizzati dalla Comunità di Sant’Egidio.

[4] Fra le numerose pubblicazioni esistenti, meritano particolare attenzione i diversi articoli apparsi nel decennio scorso sulla rivista “Carta”, e in particolare il numero monografi co del novembre 2006 su “La questione romana”.

[5] Uno dei rari esempi in questa direzione è il lavoro di M. Brazzoduro, C. Conti (a cura di), Le città della capitale. Rapporti sociali e qualità della vita a Roma, Franco-Angeli, Milano 2002.

[6] Uno dei limiti dei dati utilizzati è che, essendo di natura e di fonte diversa, non si riferiscono tutti allo stesso anno. Il criterio che abbiamo seguito è lo stesso utilizzato da molte organizzazioni internazionali che costruiscono database analoghi: abbiamo preso per ogni indicatore l’anno più recente disponibile nel periodo di riferimento, che nel nostro caso è 2001-11. Questa discrepanza, tuttavia, non produce grandi errori
perché quasi tutte le variabili analizzate cambiano molto lentamente nel tempo e non sono instabili.

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