G2: una generazione orgogliosa. Una ricerca sui musulmani in Italia

Di Italianieuropei Venerdì 30 Settembre 2011 12:14 Stampa
G2: una generazione orgogliosa. Una ricerca sui musulmani in Italia Foto: Emilius
Al convegno "Giovani musulmani in Italia: un’integrazione possibile?", organizzato da Italianieuropei con Genemaghrebina e il Centro Studi Americani, è stato presentato lo studio “G2: una generazione orgogliosa”. La ricerca, promossa da Genemaghrebina, è stata realizzata da Abis Analisi e Strategie, con il sostegno del CISE-LUISS di Roberto D’Alimonte per gli aspetti riguardanti i comportamenti politici, con il contributo di Unicredit e la collaborazione di Italianieuropei. Riportiamo una sintesi della ricerca e il documento integrale.

G2: una generazione orgogliosa. Una ricerca sui musulmani in Italia
–  Sintesi  –

 

Premessa

La ricerca sulle seconde generazioni di musulmani in Italia è stata promossa dall’associazione Genemaghrebina nella convinzione che le seconde generazioni svolgano un ruolo cruciale nelle dinamiche d’integrazione degli immigrati. L’indagine, basata su un impianto di tipo esplorativo/qualitativo, si è focalizzata sui giovani appartenenti a famiglie originarie di paesi musulmani, selezionati in base alla consistenza della presenza in Italia e a criteri d’ordine geografico-culturale. In questa chiave sono state scelte due comunità di area mediterranea (marocchini ed egiziani) ed una di area asiatica (pachistani). La ricerca è stata realizzata da Abis Analisi e Strategie (in cui è confluito il gruppo di lavoro Makno) con la direzione scientifica del professor Mario Abis e con la collaborazione del CISE-LUISS di Roberto D’Alimonte per gli aspetti, in particolare, riguardanti i comportamenti politici.

Un nuovo modello di relazione: non l’integrazione nella cultura italiana ma la doppia appartenenza come valore aggiunto

I giovani di seconda generazione vivono una doppia appartenenza culturale. Alla domanda se un immigrato di seconda generazione debba integrarsi o mantenere l’identità e le tradizioni del paese di provenienza la risposta è univoca: integrarsi conservando le proprie tradizioni.

Emerge da parte dei giovani musulmani intervistati un grande orgoglio. Essi esprimono chiaramente un’idea di integrazione complessa e articolata; desiderano uno scambio e una maggiore conoscenza reciproca, una più ampia disponibilità a comprendere e ad accogliere la loro diversità.

Affiora un nuovo modello di relazione: non l’integrazione nella cultura italiana ma la doppia appartenenza come valore aggiunto; non assorbimento e omologazione, ma reciprocità.

Musulmani in Italia: la pratica religiosa come momento di identità

I giovani intervistati soffrono per l’indifferenza che avvertono da parte della società in cui vivono. Molti di essi desiderano (e alcuni lo fanno) spiegare, raccontare le proprie usanze. Il recupero e il rafforzamento della identità islamica sono anche una conseguenza della sensazione di indifferenza e di rifiuto.

Molti intervistati lamentano che la libertà di culto affermata dalla Costituzione italiana resta di fatto una dichiarazione di principio normalmente smentita dalla realtà. Pregare o indossare il velo è teoricamente permesso ma entrambi questi comportamenti sono di fatto disconosciuti, resi di difficile attuazione nella realtà di tutti i giorni. In alcune città, grandi e piccole, mancano le moschee. In altre, i luoghi di culto sono ricavati in garage, cortili, strade, cinema, spazi non sempre idonei al raccoglimento e alla preghiera. Questa mancanza rende difficile vivere la propria religiosità e sentirsi comunità.

Musulmani in Italia: le donne islamiche

Le donne intervistate sembrano condividere le regole islamiche alle quali sono state educate. Hanno un forte rispetto per i genitori: “onorano il padre e la madre”, in un quadro complessivo in cui tutte riferiscono di avere rapporti molto buoni con i loro genitori, basati sulla libertà e la fiducia. Sanno che il futuro marito dovrà essere musulmano e piacere al loro padre, ma non vivono questa condizione come una limitazione alla loro possibilità di autorealizzazione. Pur nel quadro di queste coordinate di fondo omogenee, si registra in loro un diverso grado di intensità del legame con la propria cultura e religione di origine e, anche se rispetto alle loro coetanee italiane per lo più non fumano, non bevono, non vanno in discoteca, credono nel matrimonio e nel valore della verginità, si rilevano quote non trascurabili di ragazze più “trasgressive” rispetto a queste norme di comportamento.

L’usanza delle donne musulmane di indossare il velo è divenuta più visibile in Italia negli ultimi anni da quando, in relazione ai ricongiungimenti familiari, sono aumentate le presenze femminili islamiche. La decisione delle donne di indossare il velo evidenzia una precisa scelta identitaria, che è conseguenza dell’adesione ai modelli culturali trasmessi dalla famiglia. Il conflitto con i modelli familiari invece favorisce l’abbandono del velo come segno esteriore della rottura con essi. In prevalenza le intervistate che indossano il velo sottolineano che la loro è una scelta personale e che nessuno le ha costrette. Tuttavia in alcuni casi (in particolare nel caso delle donne pachistane) si percepisce una forte influenza della famiglia di origine nell’orientare questo comportamento. Le donne che indossano il velo riferiscono di essere circondate da diffidenza e rifiuto da parte degli italiani. Il velo diventa un limite ai processi di integrazione sociale: chi lo indossa è convinto che sia un ostacolo nella ricerca di un lavoro qualificato, che precluda ad esempio l’impiego in uno studio professionale o in una agenzia di viaggio.

La questione della cittadinanza italiana come riconoscimento

Una questione importante, ai fini di una più sostanziale integrazione delle seconde generazioni, è la concessione della cittadinanza italiana a chi, figlio d’immigrati, nasca in Italia. Sentirsi italiani ma essere legalmente stranieri è infatti una condizione talmente frustrante da poter generare in prospettiva forme di risentimento.


 

 


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