A partire dal secondo dopoguerra, il ruolo della Germania in Europa è stato definito, da un lato, dalla sua posizione al confine fra i due blocchi creati dalla guerra fredda e dall’obiettivo di ottenere una piena riabilitazione dopo gli orrori della guerra e, dall’altro, dall’impegno tedesco – che traeva origine proprio dai primi due fattori – nei confronti del processo di integrazione europea. Per oltre cinquant’anni, l’Europa ha dunque potuto contare sulla ferma volontà della Repubblica Federale di sostenere pienamente e incondizionatamente l’integrazione europea. Per converso la Germania ha potuto, proprio grazie al suo ruolo cardine all’interno dell’UE, riguadagnare la piena indipendenza economica e politica e assicurare il proprio sviluppo, divenendo allo stesso tempo il motore della crescita europea. A partire dalla fine della guerra fredda e ancora di più dall’allargamento verso l’Europa orientale, tuttavia, si è potuto assistere a una graduale trasformazione. Mentre si esaurisce la generazione di coloro i quali conservano un ricordo diretto della guerra, aumenta il numero di quanti ritengono che la Germania abbia ormai pagato i suoi debiti con la storia e che sia giunto il momento di far valere gli interessi nazionali, spesso sacrificati per il bene comune dell’Europa. Non si tratta di un ritorno ad aspirazioni egemoniche, ma della conquista di una normalità che spinge Berlino a ridisegnare i propri rapporti con l’Unione europea e a mostrare minore indulgenza verso i problemi e le mancanze dei partner europei. È questa una nuova Germania, più assertiva e più disincantata. Una Germania che apparentemente mostra meno affinità con l’Europa di quante ne avesse in passato. Che sembra aver dimenticato che uno dei fattori determinanti della sua crescita è stata proprio l’introduzione della moneta unica. Una Germania, infine, che forse talvolta irrita gli altri Stati membri quando impartisce lezioni su virtuose politiche di bilancio e su misure per aumentare la competitività, ma con la quale sarà inevitabile trovare un compromesso per assicurare un futuro al progetto di integrazione europea. E senza il cui sostegno, dunque, è impensabile attuare le indispensabili riforme della governance economica dell’Unione europea. La domanda che ci si pone dunque riguarda la misura in cui Berlino sarà disposta a credere ancora nell’Europa e a vestire ancora una volta i panni di guida del processo di integrazione.
Programma
Roma, lunedì 18 aprile 2011
Sala Borghese, Hotel Eden
via Ludovisi 49
15.30 | Saluti, Michael Braun, Friedrich-Ebert-Stiftung
Presiede Giuliano Amato, Presidente dell‘Advisory Board, Fondazione Italianieuropei
15.40 | Panel 1 – L’Europa: solo una questione di costi e benefici?
Daniela Schwarzer, capo della Divisione ricerca sull’integrazione europea,
Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP)
Stefano Micossi, direttore generale dell’Assonime
16.20 | Dibattito
17.00 | coffee break
17.20 | Panel 2 – Se il futuro dell’Europa passa per la Germania…
Andreas Maurer, Segretariato generale del Parlamento europeo, Commissione per il Commercio Internazionale
Gian Enrico Rusconi, professore di Scienza della politica all’Università di Torino
18.00 | Dibattito
Foto: European People's Party