insegna Sociologia economica e del lavoro all’Università di Roma “Sapienza”
Le elezioni politiche del 2018 hanno reso evidente un gigantesco cambiamento negli orientamenti elettorali: al grave insuccesso del PD e di tutte le forze di centrosinistra ha fatto da relativo contrappeso il buon risultato conquistato da esse nei quartieri centrali di alcune aree urbane, in passato spesso marcatamente spostati a destra. Il caso più clamoroso riguarda il quartiere romano dei Parioli, considerato tradizionalmente di destra o addirittura di estrema destra, e negli ultimi anni divenuto invece uno dei principali terreni di caccia della sinistra.
La crisi dei sindacati in Italia non riguarda tanto la loro tenuta numerica quanto piuttosto la perdita della capacità di influire sulle scelte concernenti il lavoro. I sindacati contano sempre meno e sono sempre più spesso esclusi dall’accesso al sistema politico. Per recuperare il terreno perduto è quindi essenziale che essi cambino il baricentro della loro azione, provando ad accumulare rappresentanza a partire dalla società anziché dalle istituzioni, ed escano dalle secche della sola difesa del lavoro per far emergere il loro potenziale di aiuto alle riforme, accettando così la sfida di conciliare democrazia e ricchezza della vita associativa.
Ancora di recente parlare di “concertazione” ha significato evocare una scelta divisiva tra nostalgici e avversari. Ma cosa vuol dire esattamente questa parola e perché suscita in modo ripetuto questo ventaglio di controversie? Concertazione rinvia nel senso comune a un accordo tra diversi, che cercano – come in un’orchestra – di trovare una sincronia e una sintesi: non facili e che comunque non erano in precedenza scontate. Nel linguaggio sindacale e delle relazioni industriali la concertazione ha designato gli accordi tra i governi e le parti sociali.
Nonostante gli scarsi risultati prodotti dal punto di vista della creazione di nuova occupazione, l’approccio alla riforma del mercato
del lavoro incentrato sulla massima flessibilità continua a pervadere i provvedimenti adottati in questo campo. Sarebbe invece opportuno spostare il focus delle politiche pubbliche verso l’incentivazione alla stabilità degli impieghi e dei percorsi lavorativi e la creazione di una rete di garanzie adatta alla nuova conformazione del mercato del lavoro, oltre che, in senso più ampio, verso processi di innovazione del sistema industriale ed economico tali da sostenere attivamente la ripresa della dinamica occupazionale. Su tutti questi fronti, le parti sociali possono svolgere un ruolo nuovo e decisivo.
L’intesa raggiunta con l’accordo interconfederale potrebbe essere un primo importante passo verso la modernizzazione delle relazioni industriali. La decisione ora spetta al governo: continuare a sostenere l’aziendalizzazione contrattuale o promuovere quella concertazione con le parti sociali che, sola, permette di raggiungere un compromesso equilibrato?
La crisi economica sembra aver riportato il tema del lavoro, delle sue insicurezze, insoddisfazioni e conflittualità, al centro delle preoccupazioni dei cittadini italiani. L’illusione che il superamento del taylor-fordismo potesse dare vita ad una società post conflittuale, in cui fosse possibile lavorare meglio e con minori problemi, è stato in parte smentito dai fatti, e si è assistito, al contrario, ad un complessivo peggioramento delle condizioni sociali dei lavoratori. Come possono le forze del centrosinistra misurarsi compiutamente con la domanda di certezze e di maggiore qualità del lavoro che proviene dalla società?