Giuseppe Surdi

Giuseppe Surdi

è ricercatore del Gruppo di Ricerche Industriali e Finanziarie-GRIF “Fabio Gobbo” dell’Università Luiss Guido Carli.

L’America che vuol guidare il XXI secolo

250 sono le pagine del primo rapporto sulle supply chain che il Dipartimento del commercio, il Dipartimento dell’energia, il Dipartimento della difesa e il Dipartimento della sanità hanno inviato alla Casa Bianca a seguito dell’ordine esecutivo 14017 del presidente Biden del 24 febbraio 2021.
Il presidente democratico ha individuato nelle filiere produttive americane un fattore strategico per il rafforzamento della manifattura interna e per una competitività internazionale che non vada a scapito della creazione di lavoro qualificato e remunerato sul territorio nazionale, oltre che per cementare la cooperazione internazionale con alleati e partner. Per questo Biden ha richiesto un’analisi approfondita della “America’s supply chain” praticamente a tutte le principali strutture della propria Amministrazione.

 

L’ultima prova per il sistema produttivo italiano

Il vecchio adagio per cui la crisi è anche un’opportunità per il cambiamento del sistema economico sta tornando prepotentemente, anche in Italia, dopo la fase di contenimento epidemiologico della pandemia da Coronoavirus. Questa litania che si rafforza rischia di non tenere in debito conto la lezione degli anni difficili tra il 2009 e il 2012, in particolare per il nostro paese, che hanno visto sicuramente una trasformazione nel sistema bancario, ma più per indirizzi europei e internazionali di ristrutturazione e rafforzamento dei fondamentali del settore che per una strategia paese che trasformasse le debolezze in virtù.

Una via italiana per l'Industrial Compact

La produzione industriale del nostro paese è ormai scesa a livelli precedenti al 1990, dimostrando così il carattere inequivocabilmente strutturale della crisi economica che l’Italia sta attraversando. È pertanto necessario spostare l’attenzione dalle riforme strutturali alle riforme della struttura, cercando nella capacità di trasformare le risorse a disposizione, nella ridefinizione del modello insediativo e nell’esportazione dello stile di vita italiano nuove strategie di politica industriale. L’opzione green e la costituzione di una rete di città di media dimensione come base per la generazione di competenze e capacità imprenditoriali da diffondere su tutto il territorio sono in questa ottica due ambiti molto promettenti per ridare finalmente lustro e visibilità al made in Italy.

Rinnovabili al Sud: chimere o speranze?

Il Mezzogiorno gode, grazie alle sue caratteristiche geografiche e climatiche, di un enorme potenziale di produzione energetica da fonti rinnovabili. Si tratta di un potenziale che va però sfruttato in maniera sostenibile, dal punto di vista sia ambientale che economico, e collegato, affinché possa avere delle positive ricadute occupazionali e produttive, alla creazione di una filiera industriale in grado di competere sul piano internazionale. Se adeguatamente sostenuto e dotato di infrastrutture, il Sud potrebbe così diventare un hub di conoscenze, tecnologie, competenze e sperimentazioni nell’ambito delle energie rinnovabili.

Le ragioni del “popolo verde”

Il “popolo verde”, lavoratori, professionisti, imprese che operano nel mondo delle rinnovabili, pare essersi destato all’improvviso pronto a far valere i propri interessi e il proprio ruolo nell’economia italiana. Forse è la dimostrazione che qualcosa di buono può nascere anche dal caos.

Risposte verdi contro la crisi tra Pacifico e Atlantico

In seguito alla crisi tutti i principali paesi industrializzati hanno adottato pacchetti di stimolo dell’economia che annoverano al loro interno misure a sostegno della trasformazione in senso sostenibile dei propri sistemi produttivi. Mentre gli Sta ti Uniti sembrano perseguire una strategia per la leadership tecnologica e industriale nei nuovi settori verdi, un grande sforzo è in atto nella medesima direzione da parte delle economie asiatiche (in particolare dalla Cina e dalla Corea del Sud) che nel complesso coprono più del 60% del totale degli investimenti globali. Più indietro sembra invece essere rimasta l’Europa che, pur essendosi avviata per prima sulla via della sostenibilità ambientale della propria economia, rischia ora di vedersi sottrarre questo ruolo di guida. Chi vincerà la sfida per la leadership della rivoluzione verde del XXI secolo?

Verso Copenaghen: quali politiche per l'Italia?

L’Italia si trova tra i paesi in prima fila nella lotta ai cambia­menti climatici e tuttavia sembra presentarsi alla vigilia del-l’appuntamento di Copenaghen ancora priva di una stra­tegia complessiva entro cui si inquadrino singoli provvedi­menti e iniziative. Altri paesi europei, come ad esempio la Germania, affronteranno invece in maniera più consape­vole obiettivi e impegni globali e specifici per la propria co munità nazionale.

Le prospettive energetiche mondiali secondo il World Energy Outlook 2006

Crescita incontrollata del fabbisogno energetico, sicurezza di approvvigionamenti economicamente accessibili, incertezza sugli investimenti necessari e rischi ambientali sempre più rilevanti sono le sfide globali che il «World Energy Outlook 2006» individua come prioritarie per l’intera comunità internazionale. L’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nel suo rapporto annuale presenta due proiezioni al 2030 delle tendenze energetiche globali: uno «scenario di riferimento», elaborato ipotizzando l’assenza di politiche innovative rispetto a quelle attualmente in atto, e uno «scenario alternativo», in cui si assume che i governi intervengano in modo deciso in ambito energetico e ambientale.