Piano casa, rilancio dell'economia e politiche di governo del territorio

Di Maurizio Lupi Giovedì 02 Luglio 2009 17:53 Stampa

Il principio di sussidiarietà ha profondamente trasformato il profilo dei rapporti tra le istituzioni. Anche in tema di politiche urbanistiche l’iniziativa di una pluralità di soggetti, associazioni, cooperative, imprese non profit e singoli individui deve rappresentare il presupposto per una trasformazione profonda delle politiche di governo del territorio.

Negli ultimi anni, sempre di più, la parola “territorio” è entrata nel lessico politico influenzando le iniziative dei governi. Il principio di sussidiarietà, introdotto dall’articolo 118 della Costituzione, ha restituito centralità alla persona con le sue istanze e i suoi bisogni. Da ciò non è conseguito un ritorno a vecchi localismi ma a una visione della società in forza della quale diventa sempre più importante partire dal concreto, valorizzando le ricchezze e le eccellenze d’Italia.

Un esempio potrebbe essere l’insieme delle riforme che hanno ridisegnato processi e contenuti dell’urbanistica. A seguito della riforma del Titolo V è stata introdotta una nuova materia, il “governo del territorio”, che comporta il superamento della nozione tradizionale di urbanistica quale disciplina di assetto del territorio, a favore di una nuova concezione della politica urbana, che coinvolge infrastrutture, sviluppo economico e ambiente.

In questa prospettiva la politica urbana deve essere orientata verso obiettivi di integrazione e coesione sociale; deve favorire il pieno sviluppo della persona e la partecipazione dell’intera collettività ai processi politici, considerando che dall’organizzazione del territorio può dipendere anche la migliore o la peggiore qualità della vita della collettività.

La riforma costituzionale citata ha segnato una svolta importante anche in virtù del riconoscimento e della valorizzazione del principio di sussidiarietà. Questa novità ha assunto una doppia valenza: il principio di sussidiarietà è da una parte un fenomeno politico-istituzionale e dall’altra socioeconomico.

Sotto il profilo politico-istituzionale prevede che una comunità di ordine superiore non debba sostituirsi a quella di ordine inferiore se quest’ultima risulta idonea a far fronte con i propri mezzi alle competenze che le sono attribuite. Nella sua dimensione verticale, pertanto, la sussidiarietà riguarda la distribuzione delle competenze tra livelli di governo (sovranazionale, nazionale, regionale, provinciale e comunale); nella dimensione orizzontale, invece, essa prevede che «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscano l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale».1

La realizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale richiede che ad ogni livello le pubbliche amministrazioni non si limitino a riconoscere l’esistenza di forme organizzative per lo svolgimento di tali attività, ma che piuttosto mettano in atto misure per favorirne la costituzione e l’operatività. L’azione richiesta alle pubbliche amministrazioni risponde all’esigenza di sostenere l’emergere, spesso spontaneo, di iniziative di sussidiarietà come fenomeno socioeconomico e come metodo per affrontare i bisogni concreti del singolo e della collettività.

Questo è tanto più urgente in un momento, come quello attuale, in cui la riduzione delle risorse pubbliche non consente di offrire una risposta concreta alle domande e alle esigenze quotidiane dei cittadini, e in cui preme soprattutto una domanda generalizzata di flessibilità e di semplificazione degli interventi statali.

La risposta della società civile ai bisogni espressi dagli individui tende ad avere sempre di più un carattere locale, poiché nella dimensione delle comunità sembrano esprimersi al meglio e con maggiore efficienza le potenzialità e le sinergie necessarie per adeguarsi alle esigenze specifiche del territorio, più di quanto non possa fare l’ente pubblico centrale che, per impostazione amministrativa, deve spesso preferire risposte standardizzate.

L’adozione del principio di sussidiarietà implica un cambiamento significativo per l’attore pubblico sia dal punto di vista culturale sia da quello organizzativo e operativo. All’ente pubblico non è sottratta la responsabilità per lo svolgimento della funzione di interesse generale, che rimane, naturalmente, di sua esclusiva competenza. Gli enti territoriali tuttavia devono accogliere, incoraggiare, riconoscere e sostenere – non solo sotto il profilo dei finanziamenti – tutti i soggetti organizzati della società civile (associazioni, cooperative, imprese profit e non profit).

Occorre esaminare l’esperienza regionale per verificare se e come tali principi fissati ed emergenti nel dettato costituzionale trovino attuazione.

Spicca in particolare il percorso intrapreso in questa direzione dalla Regione Lombardia, che ha da tempo avviato un’importante revisione del proprio sistema normativo culminata nell’approvazione della legge regionale 12/05 “Legge per il governo del territorio”. L’innovazione di maggior rilievo che tale provvedimento contiene è il superamento del Piano regolatore generale a favore della introduzione e della regolamentazione di un nuovo strumento: il Piano di governo del territorio.

Prescindendo dall’analisi delle singole norme e dalla tecnica giuridica, è importante rilevare che l’introduzione di questo innovativo strumento di regolamentazione del territorio ha fatto emergere una nuova concezione della disciplina urbanistica, con riferimento in particolare al rapporto tra l’azione politica e la strumentazione che la stessa si dà per amministrare e organizzare efficacemente il territorio.

Sembra essersi spostata la prospettiva: da una visione del piano come strumento di regolamentazione e disegno del fenomeno urbano, come accadeva nel passato, a una nuova concezione del governo dell’intero territorio, con la consapevolezza che la città contemporanea è caratterizzata da un complesso sistema di interdipendenza tra diversi livelli di pianificazione e programmazione, che vede coinvolti, da protagonisti, operatori sia pubblici che privati.

La nuova legislazione si ispira a un modello, ormai riconosciuto e adottato in diverse forme nella maggior parte delle Regioni italiane, che tende a superare le tradizionali tecniche allocative di destinazioni e pesi insediativi, tipiche del Piano regolatore generale, privilegiando l’indicazione di strategie e politiche di sviluppo del territorio. Per definire tali strategie occorre una lettura attenta da parte dell’amministrazione comunale della propria realtà locale, per individuare obiettivi che possano esprimere una visione complessiva e unitaria della città.

Si amplia il ruolo della pianificazione territoriale e delle politiche di sviluppo locale con l’obiettivo di stimolare le reti di cooperazione e garantire la partecipazione dei cittadini alla definizione delle strategie di sviluppo.

Questo sarà il compito della politica locale nei prossimi anni, in cui i soggetti privati dovranno essere in grado di formulare proposte anche innovative di sviluppo, non solo immobiliare, per consentire il raggiungimento degli obiettivi indicati dal Piano comunale.

Un disegno strategico forte richiede, quindi, l’introduzione di una normativa locale flessibile e semplificata, che consenta l’attuazione certa e rapida delle strategie di sviluppo del territorio. In questo nuovo contesto è evidente che la burocrazia comunale non può più svolgere il ruolo di “custode dei vincoli” imposto dal precedente sistema di pianificazione urbanistica, ma deve piuttosto esercitare una funzione di sintesi tra gli obiettivi delineati dall’amministrazione e le proposte degli operatori privati, svolgendo inoltre un ruolo di controllo sia con riferimento agli obiettivi di governo sia ai risultati raggiunti dalla collaborazione pubblico-privato.

La legislazione regionale lombarda ha stabilito i presupposti normativi per attuare il percorso descritto; spetta agli amministratori e ai tecnici comunali trasferire questi principi nel Piano di governo del territorio per attuare strategie di sviluppo in grado di assicurare la vivibilità e il rinnovamento architettonico delle città interessate. Spetterà infine agli operatori privati stabilire nuove relazioni con il pubblico per avanzare proposte in grado di dare risposte efficaci ai bisogni concreti della persona e della collettività locale.

Un approccio così diverso rispetto alla visione tradizionale dell’urbanistica impone anche un salto di qualità dal punto di vista culturale e formativo, per preparare nuove competenze professionali sia nel settore pubblico sia in quello privato che sappiano accettare una sfida importante per lo sviluppo e il miglioramento del paese. È per questo che a livello nazionale la preoccupazione e lo sforzo normativo devono rispondere all’esigenza di chiarire il significato e la portata della nuova competenza concorrente fissata dall’articolo 117, comma 3 della Costituzione in materia di “governo del territorio”.

L’intento è quello di attuare una revisione generale dei valori e degli strumenti giuridici per il governo del territorio italiano, fissandone i principi fondamentali, nell’ottica di una riforma della legge urbanistica del 1942. È necessario prendere le mosse innanzitutto dall’esigenza di dare una definizione della materia concorrente, “governo del territorio”, in risposta alle istanze provenienti anche dal mondo giuridico e dottrinale che si è interrogato sulla questione dell’ampiezza dell’espressione, chiedendosi in che misura dovesse coincidere con la materia amministrativa definita come “urbanistica” o “urbanistico-edilizia”.

La definizione contenuta nella proposta di legge 438, presentata il 29 aprile 2008 nel testo già approvato dalla Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura, è la seguente: «Il governo del territorio consiste nell’insieme delle attività conoscitive, valutative, regolative, di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie».

La legge proposta ha inteso identificare e definire i compiti e le funzioni dello Stato, nel rispetto del riparto concorrente in materia di governo del territorio, e di riconoscere, a livello generale, i principi di sussidiarietà, cooperazione e partecipazione, ai quali devono ispirarsi la ripartizione di competenze fra i diversi soggetti pubblici e i rapporti tra questi e i cittadini, secondo criteri di responsabilità e tutela dell’affidamento.

La nuova concezione della politica urbana e la complessità dei fattori sottesi al governo del territorio, da tenere in considerazione nella loro totalità, hanno ispirato anche il progetto normativo sul tema della casa. Sembrava che il cosiddetto Piano casa potesse essere approvato rapidamente visto l’unanime riconoscimento, proveniente anche dal livello regionale, della positività di un provvedimento che, da un lato, introduce elementi di flessibilità e accelerazione dei tempi di conclusione delle procedure edilizie e, dall’altro, offre la possibilità della ristrutturazione e riqualificazione del patrimonio immobiliare senza lo sfruttamento di nuovo territorio. Tuttavia le perplessità in ordine alla costituzionalità del provvedimento e la prudenza resa necessaria dall’esigenza di trovare un accordo con le Regioni, stante il riparto di competenze legislative di cui all’articolo 117 della Costituzione sopra citato, hanno segnato una battuta d’arresto, e l’approvazione è stata rinviata.

Occorre però ricordare che il Piano casa non contempla una proposta di contenuto meramente urbanistico ma implica un risvolto culturale di più ampio respiro, laddove ritiene di poter fondare lo sviluppo del territorio anche sull’ipotesi positiva promossa dal soggetto privato. Inoltre, non è possibile non farsi carico dell’esigenza di salvaguardare le legittime aspettative della collettività e non prendere seriamente coscienza del fatto che il rilancio dell’economia passa anche attraverso la ripresa dell’attività edilizia.

Insomma, la crisi che ci troviamo ad affrontare, proprio perché ci obbliga a stare davanti alla realtà senza schemi ideologici, può oggi trasformarsi in un’occasione irripetibile. Un’occasione per mostrare qual è il modello di società che vogliamo costruire ma, soprattutto, per fare quelle riforme di cui il paese ha davvero bisogno. Se questa è la prospettiva è indubbio che il territorio gioca un ruolo fondamentale. Il paese sta già mettendo in mostra il meglio di sé in termini di talenti, creatività e tenacia. La politica non può essere da meno. C’è già stato un momento in cui l’Italia, uscita sconfitta dalla guerra, è riuscita a rimettere in moto il proprio sistema produttivo diventando una delle prime potenze industriali del mondo. Anche allora molto di quello sviluppo passò attraverso una politica urbanistica efficace che riuscì a coniugare risposte concrete ai bisogni dei cittadini con un sensibile miglioramento della qualità della vita.


[1] Articolo 118, comma 4 della Costituzione.