Le scelte politiche dell’amministrazione statunitense relative alla questione irachena non nascono dal nulla, né sono frutto d’improvvisazione. Saddam Hussein rappresenta un vecchio obiettivo, un nemico tradizionale, e i piani d’attacco erano già pronti da tempo. Ma essi sono diventati attuali negli ultimi mesi e la loro realizzazione viene ora considerata improrogabile. Perché? La svolta dipende naturalmente dal nuovo contesto, determinatosi dopo l’undici settembre.
L’idea di guerra giusta non è soltanto il relitto di vecchie dispute teologiche. È anche un prodotto attuale del pensiero politico: figura in una serie di riflessioni sull’etica e sul diritto internazionale e viene riferita all’uso legittimo della forza militare, così com’è previsto nella Carta delle Nazioni Unite. Rinasce dalle sfide della storia contemporanea ed influenza il senso comune. Possiamo coglierne i significati soltanto analizzando alcuni contesti storici nei quali ricorre e svelando, a partire da questi, le ragioni e i limiti della sua reviviscenza in anni recenti. L’aggettivo «giusto» implica un giudizio di valore. Più precisamente, i comportamenti umani vengono così qualificati, poiché si considerano rispondenti ad un dover essere: ad una norma. Nel nostro caso, abbiamo un insieme di fatti – la guerra – messi in relazione con un modello prescrittivo, che può definirli e può divenire il loro movente.