Salvatore Veca

Salvatore Veca

è professore emerito di Filosofia politica alla Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia.

Giustizia

Questa voce del “Dizionario civile”, dedicata alla giustizia, difficilmente può sfuggire al cinquantenario di “Una teoria della giustizia” di John Rawls, l’opera del 1971 con cui il filosofo politico di Harvard ha finito per creare un vero e proprio paradigma. La sua imponente costruzione teorica è nata in alternativa alla prospettiva largamente dominante nella teoria politica, che consisteva in una qualche forma di utilitarismo. L’idea di base dell’utilitarismo vecchio e nuovo coincide con la massimizzazione del benessere collettivo o dell’utilità sociale come base della giustificazione e della legittimità della politica e delle politiche. A questa idea Rawls contrappone una concezione di giustizia radicalmente alternativa, che si avvale di una originale riabilitazione della tradizione del contratto sociale, una tessera del mosaico della nostra recente modernità.

Pensare l'Europa

Il saggio di biagio de giovanni è appassionante, denso e complicato. Appassionante perché si misura con alcune grandi questioni che affollano l’agenda di un’Europa possibile in una fase storica come quella attuale, in cui sembra essere in gioco la capacità stessa dell’Unione di essere attore politico globale in un mondo contrassegnato dal fatto della globalizzazione. È denso perché de Giovanni concentra in un’ampia introduzione e in sei lunghi capitoli il precipitato di una vasta serie di riflessioni che hanno carattere filosofico, intrecciate a un tentativo di interpretazione che mira a tenere insieme in modo coerente la storia dell’idea di Europa e la storia dei fatti che sono salienti nella lunga vicenda che è alle nostre spalle. È complicato perché il lettore è costantemente costretto a passare dall’ambito della storia delle idee a quello della storia delle pratiche e delle politiche, dallo spazio dei modi di pensare l’Europa a quello dei modi di fare l’Europa e, soprattutto, dei modi di farsi dell’Europa; e tutto questo su archi temporali a volte molto lunghi a volte contratti con un effetto un po’ da capogiro, come se uno fosse trascinato su un carrello lanciato a gran velocità in una giostra che gira vorticosamente.

Un'utopia ragionevole. Sette idee sulla cultura politica riformista

Cominciamo con una domanda elementare: che cosa vuol dire precisamente condividere una cultura politica riformista oggi? Mi propongo in questo articolo di saggiare alcune risposte. Le risposte alla domanda elementare mirano a chiarire che cosa ci identifica collettivamente, in che cosa ci riconosciamo come riformisti e socialisti democratici e in che cosa ci distinguiamo da altri, sia nella sinistra sia – naturalmente – nei confronti della destra. Le risposte cercano di fissare, per così dire, i tratti distintivi di una identità politica. Le mie risposte sono articolate in una sequenza di sette idee che offro alla discussione. La prima idea è questa: condividere una prospettiva politica riformista ci chiede di essere fedeli congiuntamente al senso della realtà e al senso della possibilità. Questo definisce la nostra prospettiva, il nostro modo di guardare e giudicare le cose politiche e sociali e ci dice che cosa dobbiamo fare e perché: ci dà ragioni per agire politicamente in certi modi.