Mauro Magatti

Mauro Magatti

insegna Sociologia generale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.


Italia, Europa, Occidente. Crisi demografica come crisi del desiderio?

Secondo i dati di recente resi noti dall’Istat, nel 2019 in Italia il numero delle nascite è stato pari circa a 435.000, meno della metà rispetto ai nati del 1974 e minimo storico dall’Unità d’Italia. Con un’ulteriore flessione del tasso di fecondità (1,29 figli per donna, fanalino di coda in Europa) e i tanti giovani che lasciano il paese (in dieci anni ne abbiamo persi 250.000), da un lustro l’Italia segna un bilancio demografico negativo (nel 2019 –1,9 per 1000 residenti). Per molti dei nostri giovani l’aspirazione a diventare padri e madri è destinata a non realizzarsi mai. O almeno a essere rinviata sine die.

Ridefinire il rapporto tra economia e società

Siamo dunque alla fine del neoliberismo? Anche se nella storia le continuità sono sempre rilevanti, io credo di sì. La crisi finanziaria ha rotto gli equilibri del ventennio 1989-2009 e ora il capitalismo è alla ricerca di una nuova conformazione. Di cui si intravvedono alcuni elementi embrionali. La buona notizia è che la partita non è ancora chiusa e c’è tuttora spazio (non per molto però) per una soluzione positiva. Anche se, nel frattempo, i rischi sono enormi.
Che piaccia o no, la presidenza Trump ha iniziato una nuova fase storica in cui l’obiettivo della potenza americana è quello di costruire nuovi rapporti di forza, militari e commerciali, a livello globale.

Sui rischi di deragliamenti della democrazia italiana. Può un rischio diventare occasione?

I risultati delle scorse elezioni politiche e il quadro parlamentare che ne è emerso segnano la rottura degli equilibri che hanno caratterizzato la seconda Repubblica, senza risolvere, ma anzi aggravandone, le peculiarità negative. Il M5S di Grillo si unisce a Berlusconi e alla Lega nell’elenco delle anomalie del nostro sistema politico, tanto che non è esagerato dire che un’ampia parte del Parlamento appena eletto non è riconducibile alla tradizione delle democrazie occidentali contemporanee. Spetta ora al PD il compito di provare a uscire dall’impasse, spronando il Parlamento – e il M5S al suo interno – ad avviare davvero una stagione di cambiamento che possa consentire di trasformare quanto accaduto in un’opportunità di positivo rinnovamento.

L’immobilismo delle élite e le sue conseguenze

  L’ondata di antipolitica che sta investendo alcune democrazie europee è il portato non solo della grave crisi economica che ha colpito l’Occidente, ma anche, nel caso dell’Italia, dell’atavico immobilismo delle élite, che impedisce ogni forma di rinnovamento politico. Eppure, questo rinnovamento, tanto invocato dai cittadini, costituirebbe l’unico rimedio alla deriva.

Dopo la distruzione (creatrice?)

I bassi livelli di produttività e di fiducia nelle istituzioni e nel futuro mostrano un paese sostanzialmente immobile. Ma se è vero che ogni trasformazione comporta un processo di “distruzione creatrice” dei vecchi sistemi prima di entrare nella fase di innovazione, allora bisogna guardare a quelle realtà (economiche, formative, sociali) che oggi si muovono con risultati positivi.

L’università e i cattolici nella “seconda globalizzazione”

Penalizzata dalle dinamiche localistiche che hanno caratterizzato l’università italiana, lasciandola di fatto esclusa dai processi di internazionalizzazione dai quali è stato investito il mondo accademico, la ricerca di ispirazione cattolica deve ora cogliere la sfida della “seconda globalizzazione”, forte di una vocazione universale che si configura come un’originale e valida alternativa agli eccessi individualistici delle società contemporanee.

Ripensare Milano e il suo governo

L’origine dei problemi che affliggono Milano è la sua incapacità di pensarsi. Un’incapacità che, mai come oggi, pesa sul futuro del capoluogo lombardo. Tutti sappiamo che la Milano del XX secolo (non solo la metropoli operaia e industriale degli anni Sessanta, ma anche la città spensierata e terziarizzata degli anni Ottanta) non c’è più. Troppi cambiamenti si sono accumulati. Tuttavia, cambiare pelle non è mai facile e l’elaborazione del lutto è sempre sofferta e laboriosa. Non a caso, il periodo a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta ha rappresentato una fase di sbandamento, dov’è parso che Milano fosse sul punto di perdere se stessa.