Italianieuropei 5/2021
Italianieuropei 5/2021

In questo numero

Pubblica amministrazione, quale riforma L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza richiede alcune importanti riforme di contesto, tra cui fondamentale è quella che riguarda la Pubblica amministrazione. Ma se c’è ampio consenso circa gli obiettivi della riforma, che mira ad una PA più efficiente, efficace, digitalizzata e snella grazie ad interventi di semplificazione e sburocratizzazione, una riflessione più approfondita appare necessaria per definire nel dettaglio gli interventi da compiere e le migliori modalità di azione.

11 settembre, venti anni dopo A due decenni di distanza dagli attacchi alle Torri Gemelle e al Pentagono si impone una riflessione su quanto accaduto nell’area del pianeta in cui più che altrove si è concretizzata la reazione statunitense a quella aggressione. È infatti nel Grande Medio Oriente dei conflitti afghano e iracheno, della guerra civile siriana, della destabilizzazione libica, degli avvicendamenti al potere innescati dalle Primavere arabe, nell’oblio che ha avvolto il conflitto israelo-palestinese che si possono intravedere le conseguenze geopolitiche più rilevanti di quanto avvenuto in quella tragica mattina americana del 2001.

il Sommario

gli Articoli

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Cambiare la PA, sfida riformista: la chance del PNRR per coniugare crescita e giustizia sociale

di Renato Brunetta

Una Pubblica amministrazione che funziona, efficiente, gentile e “facile” – uno Stato che si fa alleato dei cittadini – è il sogno più democratico che si possa immaginare. Ma è anche il più complesso e ambizioso da realizzare. Il momento per farlo è ora. Grazie al Next Generation EU (NGEU) il desiderio di innovare profondamente la macchina amministrativa non è più un’aspirazione utopistica o un esercizio retorico, ma un obiettivo a portata di mano. Il NGEU è il motore di un nuovo riformismo europeo, quello migliore, rimasto sottotraccia per troppi anni, schiacciato dalle politiche di rigore di Bruxelles.

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Un’opportunità imperdibile per rafforzare l’azione amministrativa delle città

di Antonio Decaro

Il tema della riforma della Pubblica amministrazione torna finalmente a occupare l’agenda politica di governo e Parlamento. È del tutto evidente che, nella attuale situazione, proprio dalla capacità di efficacia ed efficienza della PA dipendono le prospettive di ripresa e di rilancio verso il futuro del nostro paese. In particolare dal modo in cui sarà affrontato il rapporto tra le generazioni interessate, da come si trasferiranno le competenze tra le generazioni, da come giovani e anziani interagiranno per l’integrazione socio-culturale nel processo di riforma. Non a caso neanche trenta giorni dopo il giuramento del governo Draghi, il 10 marzo scorso, è stato firmato dal premier e dal ministro della Funzione pubblica, insieme alle parti sociali, il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale.

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Una amministrazione pubblica migliore, più efficace e più efficiente

di Marianna Madia

Siamo alla vigilia della gestione del più grande investimento di risorse per l’ammodernamento del paese. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta, al di là degli aspetti di retorica politica che accompagnano le discussioni pubbliche, anzitutto una sfida di credibilità del nostro apparato pubblico nella gestione e nell’attuazione delle misure. Il livello di attesa, soprattutto nella dimensione europea, sulla capacità del sistema paese di sfruttare il credito che, non senza fatica e scetticismo, ci è stato concesso è tuttavia proporzionale all’occasione che abbiamo per tentare di rimettere in ordine i nostri “fondamentali” e recuperare rispetto ai partner europei in termini di sviluppo economico, competitività ed efficienza nei settori strategici.

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Il potenziamento della capacità amministrativa: ripensare la gestione e l’organizzazione

di Luigi Fiorentino

Il cambiamento delle istituzioni non è un fatto meccanico. Non è un fatto prodotto soltanto da norme. Non è un fatto soltanto di geometria organizzativa. È qualcosa di più profondo, è qualcosa che attiene alle idee e al sentire degli uomini. Le istituzioni sono composte da uomini e donne. Il modo di essere delle istituzioni è anche il portato delle loro culture, del loro modo di porsi e della loro idea di Stato. Quindi, i cambiamenti del modo di operare delle strutture burocratiche sono difficili, coinvolgendo una moltitudine di persone. Ma quali sono le caratteristiche delle PA italiane alla vigilia dell’attuazione del PNRR?

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Riformare la PA con nuovi metodi e contenuti

di Alessandro Natalini

La Commissione europea, nell’ambito del semestre europeo, ha più volte raccomandato all’Italia di innovare le pubbliche amministrazioni ma con scarsi risultati. Gli ingenti fondi che finanziano il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) introducono una condizionalità economica che rende la pressione europea molto più incisiva. Questo ha indotto l’Italia ad assumere nel Piano, sottoposto alla Commissione europea il 30 aprile 2021, un formale impegno a modernizzare strutturalmente la propria burocrazia con scadenze predefinite. Il rispetto di queste scadenze è condizione per l’erogazione delle diverse tranche dei fondi del Next Generation EU per cui l’Italia avrà ottime ragioni per mantenere le promesse fatte.

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Semplificazione: l'urgenza di un cambio di paradigma

di Silvia Paparo

La crisi vissuta con l’emergenza sanitaria da Covid-19 ha reso ancora più evidente l’urgenza di rimuovere i vincoli burocratici, che ostacolano la ripresa e lo sviluppo del paese. Senza una drastica semplificazione delle procedure, la realizzazione degli obiettivi del PNRR rischia di “impantanarsi” nella palude della burocrazia. La ripartenza dell’Italia richiede, quindi, scelte coraggiose e una capacità di innovazione senza precedenti, in grado di superare le resistenze alla semplificazione e introdurre quei rimedi strutturali di cui il paese ha urgente necessità.
Un esempio per tutti: la durata delle procedure di valutazione ambientale (oltre due anni con punte che arrivano ai sei anni) e di autorizzazione per gli impianti di produzione di energie rinnovabili è incompatibile con la transizione energetica (59 miliardi di euro di investimento nel PNRR).

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

La scelta del lavoro pubblico

di Andrea Tardiola

Ripartono le politiche del personale, dopo il decennio della stretta economica e dopo la pandemia. Ma in che modo? Si tratta di riavviare un motore spento per lungo tempo, oppure di progettare un nuovo modello di propulsore? A mio parere, la seconda è l’unica strada percorribile, perché durante gli anni di ibernazione del “concorso pubblico” si sono determinate significative mutazioni di contesto di cui solo adesso assumiamo piena consapevolezza.
Siamo stati per lungo tempo abituati a ritenere che il datore di lavoro pubblico fosse dotato di un grande privilegio: per ogni posto di lavoro offerto, una pluralità di candidature tra le quali scegliere. Un presupposto parecchio vantaggioso perché, ad un selezionatore illuminato, consente di scegliere all’interno di un’ampia gamma di possibilità.

Agenda. Pubblica amministrazione, quale riforma

Valutazione e concretezza per cambiare e crescere

di Paola Piras

Sulla necessità di una profonda riforma dell’amministrazione, di un suo processo di “modernizzazione”, si è molto ragionato negli ultimi venti anni e si discute ancora oggi. Un processo lento e difficile; nel tempo rafforzato dal maturare della consapevolezza della centralità del principio di buona amministrazione e dalla crescente aspirazione all’efficienza e all’efficacia dell’azione amministrativa in ragione del mutato rapporto con il cittadino. Da mero destinatario della sua azione a vero e proprio centro del rapporto, grazie a un percorso nel quale la rilevanza del risultato nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini costituisce l’innovazione più profonda del modo di concepire l’attività e l’organizzazione della pubblica amministrazione; di ripensarla.

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Quel che resta del giorno

di Renzo Guolo

La scena non può essere che l’annunciato, ma non meno sorprendente, ritorno al potere dei Taliban e quella della precipitosa e drammatica fuga occidentale dall’Afghanistan. Due decenni di conflitto, migliaia di vittime, masse di profughi, gigantesche risorse investite. Poi, quei turbanti nel palazzo presidenziale di Kabul. Come se il tempo fosse trascorso vanamente. In realtà le cose non sono così semplici, ma l’epilogo afghano produce, comunque, un effetto straniante. E suscita interrogativi che non si possono eludere.
Cosa rimane della lunga stagione iniziata con l’attacco di al Qaeda all’America, proseguita con le guerre di Bush jr. in Afghanistan e Iraq, la teorizzazione dell’esportazione della democrazia con ogni mezzo, la violenta deflagrazione siriana, l’illusoria stagione delle cosiddette “primavere arabe”, la proclamazione dello Stato islamico, la campagna terroristica in Occidente come articolazione del jihad globale, il riposizionamento dei regimi autocratici della Mezzaluna in funzione di antemurale islamista?

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

I movimenti islamisti tra crisi interne, pluralizzazione e tendenze post islamiste

di Silvia Colombo

A vent’anni dall’11 settembre 2001, dallo shock degli attacchi terroristici di matrice jihadista sul suolo americano, dall’avvio della guerra al “terrore”, dalle ultime in ordine di tempo esperienze americane di esportazione della democrazia con le armi in Afghanistan e Iraq, dall’avverarsi dello “scontro di civiltà” e dalle campagne di demonizzazione nei confronti dell’Islam ciò che sta accadendo in Afghanistan in questi mesi e settimane suona come il rintocco della campana che segna la fine di un’era. Un’era in cui gli Stati Uniti in particolare ma in generale tutto il mondo cosiddetto occidentale avevano cercato di mettere in atto quella che sembrava l’unica strategia possibile per difendersi dalla forza materiale e ideologica – penetrante, violenta e totalizzante – dell’estremismo di matrice islamista incarnato dai talebani e da al Qaeda prima e dalle varie manifestazioni dell’ISIS poi.

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Il ritorno dei talebani a Kabul

di Elisa Giunchi e Gastone Breccia

Nel febbraio del 1989 gli ultimi soldati sovietici attraversarono l’Amu Darya, lasciandosi alle spalle un Afghanistan distrutto da dieci anni di guerra. Il ritiro, pur segnando una pesante sconfitta, era stato organizzato meticolosamente e avvenne in modo ordinato. È un ritiro molto diverso quello delle forze statunitensi e alleate al quale abbiamo assistito nei mesi scorsi, al termine di una guerra – la più lunga della storia americana – costata molte vite umane ed enormi risorse, e finita in una disfatta dell’Occidente tutto, e degli Stati Uniti in particolare che questa guerra l’hanno voluta e di cui hanno dettato tempistiche e strategie.

 

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Siria e Iraq, tra fine del comunitarismo confessionale e nuove influenze

di Francesco Salesio Schiavi

Sono passati vent’anni dagli attacchi dell’11 settembre, uno degli atti terroristici più significativi della storia moderna e probabilmente il singolo avvenimento che più ha inciso sulla storia del XXI secolo. All’alba del nuovo millennio, gli Stati Uniti potevano vantare lo status di unica superpotenza a livello mondiale, con una conseguente ineguagliabile portata a livello internazionale di hard e soft power. In questo frangente, gli attacchi compiuti da al Qaeda, oltre a influenzare in misura profonda le scelte statunitensi in ambito di politica estera e ridefinire gli interessi strategici di Washington, hanno idealmente segnato l’epilogo del momento unipolare a guida statunitense originato dalla fine della guerra fredda e posto le basi per un assetto internazionale che vede oggi la costante ascesa di un numero crescente di medie e grandi potenze.

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Gli alleati scomodi: Egitto e Arabia Saudita nella prospettiva statunitense

di Giuseppe Dentice

Da tempo opinione pubblica, think tank e parte delle istituzioni statunitensi si interrogano su quali siano le basi fondamentali dei rapporti di cooperazione costruiti a tutti i livelli dagli Stati Uniti con le principali leadership mediorientali. Una riflessione resa ancor più impellente dall’insediamento di una nuova Amministrazione come quella Biden, poco incline agli autoritarismi e mostratasi più sensibile a una rinnovata attenzione verso principi etici e morali quali la difesa dei diritti umani e il sostegno alla democrazia. Al contempo, la stessa Amministrazione ha pubblicato lo scorso 3 marzo una “Interim National Security Strategic Guidance”1 in cui si sottolinea la necessità di rinvigorire e di modernizzare le alleanze e le partnership statunitensi in tutto il mondo, in particolar modo quelle in Medio Oriente.

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Ascesa e declino del modello turco

di Francesco D’Alema

«Perché la gente mi paragona a Bin Laden o a Khomeini quando io sono più vicino a Erdoğan?».1
Rashid Ghannushi, leader del partito tunisino Ennahdha, si rivolse in questo modo ai giornalisti che lo attendevano all’aeroporto di Tunisi per il suo ritorno in patria, dopo vent’anni di esilio. Quasi a indicare quella vicinanza ideologica al leader turco come motivo di rassicurazione per l’Occidente. Una prova delle credenziali democratiche degli islamisti tunisini. Questo succedeva più di dieci anni fa. Il vento della Primavera araba aveva già spazzato il regime di Ben Ali in Tunisia, e presto avrebbe raggiunto, tra gli altri, l’Egitto di Mubarak e la Libia di Gheddafi. E nel processo di democratizzazione iniziato dalle ceneri di queste dittature nazionaliste e laiche, i partiti di ispirazione religiosa, legati alla Fratellanza musulmana, emergevano come futuri protagonisti.

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Il caos libico e l’esportazione della democrazia

di Michela Mercuri

Nel febbraio del 2011 l’onda lunga delle rivolte arabe, partite come manifestazioni giovanili e di piazza in molti paesi della regione mediterranea, si infrangeva anche sulle coste libiche. La nostra “sponda Sud”, come molti dei suoi vicini nordafricani e mediorientali, si apprestava a vivere uno dei più grandi cambiamenti della sua storia recente. A ben guardare, però, fin dall’inizio nell’ex Jamahiriya le proteste hanno assunto una connotazione peculiare che poco aveva a che vedere con le proteste di piazza Tahrir in Egitto o di avenue Bourguiba in Tunisia. In Libia si trattava, per lo più, di rivolte di imprinting tribale e localistico che avevano il loro epicentro a Bengasi, la “capitale” della Cirenaica, regione storicamente avversa allo strapotere del rais. Ben presto le sollevazioni hanno dato vita a milizie e gruppi combattenti.

Focus. 11 settembre, venti anni dopo

Il nodo sempre più stretto del conflitto israelo-palestinese

di Umberto de Giovannangeli

«Vedete, l’Occupazione agisce in ogni aspetto della tua vita, ti sfinisce, ti amareggia in un modo che nessuno da fuori riesce davvero a capire. Ti sottrae il domani. Ti impedisce di andare al mercato, alla spiaggia, al mare. Non puoi camminare, non puoi guidare, non puoi raccogliere un’oliva dal tuo stesso albero che si trova dall’altra parte del filo spinato. Non puoi nemmeno alzare lo sguardo al cielo. Lassù hanno i loro aeroplani. Possiedono l’aria che sta sopra e il suolo che sta sotto. Per seminare la tua terra devi avere il permesso. Con un calcio spalancano la tua porta, prendono il controllo della tua casa, mettono i piedi sulle tue sedie. Tuo figlio di sette anni viene preso e interrogato. Nemmeno puoi immaginarlo. Sette anni. Fai che sei padre per un minuto e pensa a tuo figlio di sette anni che viene preso davanti ai tuoi occhi. Bendato. Ammanettato con lacci ai polsi. Condotto al tribunale militare di Ofer. La maggior parte degli israeliani nemmeno lo sa che succedono queste cose.

Le persone. Parliamo di lui/lei

Angela Merkel, totus politicus

di Nicolò Carboni

Notte elettorale del 18 settembre 2005. La SPD del Cancelliere uscente Gerhard Schröder e la CDU di Angela Merkel (capo del partito da appena qualche mese) si giocano la maggioranza al Bundestag sul filo di poche migliaia di voti. Schröder tiene la scena, si sbraccia, ha la camicia stirata di fresco e ripete che l’incarico di formare un nuovo governo deve spettare a lui, negando la possibilità di qualsiasi grande coalizione con i cristiano-democratici; Angela Merkel; la telecamera indugia sulle sue smorfie, chiaramente vorrebbe essere ovunque tranne che in quello studio televisivo. Il suo partito, la CDU aveva nove punti di vantaggio nei sondaggi ma, mese dopo mese, quel margine si è ristretto sempre di più, anche a causa di una sua pessima performance televisiva dove ha confuso salario netto e salario lordo.

Le recensioni di Italianieuropei

Quale mondo nuovo dopo la pandemia?

di Massimo D'Alema

Sarà la pandemia l’evento traumatico che ci aiuterà a cambiare il mondo? “Vulnerabili” di Vittorio Emanuele Parsi ci porta nel cuore della crisi attuale. Ci aiuta a coglierne l’inedita portata e a valutarla non solo per le sue evidenti e drammatiche conseguenze, ma anche come straordinaria occasione per imprimere un cambiamento radicale nella politica e nella vita delle persone. Voglio dire subito che il libro coinvolge anche perché scritto non solo con il rigore dello studioso ma anche con la passione civile del militante. Di un intellettuale che milita a favore della speranza e che ritiene che possa aprirsi una nuova stagione, lasciandoci alle spalle quella del rancore. Confesso che – anche per la passione, pure in questo caso, comune – le metafore legate al mare e al vento rendono il ragionamento particolarmente persuasivo.

Le recensioni di Italianieuropei

La nascita della Repubblica in forma di giallo

di Lara Trucco

Mi piacerebbe definire il libro di Federico Fornaro un giallo scritto in chiave storica, che vede nel titolo, “2 giugno 1946”, l’approdo di una fitta trama di eventi nella quale episodi e accadimenti passati si intersecano offrendo varie chiavi di lettura, inducendo così il lettore, pagina dopo pagina, al desiderio di conoscere come andranno le cose, questo – cosa tanto più ragguardevole – benché si sappia già come è andata a finire (!).
La storia comincia dunque il 10 luglio 1943, con lo sbarco dei primi contingenti anglo-americani in Sicilia e l’occupazione, in poche settimane, dell’isola, con una popolazione che li accolse come liberatori, a fronte di truppe convinte perlopiù dell’inevitabilità della sconfitta.

 

Le recensioni di Italianieuropei

Il futuro quantico dell’umanità migrante

di Daniela Preziosi

«Il 2019 era stato un anno record per il turismo, con gli arrivi internazionali che avevano toccato il miliardo e mezzo di viaggiatori, il dato più alto di sempre. Più di 275 milioni di persone erano state registrate come migranti internazionali – dai lavoratori indiani dell’edilizia e dalle colf Filippine a Dubai agli executives americani e agli insegnanti di inglese da un capo all’altro dell’Asia –, la cifra più alta mai registrata. Poi tutto si è fermato. Il lockdown ha sostituito l’incremento delle migrazioni e degli spostamenti con un improvviso reset della popolazione mondiale». Ma ora tutto riparte perché «migrare è il nostro destino» e la storia del mondo è una storia di eterno e inarrestabile movimento di uomini e donne.

 

Dizionario civile

Democrazia (esportare la)

di Enzo Di Nuoscio

Se la democrazia fosse inscritta nella linea evolutiva di ciascun popolo, allora basterebbe aspettare per vederla trionfare; se la sua affermazione fosse legata soltanto alla rimozione dei suoi nemici, allora sarebbe sufficiente mandare i marines per abbattere il regime di turno; se coincidesse con il “governo del popolo” scelto mediante elezioni, allora basterebbero i Caschi blu dell’ONU per avviare un regime democratico; se si riducesse soltanto a una questione di ingegneria istituzionale ed elettorale, allora sarebbe sufficiente inviare politologi e costituzionalisti. Ma così non è.