Come cambiare il PSE?

Di Redazione Sabato 01 Novembre 2003 02:00 Stampa

Il mio giudizio su questo progetto è positivo. Noi socialisti seguiamo attentamente il contributo che le altre forze riformiste danno al processo di costruzione dell’Europa, e sono frequenti le occasioni in cui ci troviamo a collaborare con altri gruppi politici del Parlamento europeo o con componenti di questi gruppi. Non va dimenticato però che proprio nel Parlamento europeo è molto chiara la discriminante sinistra-destra e che il PSE è saldamente ancorato a sinistra.

 

Una conversazione con Enrique Barón Crespo e Jacques Delors

 

Il dibattito in corso sull’ipotesi di allargamento del Partito del socialismo europeo solleva numerosi interrogativi. Ritenete che l’allargamento dei confini del PSE a tutti i riformismi europei sia un progetto necessario e realizzabile?

 

Enrique Barón Crespo

Il mio giudizio su questo progetto è positivo. Noi socialisti seguiamo attentamente il contributo che le altre forze riformiste danno al processo di costruzione dell’Europa, e sono frequenti le occasioni in cui ci troviamo a collaborare con altri gruppi politici del Parlamento europeo o con componenti di questi gruppi. Non va dimenticato però che proprio nel Parlamento europeo è molto chiara la discriminante sinistra-destra e che il PSE è saldamente ancorato a sinistra. Non si tratta di un posizionamento ideologico: verifichiamo tutti i giorni nel nostro lavoro quanto le nostre idee in campo economico-sociale, nel campo dei diritti, nella politica estera e di sicurezza comune, differiscano da quelle della destra.

 

Jacques Delors

Vi sono diversi aspetti che devono essere considerati nella riflessione sul Partito del socialismo europeo e sul suo futuro. Al di là della competizione con il Partito popolare europeo, che merita di essere considerata a parte, vi sono due elementi importanti. Il primo riguarda il funzionamento del Partito del socialismo europeo, su cui continuo ad avere grossi dubbi. La mia esperienza personale, che non va oltre il 1998, mi aveva reso molto critico. Mi sembrava che l’intenso calendario dei capi di governo appartenenti alla socialdemocrazia li rendesse poco disponibili a prestare attenzione ai dibattiti che potevano essere preparati dai gruppi di lavoro, nell’intervallo delle riunioni che solitamente precedono le sessioni del Consiglio europeo. A ciò va aggiunta la difficoltà dovuta al fatto che il dialogo tra chi è al potere e chi è all’opposizione non è affatto facile. Mi sembra, pertanto, che i metodi di lavoro debbano essere riconsiderati, in modo da offrire basi più solide, prodotte da un dialogo approfondito tra i rappresentanti dei diversi partiti. Ecco il prezzo che il PSE deve pagare per fare dei progressi capaci di favorire lo sviluppo di uno spirito civico europeo. Con l’allargamento, si sono già unite a noi nuove formazioni politiche. Spesso si tratta di forze dotate di un’esperienza limitata, considerando che questi paesi sono stati, per più di quaranta anni, sotto il giogo del comunismo. Vi sono certamente molti malintesi, non soltanto nei settori della politica estera e della difesa, ma anche sulle condizioni di una società più equa e più responsabile. Di nuovo, si tratta di mettere al servizio di questo dialogo e di questi scambi una struttura più funzionale all’interno del PSE.

 

Come si sta delineando questo dibattito all’interno delle forze politiche che aderiscono al PSE? Quali sono gli orientamenti emersi nei diversi partiti nazionali rappresentati nel PSE? E quali i motivi ad essi sottintesi?

 

Enrique Barón Crespo

Devo dire che, aldilà della quotidiana collaborazione e del confronto con gli altri gruppi politici cui ho fatto riferimento, questo dibattito non è molto presente all’interno del PSE: per ora è limitato principalmente alla componente italiana. Il contributo importante che può venire dal vostro paese è proprio questo, la spinta ad allargare i nostri confini. Mi verrebbe da dire: cominciate voi italiani il processo, mettetelo in pratica, fatelo vivere; il gruppo del PSE seguirà con attenzione e saprà trarne gli insegnamenti dovuti.

 

Jacques Delors

Per rispondere a questo interrogativo occorre guardare al Modello sociale europeo, che tutti i socialisti e i socialdemocratici vogliono difendere, adattandolo naturalmente ai nuovi parametri economici e demografici. Nessuno mette in dubbio che questo modello si sia imposto in Europa grazie al pensiero e all’azione della socialdemocrazia. La socialdemocrazia è riuscita a conciliare le esigenze di un’economia aperta con lo sviluppo del welfare state. Essa si basava, a questo scopo, su tre tipi di governance: l’economia di mercato, la concertazione e la contrattazione tra datori di lavoro, sindacati e, se necessario, l’autorità pubblica, gli interventi dello Stato e della Banca centrale. La combinazione tra queste tre formule poteva variare secondo le tradizioni nazionali, oppure le circostanze. Il compromesso, tuttavia, era sempre presente.

Apro una parentesi sull’Europa ricordando che avevo trasposto questa filosofia nell’Atto unico, formalizzando i tre pilastri indissociabili della politica europea in materia economica e sociale: la concorrenza che stimola, la cooperazione che rafforza, la solidarietà che unisce. E vale la pena aggiungere che, nel 1985, tali orientamenti erano sostenuti dalle due forze politiche che hanno fatto principalmente l’Europa: la socialdemocrazia e la democrazia cristiana. Da allora, la socialdemocrazia ha avuto difficoltà nel mantenere la propria unità, presa tra la corrente della «terza forza» britannica e i socialisti più legati al modello iniziale. In quanto alla democrazia cristiana, essa ha conosciuto un certo declino ed è stata «inglobata » nella forza pluri-ideologica che è il PPE.

Mi ha deluso dover constatare che, dal 1995 in poi, mentre undici governi su quindici si richiamavano alla socialdemocrazia, è stato loro impossibile trovare un accordo e marcare con un loro segno l’Unione europea. Ed è questa constatazione, a mio avviso, che giustifica la necessità di una discussione approfondita all’interno del PSE e dei suoi aderenti. Non intendo con ciò sottovalutare tuttavia lo sforzo di adattamento, coronato di successo, profuso da alcuni paesi di orientamento socialdemocratico: la Svezia, la Danimarca, i Paesi Bassi, per citarne solo alcuni. Non intendo neppure ignorare l’esperienza britannica sotto la guida di Tony Blair, né i problemi reali da lui posti sul futuro di una società efficace, solidale e responsabile. Il mio «Libro bianco» del 1993 presentava già analisi simili e proponeva delle soluzioni, sia a livello europeo sia a quello nazionale. Le analisi, quindi, esistono, le domande sono state poste. Si deve, tuttavia, ancora inquadrarle in una riflessione, e in seguito in un’azione generale del PSE. La loro applicazione, lo ribadisco, potrà realizzarsi sia a livello europeo sia a livello nazionale, che resta fondamentale per tutto ciò che concerne la coesione sociale.

 

L’allargamento del PSE e l’apertura sia al mondo cattolico che a quello laico implica il confronto con culture in alcuni aspetti differenti da quella socialista. Cosa può significare questa trasformazione in termini di risultati? E che tipo di compromessi ci si deve attendere?

 

Enrique Barón Crespo

Il confronto tra diverse culture e diversi modi di fare politica credo sia già parte integrante del patrimonio del nostro gruppo: tra le nostre file c’è attualmente un pastore protestante, c’è stato un prete cattolico, però nessuno è identificato politicamente in base alla propria matrice religiosa. In Europa un gruppo parlamentare è laico per definizione: ancora una volta mi pare che sia un dibattito solo italiano a sottolineare queste caratteristiche a scapito della discriminante sinistradestra, progressisti-conservatori.

 

Jacques Delors

Se il dibattito è senza dubbio aperto sulle questioni che ho appena posto, non vi è alcun dubbio che esiste opposizione tra la sinistra e le destre, che sono sempre più attirate dalla glorificazione dell’individualismo, dal regno senza condivisione del mercato, dal pensiero unico, che è causa di tante devastazioni e ha condotto allo squilibrio attuale dell’Unione economica e monetaria, con il trionfo del monetarismo, insensibile alle esigenze del welfare e alle realtà difficili e complesse del mondo del lavoro.

Detto ciò, è indispensabile, come sempre, trovare a destra del PSE delle forze che siano sensibili alla necessità di adattare il modello europeo, senza trasfigurarlo. Questa è la nostra responsabilità politica, ossia trovare dei compromessi che permettano all’Europa di avanzare, e di diventare più capace di esercitare la propria influenza nel mondo. È infatti responsabilità storica della nostra Europa non restare al margine del mondo e contribuire a renderlo migliore.

 

In che modo i socialisti europei possono rinnovare il loro indirizzo politico, alla luce del processo di allargamento dell’UE, per rendere più efficace la loro «offerta» verso i cittadini?

 

Enrique Barón Crespo

Rinnovamento, apertura ad altre sensibilità e proposte politiche, ascolto della società, capacità di interpretare i bisogni e le aspirazioni dei nostri concittadini, attenzione alle aspettative dei cittadini dei nuovi Stati membri: questa è la nostra sfida quotidiana, il compito del quale ci sforziamo di essere all’altezza. È evidente che si tratta di un compito difficilissimo: noi ce la mettiamo tutta. Ma in questo potrebbe essere decisivo il ruolo del Partito del socialismo europeo, un partito vero, rinnovato e più forte, alla cui costruzione dobbiamo ancora dare vero compimento.

 

Jacques Delors

Dobbiamo dibattere in modo trasparente le questioni fondamentali che sono poste alle società europee e trovare un margine minimo di risposte comuni. In tal modo, riusciremo a persuadere gli elettori di come la nostra sia una forza politica in grado di apportare delle risposte concrete ai problemi posti all’Unione europea, in quanto tale. Per tutte le scadenze più imminenti, si deve ricordare che l’allargamento rappresenta, al tempo stesso, un nostro dovere storico e la gioia di riunire tutti i paesi che, da ovest a est, da nord a sud, hanno costituito il patrimonio europeo.

Questa grande Europa, tuttavia, deve restare fedele ai tre principi dell’Atto unico: concorrenza, cooperazione, solidarietà. Ed è necessario trarne le conseguenze in relazione alle politiche comuni e ai mezzi finanziari dell’Unione. Si tratta di un programma vasto, quando si osserva la miopia di certi governi e il rifiuto di qualsiasi nuovo impegno finanziario.

 

In termini di competitività, un PSE allargato potrebbe rispondere meglio alle sfide poste dalla casa dei conservatori del PPE, che oggi racchiude al suo interno un gruppo eterogeneo di forze politiche presenti nei vari paesi con l’esplicito obiettivo di contrastare la sinistra?

 

Enrique Barón Crespo

Noto che la destra era molto più europeista quando si trattava di costruire un mercato unico, lo è molto meno ora che è in gioco un’idea di Unione che investe anche altri campi. Adesso il PPE ha scelto di darsi come ragione di vita solo lo slogan «sconfiggere i rossi» e così raccoglie tutte le forze (anche tra loro contraddittorie) che si adeguano a questa parola d’ordine. Cosa hanno in comune tra loro i vecchi partiti socialcristiani, i conservatori britannici, Forza Italia? Il risultato – basta guardare i voti in plenaria – è catastrofico dal punto di vista della loro immagine, ma il problema è che ne risente la stessa costruzione europea. Spetta alle forze progressiste ed europeiste il ruolo di motore della nostra assemblea: per far questo un PSE allargato può essere un polo d’attrazione anche per quelli che vivono male il loro permanere in un contenitore senza la dignità di una reale famiglia politica.

 

Jacques Delors

È necessario trarne due orientamenti. Il primo è che la discussione fondamentale tra i membri del PSE non deve occultare la necessità di trovare rapidamente, tra di loro, un accordo chiaro per le prossime elezioni europee. Il secondo riguarda la forza delle nostre risposte alle domande poste dai profondi cambiamenti che stiamo vivendo. Una forza che sarà tale da far esplodere l’unanimità superficiale che caratterizza attualmente il PPE, impegnato principalmente ad accrescere il numero dei suoi membri per dominare il PSE. L’occasione per il PSE sta nella sua capacità di trovare soluzioni ai problemi dei paesi europei, che si riflettano positivamente all’interno di certi gruppi politici del PPE. Il Parlamento europeo deve essere l’ambito in cui si realizzeranno questi compromessi, in grado di permettere all’Europa di avanzare. L’istituzione parlamentare è sempre più protagonista, mentre il prossimo Trattato costituzionale ne accrescerà i poteri.

 

Si può ipotizzare che un tale processo di allargamento porti a un’accelerazione e a una più chiara definizione degli assetti nazionali, in vista delle prossime elezioni per il Parlamento europeo?

 

Enrique Barón Crespo

Le elezioni europee del giugno 2004 impongono già a tutti un’accelerazione. Quello che spero è che si continui a ragionare in termini europei, senza ricadere nel ristretto ambito nazionale, come purtroppo è accaduto durante le campagne elettorali delle precedenti elezioni. Poi il nuovo parlamento che si insedierà a luglio, potrà essere la fucina di nuove alleanze.

 

Jacques Delors

Ci vorrà del tempo per realizzare questa trasformazione del PSE, che ritengo vitale. Tuttavia, in vista delle prossime elezioni, ogni formazione nazionale deve almeno accettare di riprendere, negli stessi termini, certe proposte la cui forza deriverà, in parte, da questa volontà comune manifestata dai partiti membri del PSE

 

Percepite differenze rilevanti tra i soggetti socialisti nazionali che aderiscono al PSE in relazione al prossimo allargamento dell’UE e al processo costituzionale in corso? Come valuta ad esempio l’atteggiamento «sospettoso» manifestato ultimamente da alcuni rappresentanti del Partito socialista francese?

 

Enrique Barón Crespo

Quelle di qualche compagno francese sono posizioni degne di rispetto ma che non coincidono con la politica che prevale nella nostra famiglia. Il gruppo del PSE ha agito sempre in modo coerente per rendere possibile l’allargamento dell’Unione ai nuovi paesi. Anche all’interno della nostra famiglia, con il programma «Willy Brandt», abbiamo curato in modo particolare i rapporti con le forze socialiste dei nuovi aderenti. Forse il problema riguarda piuttosto le opinioni pubbliche dei nostri paesi, in cui permangono zone di dubbio e timori: dobbiamo spiegare ai nostri concittadini l’importanza della nuova Europa che stiamo costruendo e i benefici che dall’allargamento verranno a tutti in termini di pace, di stabilità, di progresso economico. 

 

Jacques Delors

È in corso un dibattito democratico all’interno del Partito socialista francese, il quale – ricordiamolo – è stato sempre la punta di diamante della costruzione europea. Si deve tuttavia spiegare ulteriormente cosa rappresenta l’allargamento, e chiarire le caratteristiche e i limiti di un Trattato costituzionale. Non è «riempiendo» il testo di molteplici riforme su uno o l’altro aspetto del modello europeo che si risolveranno i problemi di fondo. Siamo però tutti d’accordo che sia normale che molti socialisti francesi attendano di conoscere i risultati della Conferenza intergovernativa per pronunciarsi. Altrimenti, a cosa servirebbe tale Conferenza? Sono comunque fiducioso, il Partito socialista resterà fedele grazie ai suoi impegni ma anche grazie alle sue esigenze, alla sua vocazione storica, al servizio dell’ideale di un’Europa potente e generosa.