Imposta negativa, universalismo e incentivo al lavoro. Le linee di una riforma

Di Claudio De Vincenti e Corrado Pollastri Lunedì 02 Giugno 2003 02:00 Stampa

Nella scorsa legislatura non sono mancati interventi redistributivi di un certo rilievo volti a rafforzare istituti esistenti o a introdurne di nuovi per il contrasto della povertà e per il sostegno alle responsabilità familiari: dall’aumento delle detrazioni IRPEF per carichi familiari a un più complessivo riassetto dell’imposta volto a sostenere i redditi personali e familiari (riduzione delle aliquote IRPEF e ridefinizione degli scaglioni di reddito, aumento delle detrazioni da lavoro e pensione concentrato soprattutto sui redditi più bassi); dall’aumento degli assegni al nucleo familiare a quello delle pensioni sociali e delle pensioni minime; dall’introduzione dell’assegno di maternità e di quello per i nuclei con almeno tre figli minori alla sperimentazione del Reddito minimo di inserimento.

 

Nella scorsa legislatura non sono mancati interventi redistributivi di un certo rilievo volti a rafforzare istituti esistenti o a introdurne di nuovi per il contrasto della povertà e per il sostegno alle responsabilità familiari: dall’aumento delle detrazioni IRPEF per carichi familiari a un più complessivo riassetto dell’imposta volto a sostenere i redditi personali e familiari (riduzione delle aliquote IRPEF e ridefinizione degli scaglioni di reddito, aumento delle detrazioni da lavoro e pensione concentrato soprattutto sui redditi più bassi); dall’aumento degli assegni al nucleo familiare a quello delle pensioni sociali e delle pensioni minime; dall’introduzione dell’assegno di maternità e di quello per i nuclei con almeno tre figli minori alla sperimentazione del Reddito minimo di inserimento. Queste misure, pur importanti (anche sul piano quantitativo), hanno tuttavia solo iniziato ad aggredire i problemi principali del sistema italiano di sostegno alle famiglie e di contrasto della povertà. In particolare, restano da avviare a soluzione alcuni problemi di grande rilievo dal punto di vista distributive.

Primo. Una parte significativa delle famiglie (2.663.000 secondo l’ISTAT, pari al 12% delle famiglie italiane) si colloca sotto la linea di povertà relativa (ha cioè un reddito pro-capite equivalente inferiore alla metà del reddito medio nazionale), mentre manca nel nostro paese una rete di protezione dei cittadini contro il rischio di povertà analoga a quella di cui invece sono dotati i principali partner europei. Secondo. L’assetto dei trasferimenti monetari alle famiglie è ancora caratterizzato da istituti «categoriali» che limitano l’universalità del sistema, lasciando prive di copertura fasce di popolazione importanti, in particolare disoccupati e inoccupati; i limiti del sistema esistente hanno acquistato rilievo crescente col diffondersi di rapporti di lavoro meno stabilmente strutturati e di carriere lavorative caratterizzate dal susseguirsi, nella vita del medesimo individuo, di diverse tipologie di lavoro. Terzo. La disorganicità del sistema dei trasferimenti monetari, segnato da una incoerente sommatoria di istituti che lo rendono al tempo stesso pletorico e lacunoso,1 determina un vero e proprio ginepraio redistributivo dagli effetti spesso incongrui e difficilmente controllabili da parte dei pubblici poteri;2 uno dei molti possibili esempi, che si analizzerà in seguito, è quello delle conseguenze distorsive derivanti da un andamento dell’assegno al nucleo familiare in funzione del reddito costruito in modo incoerente rispetto all’andamento delle aliquote IRPEF. Quarto. Circa il 13-14% della popolazione (secondo le stime della Commissione di indagine sull’esclusione sociale) risulta fiscalmente incapiente ed è quindi in una condizione che, in assenza di uno strumento di imposta negativa, non consente di trarre vantaggio da aumenti delle detrazioni o da riduzioni di aliquota. Quinto. Struttura del prelievo e assetto dei trasferimenti risultano poco incentivanti verso l’emersione dei rapporti di lavoro meno strutturati. Infine si avverte con forza l’esigenza di semplificazione e trasparenza, quindi anche di comprensibilità per il cittadino e di controllabilità per i pubblici poteri, del sistema di imposte e trasferimenti monetari sui redditi familiari.

L’attuale governo non solo esprime orientamenti che non appaiono all’altezza dei problemi sul tappeto (si veda ad esempio l’inconsistenza delle indicazioni contenute nel recente Libro Bianco sul welfare) ma, con le misure varate finora, rischia anche di vanificare i passi avanti compiuti nella passata legislatura e di invertire il segno redistributivo delle politiche pubbliche favorendo i redditi più alti. Prendiamo in considerazione alcuni provvedimenti. I) L’applicazione della legge delega in materia fiscale finirà – anche nell’ipotesi più favorevole circa la struttura delle deduzioni – per concentrare l’80% degli sgravi fiscali sul 20% di contribuenti più ricchi; non a caso, le stime condotte circa l’assetto della distribuzione dei redditi quando la delega sarà a regime segnalano un forte aumento della diseguaglianza (l’indice di Atkinson aumenta da 0,210 a 0,217)3; II) Le misure di sgravio fiscale introdotte con la legge finanziaria per il 2003 danno nell’immediato alcuni modesti vantaggi ai contribuenti a reddito basso (e comunque non a quanti erano già incapienti), in parte compensati dalla cancellazione della riduzione delle aliquote che era stata disposta per il 2002 e per il 2003 dall’ultima finanziaria dell’Ulivo. A ciò si limita il beneficio fiscale per i redditi bassi poiché, dopo questa prima tranche (circa 5 miliardi di euro) che è stata loro assegnata, tutto l’ammontare di risorse ulteriori (non meno di 16 miliardi di euro) destinate alla riduzione della pressione fiscale dalla delega andrà a favore dei contribuenti dei due decili superiori della distribuzione; 4 III) la struttura dell’IRPEF come modificata dalla legge finanziaria per il 2003 presenta un profilo di aliquote marginali implicite – risultanti dall’andamento di aliquote e deduzioni in relazione al reddito imponibile – più elevato rispetto a quello delle aliquote formali e caratterizzato da picchi e avvallamenti che ne rendono discontinua l’effettiva progressività;5 il tutto rende assai poco trasparente la relazione tra incremento di reddito e incremento di imposta per il contribuente; IV) la chiusura della sperimentazione del Reddito minimo di inserimento è un grave regresso rispetto alla costruzione di una rete di protezione dei cittadini contro il rischio di povertà come quella che esiste nei principali paesi europei.

 

Le linee essenziali di una possibile riforma. Gli obiettivi

a) Costruzione di un sistema universalistico di sostegno dei redditi personali e familiari che superi le diseguaglianze casuali che derivano dall’assetto «categoriale» di molti degli istituti esistenti e fornisca una rete di tutele generalizzata. b) Miglioramento dell’equità verticale (tra livelli di reddito) e orizzontale (tra redditi familiari equivalenti) e riduzione del grado di diseguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile (quello che resta a disposizione delle famiglie dopo aver pagato le imposte e aver ricevuto i trasferimenti monetari). c) Introduzione di un istituto di base di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale che si rivolga quanti incontrano serie difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro. d) Sostegno, in forme incentivanti il lavoro, dei redditi correnti e dei contributi previdenziali (quindi dei redditi prospettici) di coloro che, pur inseriti nel mondo del lavoro, hanno un reddito insufficiente a causa della precarietà e discontinuità del rapporto di lavoro. e) Semplificazione e trasparenza, quindi anche comprensibilità per il cittadino e controllabilità per i pubblici poteri, del sistema di imposte e trasferimenti monetari sui redditi familiari.

 

Gli strumenti

Si tratta di ricondurre a un impianto logicamente unitario il rapporto tra cittadini e Stato sul versante del trattamento dei redditi monetari: a seconda del loro livello di reddito i cittadini dovrebbero pagare imposte o incassare trasferimenti entro un sistema semplice e trasparente che consegua gli obiettivi di redistribuzione del reddito, lotta alla povertà e incentivo al lavoro già indicati. Due sono gli snodi essenziali su cui si può articolare una simile riforma: un’imposizione personale la cui azione redistributiva avvenga con un sistema di aliquote e detrazioni coerente con il sostegno ai redditi bassi e alle responsabilità familiari e con l’esigenza di incentivare il lavoro e l’emersione, sistema che per gli incapienti si configuri come imposta negativa (e quindi come trasferimento a loro favore). E un istituto di tutela delle fasce più deboli di forza-lavoro e di quanti sono a rischio di esclusione sociale.

Una considerazione propedeutica e una premessa sono necessarie prima di passare alla descrizione articolata della proposta. La prima riguarda l’enfasi che abbiamo posto sull’esigenza di costruire un impianto logicamente unitario per fisco e trasferimenti. Questo punto può essere chiarito con un esempio riferito alla situazione attuale. La struttura vigente degli assegni al nucleo familiare – prodotto di una serie di aggiustamenti disorganici che hanno determinato un andamento degli assegni in funzione del reddito, sganciato dall’andamento delle aliquote IRPEF – produce una distorsione delle aliquote marginali implicite. Queste ultime risultanti dalla combinazione di aliquote IRPEF e riduzione dell’assegno all’aumentare del reddito, con effetti perversi dal punto di vista dell’equità distributiva e della razionalità del prelievo. Basti guardare al grafico seguente, che evidenzia l’andamento dell’aliquota implicita per un lavoratore dipendente con coniuge e due figli a carico quale risulta dalla struttura IRPEF come modificata dalla finanziaria 2003 e dalla struttura in vigore per gli assegni familiari: il grafico è costellato di vere e proprie «trappole della povertà», ossia di situazioni in cui un incremento di reddito imponibile produce una riduzione di reddito disponibile a causa di una aliquota implicita superiore al 100%; si tratta di una distorsione ulteriore, rispetto a quella interna alla struttura IRPEF 2003 che abbiamo già richiamato in precedenza.

Figura 1

Passiamo alla premessa, opportuna per collocare adeguatamente le nostre proposte nel quadro degli strumenti di politica sociale da costruire. Ci soffermeremo qui solo sul sistema di imposte e trasferimenti finanziati per via fiscale, lasciando sullo sfondo gli istituti su base assicurativa che pure sono chiamati a svolgere una funzione essenziale per il conseguimento degli obiettivi generali che sono stati indicati. In particolare, non ci soffermeremo sulla necessaria riforma degli ammortizzatori sociali, per la quale si rinvia al progetto di legge presentato nell’agosto 2002 dai gruppi parlamentari dell’Ulivo.6 Si tratta di una riforma che, su base assicurativa, migliora e generalizza il trattamento di disoccupazione e la tutela da sospensioni temporanee dal lavoro, disegnando un sistema basato su due pilastri: il primo, finanziato per via contributiva obbligatoria, innalza l’indennità di disoccupazione (al 60% del salario) e la estende, a condizioni mirate a evitare abusi, a tutte le persone con contratto di lavoro subordinato, anche in forma discontinua, o che svolgono attività di lavoro caratterizzate da una situazione di dipendenza economica (i Co.Co.Co ad esempio); il secondo estende a tutti i lavoratori subordinati il trattamento di cassa integrazione, reso omogeneo a quello di disoccupazione e finanziato per via contributiva obbligatoria, e prevede che esso sia integrabile a carico di fondi bilaterali istituiti con contratto collettivo e autofinanziati dalle parti. Il riassetto del sistema degli ammortizzatori sociali che ne deriverebbe appare coerente con gli obiettivi che abbiamo indicato, cosicché lo assumeremo d’ora in poi come parte integrante della medesima strategia di riforma entro cui si collocano le proposte su fisco e trasferimenti di cui qui ragioniamo.

Esse riprendono e sviluppano alcune indicazioni emerse al termine della scorsa legislatura all’interno dell’Ulivo, in particolare la prospettiva di riforma dell’IRPEF prefigurata dal ministro Visco7 e l’introduzione di un istituto universalistico di contrasto della povertà prospettata nella legge quadro di riforma dell’assistenza del ministro Turco. In sintesi, la strategia di riforma che proponiamo si articola nei termini seguenti. Primo. Introduzione di uno strumento di imposta negativa per gli incapienti nel quadro di una più generale riforma e semplificazione dell’IRPEF che incentivi il lavoro e l’emersione e sostenga le responsabilità familiari.8 Una simile riforma dovrebbe fare perno su: a) una ristrutturazione di aliquote e detrazioni (o deduzioni equivalenti) che semplifichi il sistema, riduca il carico fiscale sui redditi medi e bassi e configuri una maggiore progressività dell’imposta che, grazie al guadagno di trasparenza delle aliquote (aliquote esplicite non distorte da deduzioni decrescenti come nella riforma Tremonti), sia anche più incentivante il lavoro. In particolare, si tratta di prevedere una detrazione (o equivalente deduzione) da lavoro nettamente più elevata dell’attuale e costante all’aumentare del reddito, con un effetto appunto a un tempo di maggiore progressività e di maggiore trasparenza (viene eliminata in questo modo la divaricazione tra aliquote implicite ed esplicite presente nell’assetto IRPEF disposto dalla finanziaria per il 2003); l’ammontare della detrazione è maggiore per i lavoratori dipendenti (e Co.Co.Co.) rispetto agli autonomi, per tener conto dei costi di produzione del reddito che i primi non deducono dall’imponibile. b) Nel caso di redditi per i quali l’imposta dovuta risulta inferiore alla detrazione (incapienza), quest’ultima viene usufruita come credito d’imposta, ossia costituisce un’integrazione di reddito (imposta negativa); a fini di incentivo al lavoro e all’emersione, per i redditi inferiori al minimo imponibile la detrazione va strutturata in modo che il credito d’imposta che ne deriva sia proporzionale al reddito da lavoro effettivo, cosicché conviene guadagnare di più e conviene dichiarare tutto il guadagno; un ulteriore rafforzamento dell’incentivo si avrebbe prevedendo per il lavoratore incapiente oltre al credito d’imposta anche un credito contributivo in percentuale del reddito da lavoro dichiarato a fini IRPEF, col risultato non secondario di sostenere la costruzione di carriere contributive adeguate a fini pensionistici.9 c) Il sostegno alle responsabilità familiari viene assicurato con un sistema di detrazioni uguale sia per i lavoratori dipendenti (e Co.Co.Co.) che per gli autonomi e articolato su: I) una detrazione per ogni familiare a carico, costante indipendentemente dal reddito e che dovrebbe essere di livello più elevato dell’attuale ma, al fine di incentivare la ricerca di fonti autonome di reddito, non superiore al credito d’imposta ottenibile dal familiare ove il suo reddito da lavoro sia pari alla soglia per la quale egli cessa di essere a carico (in questo modo, raggiunta tale soglia, conviene comunque al familiare lavorare e dichiarare i suoi guadagni); II) detrazioni ulteriori per coniuge e figli minori a carico che sostituiscano gli attuali assegni al nucleo familiare, in modo da costruire un sistema di sostegno delle responsabilità familiari integrato con l’imposta personale che eviti le incoerenze già evidenziate. d) In caso di incapienza, sia le detrazioni per familiari a carico sia quelle ulteriori per coniuge e figli vengono usufruite come credito d’imposta (imposta negativa); dato l’obiettivo specifico di questo tipo di detrazioni, il sostegno cioè alle responsabilità familiari, il loro ammontare resta costante in cifra fissa indipendentemente dal reddito, al contrario di quanto previsto sopra per la detrazione da lavoro che sotto il minimo imponibile è proporzionale al reddito. Si ottiene così un risultato di particolare importanza rispetto all’attuale sistema di assegni familiari: quest’ultimo presenta il paradosso per cui l’assegno viene meno quando si perde il lavoro, quindi proprio nel momento di massimo bisogno. Con il sistema delle detrazioni, invece, il lavoratore ha diritto al sostegno anche in caso di licenziamento e di riduzione del suo reddito sotto il minimo imponibile. e) L’imposta negativa viene corrisposta al lavoratore dipendente (e al Co.Co.Co.) mensilmente nel corso dell’anno dal datore di lavoro (come sostituto d’imposta) nonché, in caso di perdita del lavoro, dall’amministrazione finanziaria o, forse meglio, dall’INPS; il lavoratore autonomo ne usufruisce invece alle scadenze alle quali effettua i pagamenti IRPEF a saldo e in acconto; inoltre, l’imposta negativa è condizionata per l’autonomo alla verifica che il reddito dichiarato sia coerente con gli studi di settore. d) La strutturazione che abbiamo proposto per l’imposta negativa realizza un incentivo al lavoro e un sostegno delle responsabilità familiari analogo al Working Families’ Tax Credit in corso di sperimentazione in Gran Bretagna;10 rispetto all’esperienza inglese, il sistema proposto, prescindendo da vincoli circa l’ammontare minimo di ore lavorate nel corso della settimana, ha il vantaggio di sostenere anche redditi molto bassi e discontinui nel corso dell’anno.

L’imposta negativa si configura come uno strumento agile e generalizzato, volto a sostenere i redditi di coloro che sono già inseriti o sono in grado di inserirsi autonomamente nel mondo del lavoro ma che hanno un reddito insufficiente a causa della precarietà e discontinuità del rapporto di lavoro. Per quanto riguarda le fasce più deboli di forza-lavoro e quanti sono a rischio di esclusione sociale, è necessario introdurre un secondo strumento, su cui ora ci soffermeremo, più specificamente rivolto a sostenere azioni positive di reinserimento.

I) Generalizzazione del Reddito minimo di inserimento (RMI) secondo le linee indicate dal recente disegno di legge presentato dai gruppi parlamentari dell’Ulivo.11 Si tratta di un istituto di sostegno ai redditi più bassi volto a contrastare le situazioni di marginalità sociale: si rivolge quindi a quanti incontrano serie difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro, è accompagnato da prova dei mezzi e dalla partecipazione obbligatoria a programmi di reinserimento lavorativo e sociale. Condizioni economiche per l’accesso al RMI: ISEE (indicatore della situazione economica equivalente) non superiore a una determinata soglia; patrimonio immobiliare limitato alla prima casa; patrimonio mobiliare molto basso. Integrazione del reddito mensile pro-capite equivalente (calcolato sulla base della scala di equivalenza prevista dall’ISEE): pari alla differenza tra il reddito mensile disponibile (comprensivo di tutti i redditi ed emolumenti a qualsiasi titolo percepiti) e una soglia predeterminata; a fini di incentivo al lavoro, nel calcolo del reddito disponibile i redditi da lavoro sono computati al 75%. Obblighi per i beneficiari: partecipazione ai programmi di reinserimento lavorativo e di integrazione sociale disposti dai comuni; accettazione della chiamata al lavoro anche temporaneo.

II) Per coloro che hanno almeno 65 anni di età il reddito minimo prende la forma di una Pensione di solidarietà di base (PSB), che diviene lo strumento universalistico di tutela dei redditi degli anziani che non hanno maturato una adeguata pensione contributiva e che quindi sostituisce le attuali integrazioni al minimo (che comunque sono destinate a venir meno in base alla riforma Dini) e gli attuali assegni sociali. Anche la PSB è accompagnata da prova dei mezzi ma non, ovviamente, da programmi di reinserimento lavorativo. Le condizioni economiche di accesso alla PSB possono essere diverse da quelle di accesso al RMI in relazione alle specificità della situazione anziana, in particolare le condizioni riferite al patrimonio mobiliare e immobiliare dovranno essere meno restrittive per non penalizzare i risparmi accumulati nel corso della vita lavorativa. L’integrazione di reddito è pari alla differenza tra il valore PSB e il reddito mensile disponibile (comprensivo di tutti i redditi ed emolumenti a qualsiasi titolo percepiti); i redditi da pensione derivanti dai versamenti contributivi passati sono computati al 75%, in modo da salvaguardare l’incentivo al versamento dei contributi nel corso della vita lavorativa.

Naturalmente, imposta negativa e RMI (o PSB) sono, per il singolo, alternativi tra loro: in altri termini il singolo è chiamato a scegliere tra il RMI, con prova dei mezzi e specifici obblighi, e il regime normale di imposta, che per i redditi bassi implica la possibilità di usufruire dell’imposta negativa. Il livello delle detrazioni IRPEF da lavoro e per i familiari va definito, relativamente al trattamento RMI, in modo che, in corrispondenza di un reddito limitato ma comunque tale da configurarsi come risultato di un adeguato grado di inserimento nel mercato del lavoro, risulti conveniente per il lavoratore optare per l’imposta negativa – e quindi per il regime normale di imposta – rispetto al RMI. In questo modo, si garantisce che i due istituti, imposta negativa e RMI, fronteggino effettivamente situazioni di bisogno diverse:12 mentre il RMI, con prova dei mezzi e obblighi specifici, affronta le situazioni a rischio di marginalità sociale, l’imposta negativa sostiene, in forme incentivanti il lavoro e l’emersione, le situazioni di discontinuità di reddito e i percorsi individuali di persone che sono autonomamente in grado di giocare le proprie carte sul mercato del lavoro. Proprio la scelta di passare al regime normale di imposta da parte di un soggetto che prima aveva optato per il RMI sarà un indicatore significativo del successo stesso delle azioni di reinserimento attivate.

 

Compatibilità di finanza pubblica e priorità di politica economica

Nel valutare l’impegno di risorse che un simile riassetto del sistema di imposta personale e trasferimenti monetari a favore delle famiglie comporta, si deve tener conto di diversi ordini di risparmi che esso consente. In primo luogo, la stessa ristrutturazione di aliquote e detrazioni va costruita in modo da concentrare l’impegno di risorse sui redditi medi e bassi in modo da evitare la pesante riduzione di gettito che la delega del governo, se concretamente attuata, determinerebbe a favore dei redditi alti. In secondo luogo, l’insieme della riforma, comprensivo del RMI e della PSB, configura il superamento di quegli istituti assistenziali oggi esistenti che svolgono funzioni analoghe ma fuori di un assetto coerente e rispondendo spesso a logiche categoriali e particolaristiche: pensioni sociali, pensioni di invalidità (tranne gli assegni di accompagnamento che vanno piuttosto destinati a una riforma della tutela delle persone non autosufficienti), pensioni agricole. Gli stessi assegni familiari, come si è detto, vengono superati da un sistema più efficace di sostegno della famiglia (detrazioni per i familiari che non vengono meno quando si perde il lavoro e RMI che è proporzionato alla numerosità del nucleo familiare).13 Infine, in base alla riforma pensionistica del 1995 le integrazioni al minimo delle pensioni sono destinate a venire meno via via che il sistema raggiunge il pieno regime; nel lungo periodo quindi le risorse corrispondenti possono essere utilizzate per una nuova forma di tutela dei redditi degli anziani quale quella sopra delineata con la PSB.

Tenendo conto di tutto ciò, è possibile contenere in misura significativa l’onere complessivo della riforma. Le prime simulazioni che abbiamo condotto al riguardo mostrano che, assumendo un RMI strutturato come da disegno di legge dell’Ulivo e una PSB configurata in coerenza, una opportuna struttura di aliquote e detrazioni IRPEF consente di limitare l’impegno di risorse richiesto dalla riforma a regime entro quello corrispondente alla riforma IRPEF contenuta nella delega governativa (circa 16 miliardi di euro). L’impatto redistributivo è naturalmente rovesciato rispetto a quello della delega: le risorse sono interamente concentrate sui redditi medi e bassi, tutti gli indicatori di diseguaglianza si riducono in misura estremamente significativa, un numero consistente di persone viene portata sopra la soglia di povertà. Soprattutto, si realizza nel nostro paese un sistema di tutela delle situazioni di bisogno universalistico e incentivante il lavoro, che assorbirebbe un ammontare di risorse in rapporto al PIL finalmente comparabile con quello che si riscontra nei principali paesi europei. Non a caso, le nostre prime simulazioni segnalano che trarrebbe consistenti benefici dalla riforma oltre l’80% dei cittadini italiani, con vantaggi equamente distribuiti tra Nord e Sud e tra nuclei familiari di diversa ampiezza.

Naturalmente, un simile impiego delle risorse può entrare in competizione con altre priorità di politica economica e sociale come, per restare sul terreno del sistema di welfare, il finanziamento dei servizi di qualità sociale. Si tratta di un problema reale, tanto più se il risanamento della finanza pubblica realizzato nella passata legislatura dovesse essere compromesso dalla politica di bilancio dell’attuale governo. E comunque i termini della scelta non possono essere annacquati con ottimismi di maniera o considerazioni di comodo. Può però essere utile segnalare il ruolo positivo che la riforma del sistema di imposta personale e trasferimenti monetari può giocare per lo sviluppo stesso dei servizi di qualità sociale, in particolare sostenendo il potere d’acquisto delle famiglie con redditi medi e bassi che a quei servizi sono particolarmente interessate. Il problema è piuttosto quello di costruire, nel campo dei servizi di qualità sociale, politiche pubbliche in grado di attivare i meccanismi allocativi che indirizzino verso quei servizi l’uso del maggior potere d’acquisto determinato dalla redistribuzione di reddito e che quindi sostengano dal lato della domanda lo sviluppo dei relativi mercati.

L’esempio appena fatto segnala che per governare il bilanciamento tra diverse priorità di politica economica e sociale occorre costruire un quadro di coerenze logiche tra gli strumenti che si intende mettere in campo. Un quadro cioè propedeutico a quello delle compatibilità finanziarie e in grado di guidare l’attivazione, in parallelo e per passi successivi, delle diverse componenti di una medesima strategia di riforma via via che andranno liberandosi le risorse necessarie. Il centrosinistra è dunque chiamato a evitare di vivere la questione delle compatibilità come un vincolo paralizzante, motivo di contrapposizione irriducibile e suicida tra proposte di riforma che al contrario vanno combinate in un disegno unitario. Un disegno circa il futuro desiderabile del nostro paese, in nome del quale costruire il consenso necessario alla ripresa di una rigorosa gestione del bilancio pubblico da parte di un futuro governo di centrosinistra volta, appunto, a creare le risorse per attivare le riforme di cui il paese ha bisogno.

 

 

 

Bibliografia

1 Secondo l’icastica definizione di Bosi, Ferrera e Saraceno. Cfr. P. Bosi, M. Ferrera e C. Saraceno (a cura di), L’istituto del minimo vitale: esperienze e proposte di riforma, Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale, allegato al documento di base n. 3, Roma 1997.

2 Per una loro analisi dettagliata, cfr. Un welfare su misura, Rapporto IV, CER-SPI, Ediesse 1997.

3 Cfr. C. De Vincenti, L. Lusignoli e C. Pollastri, La riforma dell’IRPEF: costi ed effetti distributivi della delega, in S.Fantacone e G. Rodano (a cura di), Inversione di rotta e occasioni mancate. Le riforme di politica sociale del centro-destra, Rapporto XIII CER-SPI, Ediesse 2002.

4 Ibid. e N. Baldini e P. Bosi, L’imposta sul reddito nel Disegno di legge delega della riforma fiscale: effetti sul gettito e distributivi, CAPP, Modena 2002.

5 Cfr. R. Paladini e V. Visco, Nuova IRPEF, redditi medi ad alto rischio, in «Il Sole 24 Ore» 20 ottobre 2002.

6 Cfr, Diritti di sicurezza sociale in materia di tutela attiva del lavoro e del reddito, A.S. n. 1674.

7 Ad esempio nell’intervista, Addio all’Irpef per 10 milioni di famiglie, in «La Repubblica», 13 dicembre 2000.

8 Per una prima discussione degli effetti redistributivi e di razionalizzazione dell’IRPEF che avrebbe l’introduzione di una forma di imposta negativa nel sistema italiano, cfr. Visco, Appunti per una riforma fiscale, CespeMateriali, 5, 1995 e N. Rossi, Introduzione a A.B. Atkinson. Per un nuovo welfare state. La proposta reddito minimo/imposta unica, Laterza, Roma-Bari 1998. Rispetto a queste prime indicazioni, la proposta che stiamo qui discutendo per un verso fa dell’imposta negativa stessa, come si dirà subito nel testo, un robusto strumento di incentivo al lavoro e all’emersione, e per altro verso le affianca uno strumento di «minimo vitale» rispetto al quale costruisce le necessarie coerenze in termini di «incentivocompatibilità».

9 Una misura di questo tipo è prevista per esempio dalla proposta citata di riforma degli ammortizzatori sociali.

10 Sulla sperimentazione inglese, cfr. L. Pennacchi e F. Lanzoni, Making work pay e strumenti fiscali di sostegno ai redditi bassi e medio-bassi: prospettive di riforma nel Regno Unito e in Italia, Gruppo Democratici di Sinistra-l’Ulivo, Dipartimento «Competitività e giustizia sociale», Roma, 2002.

11 «Introduzione della disciplina del Reddito minimo d’inserimento», A.C. n. 3619. Già la commissione Onofri aveva formulato nel 1997 una proposta di «minimo vitale» che può essere considerata progenitrice del RMI.

12 Con il linguaggio della moderna teoria economica degli incentivi, possiamo dire che il risultato della struttura di incentivi dell’imposta negativa, relativamente a quella del RMI, produce un «equilibrio di separazione», in cui cioè a ogni cittadino conviene optare per il regime più adeguato alla sua specifica situazione.

13 Notiamo per inciso che l’attuale struttura degli assegni familiari risulta rovesciata rispetto all’applicazione di una qualsiasi scala di equivalenza, con effetti deleteri sull’equità orizzontale del sistema redistributivo.