Promuovere una global food policy per gestire la scarsità

Di Paolo De Castro Giovedì 26 Giugno 2008 19:17 Stampa
Il problema del rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli sta assumendo dimensioni preoccupanti. A farne le
spese sono soprattutto le popolazioni più povere e vulnerabili e la situazione rischia di diventare insostenibile. Ma essa non è risolvibile con misure unilaterali da parte dei singoli Stati, come sta ora avvenendo. È invece necessario operare per trovare soluzioni a livello globale, con il concorso di paesi sviluppati e non, perché si possa avviare una nuova era nella gestione della sicurezza alimentare.

La rapidità del cambiamento e i vincoli che condizionano le soluzioni

I prezzi dei prodotti agricoli e alimentari sono cresciuti negli ultimi anni ad un ritmo straordinario. Le cause di questo incremento, che rischia di pregiudicare i risultati ottenuti negli ultimi anni in tema di crescita e sviluppo globale, sono molteplici e non di rado il dibattito e le riflessioni sul tema producono orizzonti, tra loro anche molto diversi, entro cui affrontare l’emergenza. In primo luogo appare opportuno chiarire cosa sta avvenendo. L’aumento dei prezzi è stato guidato principalmente dall’incremento dei redditi delle economie emergenti; questo è sicuramente il fattore più significativo, a cui ne vanno aggiunti altri: dalla relativa inelasticità dell’offerta ai livelli di stock ormai da anni tradizionalmente bassi, dalle tendenze speculative alla destinazione di una parte delle risorse agricole alla produzione di biocarburanti. Ci troviamo di fronte ad andamenti della domanda che hanno spiazzato l’offerta. Tra il 2000 e il 2007, ad esempio, la domanda di cereali ha superato la produzione e le scorte si sono, di conseguenza, ridotte progressivamente, ad un ritmo intorno al 3,4% l’anno.

La risposta più intuitiva all’attuale situazione sta nell’incremento dell’offerta di cibo, opzione che si dovrebbe produrre naturalmente a seguito di shock sul fronte della domanda, ma che nell’attuale situazione di scarsità diviene difficile da realizzare. Di fronte a un fabbisogno alimentare che supera l’offerta e che continua a crescere ad un ritmo sostenuto, non solo la strutturale lentezza dell’offerta agricola ad adeguarsi a incrementi della domanda, ma anche la disponibilità di risorse produttive, rappresentano elementi di forte preoccupazione. La risposta dovrebbe infatti venire dall’ampliamento delle superfici coltivate e/o da incrementi della produttività. Obiettivi il cui raggiungimento è oggi molto più impegnativo che nel recente passato, in cui, peraltro, politiche ad hoc hanno limitato lo sfruttamento del potenziale produttivo, in ragione di uno scenario profondamente diverso da quello attuale.

Così gli ultimi anni sono stati caratterizzati da arretramenti dell’offerta agricola in molte aree del mondo e questo ha contribuito a ridurre le scorte dei principali paesi esportatori. Nei paesi emergenti e in via di sviluppo sono stati soprattutto la nuova competitività nell’uso dei suoli e i processi di industrializzazione e urbanizzazione a produrre un rallentamento della crescita dell’offerta agricola e la sottrazione di risorse alla produzione alimentare.

Il vincolo della disponibilità di terra, per ragioni diverse, è comune a tutto il globo e a questo si aggiungono le difficoltà legate alla disponibilità di acqua e agli effetti del cambiamento climatico e, soprattutto nei paesi poco sviluppati, alla scarsità di infrastrutture rurali e di investimenti nella ricerca e innovazione agricola. Nuovi vincoli, quindi, nell’accesso ai fattori produttivi, ma anche vecchie debolezze.

I terreni migliori sono già sfruttati, quelli accessibili sono meno produttivi e la loro disponibilità è in parte compromessa dai fenomeni di desertificazione ed erosione dei suoli. Nello stesso tempo, la domanda globale di acqua è triplicata nell’arco degli ultimi cinquant’anni; 500 milioni di persone vivono in paesi cronicamente deficitari, ed è prevedibile che questo numero aumenti significativamente nei prossimi trent’anni.

È evidente che numerosi vincoli frenano la risposta dell’offerta agricola, che è per definizione inelastica e quindi lenta nella reazione. La produzione è cresciuta solo lentamente in alcuni paesi tradizionalmente esportatori e in alcuni di essi, come l’Australia, è stata fortemente penalizzata dagli eventi climatici. La produzione di paesi come Cina, Unione europea, India, e Stati Uniti è stagnante.

La concomitanza dei diversi fenomeni che contribuiscono all’incremento dei prezzi e il loro legame fanno presagire la persistenza dell’attuale scenario nel lungo termine, anche perché il costo, non solo economico ma anche ambientale, della messa in produzione di nuove terre può rivelarsi elevato nel prossimo futuro e, soprattutto nelle aree meno sviluppate del mondo, alcuni fattori (mutamenti climatici, volatilità dei prezzi, costo dei fattori produttivi) possono aumentare l’esposizione al rischio degli agricoltori, nonostante la tendenza al rialzo dei prezzi.

Gli effetti degenerativi della carenza di politiche globali

L’impatto sull’inflazione della situazione appena descritta è stato significativo, con intensità variabile secondo i contesti, e proprio la necessità di tenere sotto controllo l’in- flazione ha dato avvio all’attivazione di una serie di misure di politica interna finalizzate a contenerla e quindi a contenere l’incremento dei prezzi agricoli nei diversi paesi.

Si sono così confrontate strategie, politiche e misure tra loro anche molto diverse, in molti casi fornendo segnali che hanno ulteriormente indebolito la funzione di equilibrio assegnata al mercato. È infatti ragionevole ritenere che le politiche adottate da paesi importatori ed esportatori abbiano contribuito ad alimentare le tensioni sui prezzi. I paesi esportatori hanno diminuito i volumi immessi sui mercati e quelli importatori sono stati stimolati ad acquisire volumi anche superiori al proprio fabbisogno e a prezzi elevati. Il combinato effetto della riduzione dell’offerta e dell’aumento della domanda oltre le necessità reali ha spinto ulteriormente al rialzo dei prezzi e favorito la loro volatilità. Molti paesi hanno adottato restrizioni o divieti alle esportazioni con l’obiettivo di stabilizzare i prezzi e ricostituire le scorte. Nello scorso mese ben quindici paesi,1 tra cui otto grandi produttori, hanno imposto restrizioni all’esportazione di prodotti agricoli di base. La Cina ha limitato le esportazioni di riso e mais, l’India quelle di riso e legumi, l’Argentina ha aumentato la tassazione sull’esportazione dei suoi principali prodotti. In alcuni casi sono stati introdotti divieti all’esportazione di particolari categorie di prodotti. In altri contesti hanno invece trovato applicazione misure di controllo dei prezzi.

Queste misure rischiano, almeno parzialmente, di aumentare il livello di distorsione dei mercati, restringendone la dimensione e incrementando la volatilità dei prezzi.

Le stesse misure di controllo dei prezzi adottate in numerosi contesti hanno poi determinato meccanismi disincentivanti per gli agricoltori, che hanno subito una contrazione dei propri ricavi. Inoltre diversi paesi, in particolare quelli più poveri, non dispongono di risorse sufficienti per praticare analoghe politiche commerciali e tariffarie e stanno scontando un prezzo più alto degli altri in questo nuovo scenario.

Le limitazioni, le restrizioni e i divieti all’esportazione hanno anche effetti nocivi sugli importatori netti, compromettendo i vantaggi dell’integrazione commerciale globale, già segnata dalle distorsioni create soprattutto dalle politiche commerciali dei paesi sviluppati, penalizzando ancor più la posizione dei paesi poveri e pregiudicandone i possibili vantaggi competitivi.

L’emergenza alimentare

Chiaramente, gli effetti di un elevato livello dei prezzi sono differenti per i diversi contesti e per i diversi gruppi sociali. L’incremento dei prezzi dei prodotti alimentari colpisce soprattutto le popolazioni povere e più vulnerabili e sta mettendo seriamente a rischio gli obiettivi che la FAO si è posta rispetto al dimezzamento della fame nel mondo entro il 2015. Il numero di persone a rischio nutrizionale che vivono nelle aree meno sviluppate del mondo si aggira attualmente intorno agli 840 milioni di persone.

Dato che la maggioranza dei paesi poco sviluppati, e in particolare quelli africani, risulta essere importatrice netta di cereali, è evidente quanto duramente gli effetti della crisi si stiano manifestando in queste aree. Cresce il rischio che quote significative di popolazione già vulnerabile varchino la soglia della povertà assoluta, impossibilitate come sono a reagire di fronte a uno shock dei prezzi così rapido e intenso. Nei paesi in via di sviluppo quasi i tre quarti del bilancio familiare sono destinati alle spese alimentari e comprendono soprattutto alimenti di base, come i cereali, che devono soddisfare la quasi totalità del fabbisogno alimentare. La situazione attuale rischia non solo di ostacolare l’accesso al cibo, ma anche di amplificare i problemi di malnutrizione che caratterizzano i paesi meno sviluppati.2 Un peggioramento della qualità alimentare per la popolazione che vive in queste aree è già in atto, poiché a queste condizioni ancora minore è il ricorso ad alimenti di completamento della dieta (carne, frutta ecc.); peggioramento che si consuma parallelamente a un processo di diversificazione della dieta, alle volte molto intenso, che coinvolge invece il resto del mondo. Nelle aree più povere e meno sviluppate, l’aumento dei prezzi produce un’ulteriore perdita in termini di capabilities,3 acuendo la condizione di vulnerabilità di molte popolazioni e pregiudicando le possibilità di accesso ad altri beni e servizi, compresi quelli funzionali al benessere fisico dell’individuo (assistenza sanitaria, servizi igienici, acqua, istruzione ecc.).

L’esigenza di una strategia globale

La situazione che si è creata a seguito dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, in particolare quelli di base, registratosi negli ultimi due anni, sta stimolando una serie di riflessioni sulle possibili azioni da intraprendere per far fronte a uno scenario nuovo e profondamente mutato rispetto al recente passato, nel quale si sono innescate tendenze destinate a produrre effetti nel lungo periodo. Siamo di fronte ad una situazione che richiede interventi di carattere globale e complessi nella loro articolazione, perché dovranno tener conto delle molteplici differenze esistenti, in termini di sviluppo, dotazioni e risorse, tra le diverse aree del mondo. In una situazione in continua evoluzione come quella attuale, si con- frontano diverse letture della situazione e diverse sono le soluzioni proposte. Alcune di queste, pur apparendo come il frutto di analisi sempliciste e focalizzate su variabili di rilievo marginale, stanno trovando ampia diffusione e rischiano di fare breccia nell’opinione pubblica in una situazione complessa da interpretare. Visioni romantiche e senza dubbio affascinanti dell’agricoltura, che però offrono soluzioni troppo distanti dal quadro reale. È il caso delle posizioni di quanti individuano la soluzione a questo complesso problema esclusivamente nella promozione della dimensione locale e localistica dell’agricoltura, nel “piccolo è bello”, nel fascino dell’irrealizzabile autosufficienza locale, che oggi prende il nome di “chilometri zero”. Una sorta di autarchia alimentare. Non che alcune di queste aspirazioni non abbiano un significato importante, ma esse non rappresentano la panacea; la realtà globale è ben diversa e i segnali in questo senso sono inequivocabili.

La definizione del set di misure da intraprendere per fronteggiare l’attuale stato di crisi deve coinvolgere paesi sviluppati e meno sviluppati, al fine di costruire una strategia su scala globale che sappia dare risposte immediate all’emergenza e permetta, nel medio- lungo periodo, di elevare il potenziale produttivo mondiale e di garantire un efficiente funzionamento dei mercati.

Un patto internazionale per la sicurezza alimentare, insomma, inserito in una più ampia global food policy. Il terreno su cui si gioca questa sfida è arduo perché riguarda il più vasto tema dell’equilibrio tra crescita e risorse disponibili per sostenerla. Nella definizione di un approccio globale al problema occorre tener conto che quello da ricercare è un equilibrio tra l’urgenza di rispondere a una situazione che si è manifestata con straordinaria intensità e gli effetti che le decisioni assunte producono nel lungo termine.

Ma alcune risposte vanno necessariamente prodotte nell’immediato. Anzitutto per quanto concerne la situazione delle popolazioni più povere.

Occorre alimentare il programma di lotta alla fame nel mondo con fondi addizionali, quantomeno per assicurare gli impegni programmati prima del rialzo dei prezzi.4 Occorre quindi agire urgentemente per rafforzare le reti di assistenza e protezione nelle aree più vulnerabili.

Ciò dovrebbe avvenire assicurando al tempo stesso un impegno straordinario per l’attuazione di interventi a sostegno della produzione alimentare, promuovendo l’accesso agli input della produzione, a partire da fertilizzanti e sementi di buona qualità, e al credito, incrementando la disponibilità di infrastrutture e soluzioni tecniche adeguate. Necessità ineludibili al fine di aumentare la produttività dei sistemi agricoli di queste aree, i cui agricoltori non hanno beneficiato del rialzo dei prezzi proprio in ragione delle carenze strutturali che ne vincolano produttività e possibilità di rapporti con i mercati della trasformazione e della distribuzione.

Parallelamente all’incremento della scala e dell’efficacia delle politiche di assistenza, vanno intraprese altre azioni che possano avere impatto immediato sui prezzi e/o facilitare un più efficace espletamento della funzione regolatrice da parte dei mercati. Si può e si deve ragionare in tal senso sulle scelte effettuate in tema di carburanti di origine agricola, che hanno un peso significativo soprattutto nel continente americano, anche grazie a un sistema di sussidi che, in particolare negli Stati Uniti, si presenta corposo e sottrae ampie quote di superficie alla produzione a scopi alimentari. Non così in altre aree, come in Europa, dove pur a fronte di obiettivi ambiziosi in campo agroenergetico, la quota di superfici destinate alla produzione di biofuel è ancora marginale. Non vanno però persi di vista gli obiettivi di incremento dell’offerta e il ruolo che un mercato più libero ed efficiente può svolgere. Da qui derivano due grandi questioni: da un lato, la necessità di promuovere l’aumento dell’offerta mediante incrementi di produttività, dall’altro, quella di favorire una nuova generazione di politiche globali per l’agricoltura, che possa non solo promuovere un miglior funzionamento dei mercati, ma anche sostenere in maniera differenziata gli sforzi produttivi, a partire dai paesi meno sviluppati.

La cosiddetta rivoluzione verde del Sud dell’Asia è un esempio di come le rese possano raddoppiare in alcune aree anche in tempi rapidi grazie al combinato effetto di processi di modernizzazione agricola e misure interne orientate a stabilizzare i mercati e i redditi degli agricoltori.

Sul fronte degli scambi commerciali e delle opzioni interne di politica agricola risulta evidente la necessità di affrontare in prima battuta il tema dei divieti e delle restrizioni alle esportazioni agricole, che deve essere trattato a livello globale. La riduzione di queste misure, oggi funzionali a calmierare nel breve periodo i prezzi interni, e la loro armonizzazione possono contribuire significativamente a stabilizzare i prezzi, oltre che a dare avvio alla ripresa della produzione. Il ciclo dei negoziati di Doha sul commercio internazionale non ha prodotto risultati positivi in tale direzione, e in uno scenario di incertezza sono proliferati accordi commerciali di tipo regionale e bilaterale. Il numero di questi accordi è passato dagli 86 del 2000 agli oltre 150 del 2007.5

Il fallimento dei negoziati di Doha e l’attuale situazione di stallo negoziale sono imputabili a una complessa serie di fattori attinenti alle divisioni tra paesi sviluppati e paesi emergenti e in via di sviluppo. Occorre incrementare gli sforzi per trovare in sede WTO un accordo in grado di migliorare l’accesso dei paesi poveri al mercato e di ridurre le politiche commerciali distorsive. In questa direzione l’Europa ha compiuto alcuni incoraggianti passi, a partire dalla riforma di medio termine della PAC del 2003, e il documento sull’health check, varato alla fine di maggio dal Parlamento europeo, spinge verso una intensificazione del processo di riforma delle politiche che, partito agli inizi degli anni Novanta, guarda alla costruzione di un nuovo paradigma di intervento, volto soprattutto a valorizzare il ruolo sociale e ambientale dell’agricoltura.

Il recente rifinanziamento della politica agricola negli Stati Uniti (Farm Bill) sembra invece frenare rispetto a questa direzione, ampliando addirittura il ventaglio delle misure protettive a comparti produttivi prima esclusi, come quello ortofrutticolo. Le decisioni assunte dagli USA, inoltre, non incidono in misura apprezzabile sui meccanismi chiave che generano distorsioni commerciali negli scambi agricoli mondiali, confermando un approccio che sembra essere di ostacolo alla conclusione di un accordo in sede WTO. Oggi occorrerebbe, invece, uno sforzo supplementare per frenare lo sviluppo confuso di modelli di regolazione dei prezzi e dei mercati, funzionali a legittimi interessi individuali, ma che rischiano concretamente di esasperare il già precario scenario.

L’auspicio è che su questi temi si costruisca l’orizzonte di un accordo globale per una politica di sicurezza alimentare, sociale e ambientale. Il prossimo G8 di luglio approfondirà queste tematiche e in quella sede dovrà avere inizio il percorso di individuazione di soluzioni complessive e condivise che possano avviare una nuova era per la gestione della sicurezza alimentare globale.

[1] Argentina, Bangladesh, Bolivia, Cambogia, Cina, Egitto, Etiopia, India, Kazakistan, Malaysia, Pakistan, Russia, Tanzania, Vietnam e Zambia.

[2] In Bangladesh la spesa per il solo riso incide mediamente per il 30% sul totale delle spese familiari e per il 48% sul totale delle spese alimentari.

[3] Il concetto di capabilities, elaborato da Amartya K. Sen, attiene al sistema delle opportunità disponibili per la persona e promuove un approccio multidimensionale (cioè non basato esclusivamente sui livelli di reddito) alla misurazione della povertà.

[4] Tale esigenza è stata più volte esplicitata nei giorni scorsi da Josette Sheeran, alla guida del World Food Programme.

[5] United Nations Conference on Trade and Development, Trade and Development Report 2007. Regional cooperation for development, UNCTAD 2007, disponibile su www.unctad.org/en/docs/tdr2007_en.pdf.