Movimenti e partiti: l'esperienza toscana

Di Marco Filippeschi Lunedì 02 Giugno 2003 02:00 Stampa

Il tema del rapporto tra movimenti, partiti e coalizioni politiche ha segnato la fase più recente del dibattito pubblico a sinistra. I risultati elettorali positivi conseguiti dai DS e, complessivamente, dal centrosinistra in due turni elettorali amministrativi importanti forse aiuteranno a sviluppare una discussione più utile e meno viziata dalla volontà di indebolire, ai diversi livelli, la leadership della sinistra.

 

Il tema del rapporto tra movimenti, partiti e coalizioni politiche ha segnato la fase più recente del dibattito pubblico a sinistra. I risultati elettorali positivi conseguiti dai DS e, complessivamente, dal centrosinistra in due turni elettorali amministrativi importanti forse aiuteranno a sviluppare una discussione più utile e meno viziata dalla volontà di indebolire, ai diversi livelli, la leadership della sinistra. Si tratta di un tema che va affrontato con capacità d’analisi culturale e d’apertura politica proprio quando s’impongono un’accelerazione della riorganizzazione dell’Ulivo e della costruzione del profilo riformista ed europeista dei DS, e dunque l’accelerazione di un rinnovamento programmatico, organizzativo e generazionale della Quercia.

La sinistra toscana ha vissuto una stagione di nuovo impegno politico, si è messa alla prova nel confronto con i movimenti globali e ha rilanciato una propria vocazione. Da questa e da altre esperienze è bene che nascano riflessioni e nuove sperimentazioni. Le manifestazioni per la pace, fino alla giornata mondiale del 15 febbraio, l’ampiezza della partecipazione organizzata e individuale, danno il segno del possibile affermarsi di una corrente collettiva e dell’esaurirsi del lungo ciclo individualistico che aveva contrassegnato gli anni Ottanta e Novanta. I movimenti dell’ultima fase possono esprimere anche la nascita di un embrione di società civile europea proprio a partire dal grande tema della qualità della globalizzazione e del suo governo politico, da un pensiero critico e da un modello democratico e sociale comunque opposto al pensiero unico liberista, al mercato senza controlli, allo strapotere degli oligopoli finanziari e mediatici. I movimenti globali rappresenteranno un cambiamento fondamentale e una grande risorsa per il futuro se potranno maturare con una riconsiderazione positiva della sfera pubblica e saldarsi alla battaglia in corso per la costruzione politica dell’Europa, senza rifiutare la politica internazionale e le sue regole, comprese quelle per istituzioni e strumenti di difesa che garantiscano la sicurezza comune.1

Le domande che in molti si pongono riguardano la compatibilità e le relazioni tra movimenti e sinistra riformista e, ormai sempre più spesso, le differenze e le distinzioni da fare nei movimenti. A veder bene si tratta di due facce della stessa questione e cercare una risposta chiara aiuta al risolvere l’essenza del problema: l’allargamento della base del consenso, del superamento della separatezza di due blocchi elettorali opposti e inespugnabili – di cui quello della sinistra è ancora minoritario, oltre che diviso – che ha contraddistinto l’ultimo decennio italiano.2 Dunque dobbiamo rispondere a questa domanda: come mettere a frutto la nuova partecipazione politica, alimentare nuove e forti motivazioni e, insieme, rispondere in modo credibile a interessi che rispecchiano la società italiana com’è e premono sulla politica?

La stessa definizione di «movimenti» è assolutamente generica e non aiuta a valutare fenomeni che non necessariamente hanno la stessa origine e che sono determinati da spinte culturali e sociali, dal basso e dall’alto, che spesso sono contraddittorie per motivazioni e fini politici. Inoltre questa definizione tiene insieme elementi assai diversi: associazioni e sindacati dalle forme organizzative iperstrutturate e fortemente segnate dall’autoriproduzione di leadership professionalizzate e dalle funzioni parapubblicistiche (i patronati, la gestione di servizi e progetti, ecc.), con esperienze associative molecolari e, inoltre, le esperienze partecipative individuali, fortemente connotate ma episodiche e difficilmente organizzabili in forme stabili. Esiste un metodo che potremmo prendere come bussola quando immaginiamo un rapporto tra partiti, società civile organizzata e movimenti profondi, che mostrano una propria spontaneità: partire dal merito dei problemi per cercare risposte nuove alle sfide che riguardano il futuro dell’Europa e dell’Italia. Risposte nuove, perché quasi niente dei vecchi equilibri oggi è fuori discussione: ciò si vede, ad esempio, quando si discute di come contrapporre alla dottrina Bush una strategia politica globale per una governance mondiale alternativa, o quando si devono affrontare i riflessi che le grandi trasformazioni demografiche, il sottosviluppo, la mortalità per malattie, i nuovi stili di vita e le nuove possibilità di cura proietteranno sui sistemi di welfare, sulle dinamiche dell’immigrazione e sull’invecchiamento della popolazione italiana ed europea.

Di fronte a sfide di questo livello contrapporre valori di fondo, idealità e risposta politica, programmi, sarebbe l’errore più grave. Tutti sono obbligati all’umiltà e non ci sono primati da rivendicare. Né si possono opporre le passioni a una caricatura della politica, vista come insieme di fredde geometrie. Come ha scritto Adriano Sofri, la politica è invece sempre più ricca di se e di ma. La politica ha bisogno di passioni e la società civile ha bisogno di un progetto condiviso di cambiamento. I partiti, poi, non hanno un’identità definita una volta per tutte. Oggi i partiti devono e possono essere recettivi d’impulsi nuovi, anche per superare le loro fragilità – e di queste di solito è di destra approfittare – stretti come sono tra la personalizzazione politica più spinta, la disproporzione delle risorse finanziarie-comunicative necessarie a promuoverli e quelle disponibili, e insidiati dalla partitizzazione per sé della società civile organizzata, anche per l’indebolimento del loro potere di rappresentanza generale.

In questo contesto, voler ridurre le spinte provenienti dalla società civile a una versione identitaria esclusiva significherebbe minimizzare le novità e di fatto ridurle a una contesa di potere giocata in un’area ristretta, che non si misura con la costruzione di un progetto concreto di cambiamento e delle alleanze sociali necessarie per renderlo vincente. Significherebbe rinviare la preparazione di una rivincita che appare ancora difficile ma possibile.

Distinguere tra i movimenti. Organizzazioni e partecipazione individuale Per capire a che punto siamo conviene distinguere tra i «movimenti». L’ultimo rapporto del Censis propone una distinzione tra movimenti intrasistemici, movimenti antisistema e movimenti a-sistemici.3

Tra i primi colloca i girotondi, evidenziandone i caratteri interni al gioco politico quanto a contenuti (punto di riferimento per i sentimenti di reazione verso l’impronta di regime del governo Berlusconi, pressione sulle leadership dei soggetti politici), a modalità operative (personalizzazione, leaderismo di figure già famose, spettacolarizzazione mediatica) e dunque quanto a dipendenza dal sistema dei media.4 Tra i secondi mette quelli che connotano una parte del movimento no global, portatori di culture e pratiche radicalmente antagoniste e segnate da arroccamenti iperstatalisti (il sindacalismo dei Cobas), che talvolta teorizzano pericolosamente confini sfumati tra forme di lotta legali e disobbedienza-illegalità. Mentre assegna ai movimenti a-sistemici, orizzontali, segnati da pluriappartenenze, da pratiche comunitarie e d’utopia concreta (il commercio etico, la valorizzazione della dimensione locale, le reti di solidarietà internazionaliste, ad esempio) le capacità innovative relativamente più grandi e lo spazio di prospettiva maggiore e di più forte impatto politico-istituzionale. I «girotondi» sono stati assai condizionati dall’impegno speso dal circuito politico-mediatico a promuoverli. Ma chi ha vissuto da vicino la nascita di fenomeni nuovi di partecipazione, quali quello impersonato dai «professori fiorentini», non può disconoscere o dimenticare alcune ragioni di fondo delle nuove mobilitazioni, che rimarranno ben oltre il protagonismo civile o politico dei leader di questo movimento.

Conflitti d’interesse, confusione di poteri, tentazioni plebiscitarie, nuove insidie della criminalità organizzata ormai multinazionale: tutto questo preoccupa per il futuro del nostro paese e suscita apprensione ben oltre i nostri confini. Perché il caso italiano potrebbe essere la punta di un iceberg e perché si avvertono i rischi di contaminazione. Il centrodestra rappresenta e difende un intreccio patologico tra mercato e politica che può essere la premessa di una deriva populistica dai connotati nuovi. Mercato inteso qui come la forma più pervasiva e influente di potenza economica-finanziaria-mediatica. Si tratta di preoccupazioni per il futuro delle democrazie condivise, ben oltre i promotori dei girotondi, da osservatori quali Ralf Dahrendorf e Domenico Fisichella, Alessandro Pizzorno e Robert Dahl. In questo contesto, già trasparente dalla nascita di Forza Italia e appesantito dai primi atti del secondo governo Berlusconi, e di fronte allo sbandamento post-elettorale e al ripiegamento della coalizione e dei DS nelle proprie vicende interne – i DS sono stati costretti, per la scelta legittima quanto discutibile di una minoranza, in un tunnel congressuale per sei mesi – nasce la manifestazione dei professori fiorentini del 24 gennaio. È innanzi tutto la rappresentazione di un paese che dimostra di avere ancora forti anticorpi democratici – non a caso l’Italia è stata governata dall’Ulivo per i cinque anni precedenti – e di una società civile che richiama la politica ai suoi compiti e al dovere di un giudizio chiaro sui rischi di un progressivo degrado della democrazia come risultato di uno sbilanciamento dei poteri sempre più opprimente. È una manifestazione che probabilmente non si sarebbe tenuta se l’Ulivo avesse fatto la propria, già più che matura, programmata per la metà di dicembre e poi rinviata per ritardi e contrasti. Certo, con l’enfatizzazione delle debolezze mostrate dall’Ulivo nell’affrontare il conflitto d’interessi, si cercherà di volgere rapidamente un richiamo in una dichiarazione di sfiducia per i politici e verso i partiti – e verso qualcuno in particolare – con una campagna mediatica aggressiva e insistita, come si è visto. Ma non può sfuggire come la sinistra abbia pagato, oltre che l’opacità obbligata del confronto sulle ragioni e i modi delle proprie contese interne che hanno contribuito alla sua sconfitta elettorale del 2001, l’incapacità di distinguere nettamente un’analisi del fenomeno Berlusconi strategica e rigorosa, non provinciale e non mitigata, dalle necessità di condotta tattica, imposte dal buonsenso o subite per i rapporti di forza che fossero. Questa contraddizione deve essere risolta, perché l’impaccio nell’analisi generale apre grandi spazi a una radicalizzazione che alla fine è contraria al buonsenso e nociva alla causa principale: battere Berlusconi con il consenso della maggioranza, anche per allontanare i rischi per la democrazia.

In generale, le diverse forme di movimento dell’ultima fase sono state la dimostrazione che «l’integrazione e la passivizzazione relativa dei singoli nelle organizzazioni di massa è sempre meno praticabile, ciascun individuo essendo proteso verso la soggettività».5 La società di massa individualizzante caratterizza dunque anche la partecipazione politica nei movimenti, oltre che quella nei partiti politici e nelle organizzazioni sociali. Il cammino verso la centralità dell’individuo come condizione esistenziale fondamentale deriva non solo dalle maggiori conoscenze diffuse, dalla tecnologia e dalle comunicazioni. Ma anche dalla cultura e dai costumi, dalla domanda nuova di consumi individuali che caratterizza la società postmoderna.6 Lo sviluppo della soggettività individuale spesso sfugge alla capacità di risposta della massificazione dei consumi e delle grandi organizzazioni burocratiche pubbliche. La prevalente dimensione individuale rende anche la partecipazione politica più esigente, vi trasfonde grandi slanci ed egoismi individualistici o localistici, competenze assai specifiche e discontinuità all’impegno, infedeltà. Nobilitare e specializzare l’impegno politico o usare la politica secondo la logica più elementare di uno scambio fortemente personalizzato, o ascoltarla e fruirne nella versione semplificata e persuasiva offerta dalla macchina del consenso berlusconiana:7 le risposte del cittadino globale alla sua solitudine sono di segno assai diverso, con una polarizzazione accentuata che discende dall’appartenenza sociale e dai livelli di formazione e con vaste aree di condivisione delle tendenze. Lo stesso attivismo giovanile, il ritorno alla politica che si riconosce anche negli orientamenti politici dei giovanissimi virati verso sinistra dalle elezioni del 2001, pare segnato dall’individualismo crescente e dall’esigenza della sperimentazione identitaria.8

Sono queste alcune delle ragioni, solo accennate, che indicano i caratteri di fragilità dell’impegno collettivo. Dobbiamo abituarci all’idea della discontinuità dei movimenti come carattere permanente: per troppo tempo la sinistra ha vissuto e subito la mitizzazione di movimenti nati al culmine di un’epoca irripetibile e in attesa di una improbabile riproduzione degli stessi fenomeni. Perciò oggi è meno che mai utile strumentalizzare i caratteri di spontaneità e di vera profondità che via via sono emersi: da quelli di sicura prospettiva espressi dai movimenti sulla globalizzazione e per la pace, a quelli a forte impatto comunicativo, che hanno visto attiva o attenta una parte importante del ceto medio riflessivo.

Riconoscimento dell’autonomia, integrazione dei percorsi partecipativi La sinistra e l’Ulivo, con la consapevolezza dei cambiamenti di qualità e di peso della loro rappresentatività, devono saper interloquire con le forme associazionistiche della società civile, interagendo con altre nuove aggregazioni: dai comitati locali territoriali, agli organismi dei consumatori.9 Si deve offrire un mix fatto di riconoscimento dell’autonomia e d’integrazione di percorsi partecipativi che nascono diversi e possono anche rimanere distinti.

Serve una proposta politica e servono canali di comunicazione, non solo intesi come terminali istituzionali. Serve mantenere delle differenze di ruolo che non siano distanze o incomunicabilità. Per realizzare una comunicazione positiva, che rivitalizzi i soggetti politici, diventerebbe d’ostacolo confondere fino a sovrapporli i ruoli diversi e, nel merito, assumere via via le spinte più radicali o di chiusura autodifensiva, per evitare d’avere avversari a sinistra. Si correranno forti rischi se grandi sindacati, forti associazioni – i detentori degli apparati, come si sarebbe detto un tempo parlando dei partiti com’erano – o i nuovi laboratori, prenderanno parte in quanto tali, come sponsor di questa o quella leadership, quali componenti di «reti politiche strutturate» come pezzi di partiti e di coalizioni. Perché da un lato si perderà la capacità d’aggregazione sociale trasversale data dalla loro funzione autonoma (in una società che forma reti che legano, nella concertazione e spesso nel territorio, attori istituzionali, autonomie funzionali e attori sociali). Dall’altro, allontanandosi per comodità dalla realtà dei problemi, si contribuirà a ridurre la capacità di penetrazione sociale della sinistra e dell’Ulivo, già fortemente insidiata dai mutamenti sociali, come dimostra anche il caso toscano. Dunque non serve una partitizzazione dei movimenti, con la riduzione dei loro leader e dei loro apparati a ceto politico allargato. È invece necessario favorire l’afflusso verso la politica d’energie, di competenze e di idee nuove, di «cittadinanza attiva». Si deve reinvestire sui partiti, restituendo centralità alla funzione di organizzazioni che operino secondo regole democratiche – sarebbe istruttiva la comparazione tra democrazia e ricambio nei partiti e quelle operanti in molte delle componenti organizzate della società civile, perché porterebbe a una rivalutazione positiva dei partiti – riscrivendo in questo senso un patto tra istituzioni e partiti, con una più forte responsabilizzazione in esse degli eletti (a partire dai sindaci) e conferendo ruolo alle coalizioni che dimostrino d’avere soggettività politica.10

La scelta strategica riformista e l’apertura della politica. Al fondo, c’è una scelta strategica che deve essere chiara: l’opposizione più intransigente alle politiche antisociali del governo Berlusconi non deve significare rimanere incollati all’immagine dell’Italia statalista e fordista proponendo il «culto della difesa dei diritti» opposto al «cambiamento per la conquista di nuovi diritti». E a questo proposito e nella discussione sul declino economico del nostro paese sarebbe utile riscrivere, aggiornandola, quell’«Agenda per l’Italia» che propose Giorgio Ruffolo per il congresso dei DS di Torino,11 elaborandone anche versioni specifiche, regione per regione. Né sarebbe utile una lettura parziale della società, sbilanciata verso i movimenti a più forte contenuto politico, quelli, appunto, molto proiettati sui partiti e sulla coalizione e sulle loro dinamiche interne. In campo c’è di più e dunque non dobbiamo rischiare le illusioni ottiche. Per far capire cosa intendo faccio qui degli esempi, guardando a com’è fatta una regione come la Toscana: se si farà una cabina di regia aperta dell’Ulivo toscano, consolidando la sperimentazione già in corso, potremo permetterci di escludere un operaio della Piaggio? Potremo trascurare di chiamare a quel tavolo un protagonista dell’impresa, una di quelle dei nostri distretti? Potremo evitare di ascoltare un imprenditore che rappresenta il boom dello sviluppo rurale o il tessuto dei servizi turistici? Si può fare a meno di sentire la voce della cooperazione sociale, cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni? E quella degli studenti, né obbedienti né disobbedienti, quelli che hanno costruito nuove reti di partecipazione, rappresentative e propositive, per cambiare in meglio la scuola?

Serve attenzione anche alle elaborazioni che si pongono più direttamente a confronto critico con le realtà locali, quali quelle sulla democrazia partecipativa, quelle espresse dal «Cantiere del Nuovo Municipio».12 Da queste vengono stimoli a fare nuove esperienze e per nuove progettualità, per un arricchimento degli statuti regionale, provinciali e comunali, con l’istituzione di nuovi strumenti partecipativi. Ciò però non deve significare l’accettazione di giudizi semplificatori o di visioni autarchiche dello sviluppo, né bloccare le risposte di modernizzazione che la sinistra ha proposto agli elettori e ha messo in cantiere dove governa. Perché i nostri programmi perseguono un’innovazione con un chiaro segno sociale e ambientale e fanno i conti con una domanda pressante e spesso frammentata, anche individualizzata, rivolta alle politiche pubbliche. E i tempi di risposta sono tutt’uno con la qualità delle politiche e anche con la capacità di tenuta rispetto alla pressione degli interessi più forti.

Dunque un’alternativa c’è, come si è già cercato di dire: partire dai problemi, senza ideologismi né autocensure, aperti alle novità ma stando ben radicati nella realtà, secondo la nostra migliore tradizione. E per farlo si deve scegliere e sperimentare un metodo diverso e nuovo di relazioni tra soggetti politici, istituzioni rappresentative e società civile organizzata. Qui si misurerà davvero la propensione di tutti all’autodifesa e al piccolo cabotaggio da vecchio ceto politico oppure all’apertura, all’allargamento e all’articolazione della partecipazione politica.

I DS toscani hanno elaborato nuove proposte, intanto per dare regole alla coalizione e per allargare i canali di partecipazione e d’ascolto: non idee campate in aria, ma il frutto di sperimentazioni concrete fatte negli ultimi anni. L’assemblea regionale aperta degli eletti dell’Ulivo come base di legittimazione dell’organizzazione regionale della coalizione. La conferma del coordinamento aperto di Toscana Democratica-L’Ulivo, composto di una rappresentanza dei partiti della coalizione, da una rappresentanza degli eletti e da personalità significative che operano nel campo delle organizzazioni sociali, che sono espressione di esperienze personali – ad esempio nella produzione culturale, nell’impresa, nell’impegno civico, ecc. – di particolare valore e di quelle che rappresentano le forme d’auto-organizzazione dell’Ulivo nel territorio. Con una chiara specificazione del rapporto tra la funzione d’indirizzo generale del coordinamento aperto di Toscana Democratica-L’Ulivo e la responsabilità di direzione e di governo quotidiano della coalizione svolta dalla riunione dei segretari dei partiti (e dei responsabili dei diversi settori), poiché il ruolo dei partiti è e deve continuare ad essere fondamentale. L’istituzione dei comitati di collegio dell’Ulivo come strumenti di un rapporto più stretto tra eletti ed elettori e d’iniziativa nel territorio sui temi generali. La regolamentazione delle convenzioni per l’elaborazione del programma di governo di Toscana Democratica- L’Ulivo e per verifiche, generali e tematiche, almeno annuali. La proposta di patti di consultazione rivolta dalla coalizione alla società civile organizzata, ad associazioni di rappresentanza, sindacati, ecc., al fine di stabilire un canale costante di rapporto partecipativo, senza ledere l’autonomia di soggetti che non possono essere rappresentati in quanto tali nel coordinamento di Toscana Democratica- L’Ulivo. Le nuove procedure di selezione delle candidature a sindaco, presidente di provincia e della giunta regionale, con la previsione della possibilità di ricorso alle primarie. La formazione degli albi degli elettori dell’Ulivo formati dagli iscritti ai partiti che compongono la coalizione e da cittadini che possono aderire alla coalizione anche direttamente e non tramite l’iscrizione ai partiti, nonché in occasione di consultazioni su temi specifici o per la selezione delle candidature. Perché una coalizione aperta deve essere qualcosa di più, e non di meno, che la somma delle diverse forze politiche che la compongono. Mentre quando qui ci si riferisce ad adesioni si intende una forma compiuta di partecipazione e d’appartenenza politica. Il che è diverso, naturalmente, dall’appartenenza per interessi specifici, per una particolare forma di partecipazione sociale o per la fruizione di servizi, proprie dell’associazionismo sindacale e sociale. Discutiamo dunque di un salto di qualità nelle relazioni tra la politica e la società civile organizzata – i DS toscani lo faranno anche in una prossima Convenzione programmatica13 – e chi ha nuove idee le metta a confronto con quelle degli altri. Così possiamo creare uno spazio pubblico nuovo, più ricco, dove decidere in tanti sulle cose da fare per essere all’altezza di uno scenario internazionale nuovo e dell’opposizione necessaria al declino civile ed economico del nostro paese.

 

 

Bibliografia

1 Sulla prospettiva dei movimenti globali è interessante leggere P. Ceri, Movimenti globali. La protesta nel XXI secolo, Laterza, Bari 2002.

2 La tesi dell’esistenza di due elettorati ben distinti fra loro, che votano coalizioni «impermeabili», frutto anche della persistenza di cristallizzazioni antiche, riemerge con forza dalla ricerca Itanes sulle elezioni politiche del 2001. Cfr. M. Caciagli, P. Corbetta (a cura di), Le ragioni dell’elettore. Perché ha vinto il centrodestra nelle elezioni italiane del 2001, Il Mulino, Bologna 2002.

3 Cfr. Censis, 36° Rapporto sulla situazione sociale del paese, 2002, FrancoAngeli, Milano 2002, pp. 15-22. Un profilo dei partecipanti alle manifestazioni di Genova dal 16 al 21 luglio 2001 emerge dalla ricerca coordinata da Donatella Della Porta: D. Della Porta, M. Andretta, L. Mosca e H. Reiter, Genova e dopo: movimenti globali e democrazia, in Capire i movimenti globali. Mappe di movimenti. Da Porto Alegre al Forum Sociale Europeo, in «Concetti chiave», numero speciale, Asterios Editore, Trieste 2002.

4 Sull’uso delle nuove passioni politiche che emergono nella società civile e sul rapporto tra girotondi di piazza e sistema politico italiano è interessante leggere P. Pombeni, Tra nuova partecipazione e cattivi populismi, in «Il Mulino», 6, 2002, pp. 1002-1111.

5 Cfr. G. Cotturri, La cittadinanza attiva. Democrazia e riforma della politica, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma 1998, p. 67.

6 Una lettura dell’evoluzione dei consumi come comunicazione simbolica e scambio sociale che stimola molte riflessioni anche sulle evoluzioni della sfera dell’impegno politico individuale e collettivo in G. Fabris, Il nuovo consumatore: verso il postmoderno, Franco Angeli, Milano 2003.

7 Su questo versante, divenuto d’importanza primaria nell’Italia d’oggi un’analisi penetrante e assai utile alla politica in A. Amadori, Mi consenta. Metafore, messaggi e simboli. Come Silvio Berlusconi ha conquistato il consenso degli italiani, Libri Scheiwiller, Milano 2002.

8 Un’analisi sul campo del rapporto tra giovani e politica e tra attivismo giovanile e considerazione dei partiti politici, nello scenario dell’effervescente realtà politico-sociale dell’area fiorentina, in E. Caniglia, Identità, partecipazione e antagonismo nella politica giovanile, Rubettino, Soveria Mannelli 2002.

9 Un’analisi e una classificazione nuove e interessanti delle forme dei movimenti sociali in Della Porta, I partiti politici, Il Mulino, Bologna 2001, pp.175-192. Una classificazione è riproposta in F. Raniolo, La partecipazione politica, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 77-95.

10 Sui rapporti tra movimenti e partiti cfr. A. Millefiorini, La partecipazione politica in Italia, Carocci, Roma 2002, pp. 147-191.

11 Cfr. Aa. Vv., Progetto per la sinistra del duemila, Donzelli editore, Roma 2000, pp. 67-81.

12 P. Sullo (a cura di), La democrazia possibile. Il Cantiere del Nuovo Municipio e le nuove forme di partecipazione da Porto Alegre al Vecchio Continente, Carta-Edizioni Intra Moenia, Roma-Napoli 2002.

13 I materiali preparatori della Convenzione programmatica regionale dei DS toscani «LaboratorioToscana» e la documentazione sulle proposte per dare nuove regole per l’organizzazione dell’Ulivo sono disponibili in www.dstoscana.it