Flexicurity. Un nuovo equilibrio tra crescita, flessibilità e protezione sociale

Di Thorsten Braun Venerdì 01 Novembre 2002 02:00 Stampa

In danimarca si è assistito nel corso degli anni Novanta a una svolta radicale nelle politiche del lavoro che hanno registrato risultati di successo sul livello di disoccupazione del paese. Da un sistema inflessibile e fortemente regolamentato si è passati ad un sistema altamente flessibile secondo gli standard internazionali e concentrato sui diritti e i doveri dei lavoratori. Le riforme delle politiche che riguardano il mercato del lavoro attivo e passivo realizzate attraverso il cosiddetto «modello della flexicurity», sintesi di flessibilità e protezione sociale, sembrano costituire un’alternativa originale ed efficace contro la disoccupazione rispetto al più noto approccio anglosassone, dalla quale altri paesi come l’Italia possono trarre suggerimenti utili.

 

In danimarca si è assistito nel corso degli anni Novanta a una svolta radicale nelle politiche del lavoro che hanno registrato risultati di successo sul livello di disoccupazione del paese. Da un sistema inflessibile e fortemente regolamentato si è passati ad un sistema altamente flessibile secondo gli standard internazionali e concentrato sui diritti e i doveri dei lavoratori. Le riforme delle politiche che riguardano il mercato del lavoro attivo e passivo realizzate attraverso il cosiddetto «modello della flexicurity», sintesi di flessibilità e protezione sociale, sembrano costituire un’alternativa originale ed efficace contro la disoccupazione rispetto al più noto approccio anglosassone, dalla quale altri paesi come l’Italia possono trarre suggerimenti utili. Ma affinché una politica occupazionale risulti efficiente è necessaria una combinazione equilibrata di flessibilità e protezione sociale.

Gli anni Novanta sono stati contrassegnati da una significativa diminuzione della disoccupazione. Dal picco massimo del 10,1% registrato nel 1993, il tasso di disoccupazione è sceso nel 2001 intorno al 4,3%.1 Una percentuale della popolazione occupata pari a circa l’80% nel 2001 rappresentava un record fra i paesi membri dell’Unione europea, e in particolare era straordinario un tasso di occupazione femminile del 75% rispetto a dati molto inferiori, come ad esempio quello dell’Italia che nello stesso anno registrava solo il 47%.2 E tuttavia non possono essere tralasciati alcuni aspetti critici nel roseo panorama danese. Nonostante una tendenza generale indubbiamente positiva, il livello dell’occupazione dei rifugiati, degli immigrati e di coloro che devono ricollocarsi sul mercato del lavoro in età ormai non più giovane è infatti rimasto molto alto. In prospettiva macroeconomica, tuttavia, i risultati positivi ottenuti nello scorso decennio non hanno comportato riduzioni significative del potere di acquisto dei salari né aumenti del deficit sulla bilancia estera dei pagamenti mentre è aumentato il surplus sul budget pubblico. Secondo gli standard internazionali il mercato del lavoro danese si presenta caratterizzato da un alto grado di flessibilità grazie a un generoso sistema di tutele sociali e alle riforme delle politiche del mercato del lavoro attivo e passivo intraprese negli anni Novanta. Questa combinazione è stata definita da Per Kongshøj Madsen «il triangolo dorato della flexicurity» poiché il successo del modello di flexicurity danese che coniuga crescita economica stabile e Stato sociale sembra essere unico e potrebbe rivelarsi la «terza via» fra la flessibilità tipica dell’economia di mercato liberista e la rete di protezione sociale tradizionale dello Stato sociale scandinavo.

È opportuno quindi analizzare il modello della flexicurity danese e i tre principi del «triangolo dorato» che lo caratterizzano. Il grado di flessibilità del mercato del lavoro può essere misurato tramite diversi indicatori fra i quali due fondamentali sono il livello della protezione dei lavoratori e la durata media del loro incarico. Il mercato del lavoro danese è ritenuto uno dei sistemi più liberali per quanto riguarda la protezione dei lavoratori. Da una recente ricerca dell’OCSE, in cui veniva adottato come parametro di valutazione la fiscalità della legislazione sulla tutela dell’occupazione, è emerso che la Danimarca è fra i paesi dell’Unione europea con il livello più basso di garanzie per i lavoratori.3 L’Italia, la Grecia e il Portogallo sono invece fra i paesi con la legislazione in materia più dettagliata. Adottando come indicatore sintetico le caratteristiche del congedo temporaneo dal lavoro, la Danimarca ha riportato un punteggio di 2,3, attestandosi all’ottavo posto, mentre l’Italia con il 4,0 si è posizionata ventitreesima.4 Esiste certamente una relazione fra il livello della tutela del lavoro e la permanenza media nello stesso posto di lavoro. A questo riguardo, i dati forniti dalla OCSE dimostrano che la Danimarca insieme al Regno Unito e agli Stati Uniti è all’estremo più basso della scala internazionale. L’Italia e la Grecia sono invece all’estremo opposto con un livello medio molto più elevato.5

Tuttavia, come dimostra un altro studio dell’OCSE, i cittadini danesi non sembrano reagire all’alto livello di flessibilità con sentimenti di crescente insicurezza verso la precarietà e lo spettro della disoccupazione. Solo il 44% degli intervistati non ritiene di «avere un lavoro sicuro», mentre in Italia questa convinzione è molto più diffusa come dimostrano le risposte del 70% del campione, mentre il livello medio non ponderato fra i membri della OCSE è risultato essere del 67%.6 Una spiegazione per l’alto punteggio registrato dalla Danimarca è data dalle caratteristiche del sistema di indennità di disoccupazione. I disoccupati iscritti a un fondo assicurativo per la disoccupazione ricevono un sussidio, calcolato ad un tasso del 90% rispetto al precedente reddito, a partire dal primo giorno di disoccupazione per un periodo massimo di quattro anni. Per i gruppi con reddito elevato il sussidio si riduce poiché il tetto massimo dell’indennità non può superare i 19.400 euro annui. Facendo un confronto su base internazionale, in Danimarca i tassi netti di compensazione per i gruppi a basso reddito sono relativamente alti. «Il tasso di compensazione del reddito di un operaio di produzione è in media intorno al 70%. Per i gruppi a basso reddito la compensazione netta è di circa il 90% ed aumenta per i genitori single».7 Il sistema di compensazione per la disoccupazione è finanziato principalmente attraverso le tasse.

In Danimarca ha preso forma a partire dal 1993 un cambiamento rivoluzionario nel pensiero politico. La cosiddetta «linea attiva» implicava un passaggio radicale dal sostegno «passivo» alla disoccupazione a un approccio «attivo». Fra il 1989 e il 1990 il ministero per le Politiche sociali ha elaborato una nuova «strategia di lavoro» come strumento per combattere la disoccupazione fra i giovani non assicurati tra i 18 e i 19 anni. L’originale «pacchetto di sussidi alla gioventù» adottato nel 1990 introduceva l’obbligo di lavorare promosso dallo slogan do ut des. Questa misura, estesa nel 1992 ai giovani disoccupati non assicurati tra i 18 e i 25 anni, è sicuramente un esperimento da includere nelle prossime riforme delle politiche del lavoro. Nel 1993 il problema più urgente con cui il nuovo governo a guida socialdemocratica si è dovuto misurare era l’alto tasso di disoccupazione. Nel 1993 la riforma delle politiche occupazionali rivolta ai disoccupati non assicurati doveva essere caratterizzata da un esteso pacchetto di misure che avrebbero dovuto avere le seguenti caratteristiche. Primo, l’introduzione di un sistema doppio di sussidi alla disoccupazione secondo cui ad un periodo passivo durante il quale il disoccupato percepisce il sussidio segue un periodo di reinserimento. Secondo, il passaggio da un sistema rigidamente regolamentato ad uno in cui acquista importanza la valutazione dei bisogni specifici del singolo, attraverso l’introduzione di piani di azione individuali. Terzo, il decentramento dell’implementazione delle politiche in favore di consigli del mercato del lavoro regionali tripartiti. Quarto, l’abolizione del precedente accordo che collegava la formazione e il sistema di sussidi alla disoccupazione. Quinto, l’introduzione di tre «schemi di congedo» previsti nel caso di aspettativa per motivi di studio, sabbatici e di maternità.

Il punto principale della riforma riguardava un utilizzo molto più dinamico dei sussidi di disoccupazione previsti per contrastare il fenomeno della crescente emarginazione e i problemi strutturali interni al mercato del lavoro. Una delle modifiche più rilevanti introdotta nel 1993 è stata la suddivisione del sussidio in un «periodo di contatto» di quattro anni e in un «periodo attivo» di tre anni che prevede il diritto-dovere del disoccupato a partecipare a schemi di reinserimento. Ma «non è l’esistenza di un sistema di «attivazione» la novità del contesto danese. La novità è piuttosto l’obbligo imposto rispettivamente ai candidati e alle autorità di accettare ed offrire la possibilità di inserimento nel mercato del lavoro. È in questo senso che è cambiata l’interazione principale fra le politiche sociali e occupazionali…».8

L’altro aspetto specifico e molto importante del pacchetto di riforme delle politiche del lavoro è stata l’introduzione degli schemi di congedo. Secondo i tre diversi schemi di congedo retribuito adottati nel 1993 il dipendente viene pagato dallo Stato in caso di assenza temporanea dal lavoro per motivi di studio o formazione, per maternità o periodi sabbatici. Durante il congedo, i disoccupati sostituiscono temporaneamente gli assenti. La valutazione degli effetti di questa riforma ha dimostrato che gli schemi di congedo retribuito hanno avuto un enorme successo, riducendo la disoccupazione di circa il 2%. «Alla base degli schemi di congedo vi sono elementi passivi e attivi. Mentre il congedo sabbatico riduce la forza lavoro, lo schema di congedo per studio e formazione mira ad accrescere la qualificazione dei lavoratori. La riforma del mercato del lavoro adottata nel 1993 ha reso le politiche occupazionali più dinamiche e ha migliorato le opportunità esistenti sul mercato del lavoro. Quando l’economia danese ha iniziato a sperimentare una crescita sostenuta, il governo ha modificato il contenuto delle sue riforme strutturali del mercato del lavoro».9

La riforma del 1993 è stata più volte corretta fino ad arrivare alla riduzione graduale ad un anno del periodo di diritto al sussidio di disoccupazione senza obbligo di reinserimento, facendo seguire se necessario un «periodo attivo» estendibile fino a tre anni che prevede il diritto e l’obbligo di partecipare a programmi istruttivi o formativi. «La linea attiva è stata continuata e intensificata, ma la strategia che riguarda le possibilità di uscita dal mercato del lavoro si è diversificata. Sono state realizzate molte riforme destinate a ridurre il numero dei beneficiari dei sussidi di disoccupazione. Le possibilità di uscita dal mercato del lavoro si sono di conseguenza ridotte. La seconda riforma del mercato del lavoro adottata nell’autunno 1995 ha diminuito significativamente i sussidi di disoccupazione. Il periodo massimo in cui si può beneficiare del sussidio è stato limitato a cinque anni, i criteri per l’idoneità al sussidio sono diventati meno elastici ed è divenuto obbligatorio per i giovani disoccupati senza alcun titolo di studio seguire programmi formativi percependo un contributo molto minore dopo sei mesi di disoccupazione. Nell’autunno del 1998 è stata approvata una terza riforma del mercato del lavoro che ha ridotto ulteriormente il periodo massimo di diritto al sussidio di disoccupazione a quattro anni».10 La riforma del mercato del lavoro del 1993 ha rafforzato la consapevolezza che problemi sociali e inserimento nel mercato del lavoro sono due variabili strettamente collegate. Nella società danese si sta sedimentando la convinzione che l’esclusione prolungata dal mercato del lavoro è spesso la causa principale di rapporti clientelari e di emarginazione. Dopo questa riforma il trasferimento di sussidi passivi non è più ritenuto lo strumento risolutivo per l’emarginazione e l’esclusione sociale.

Non può essere affermato con certezza, tuttavia, che gli sviluppi positivi dei dati relativi alla disoccupazione siano effettivamente da attribuire alle misure adottate con la riforma Le molte valutazioni che sono state fatte dal momento dell’introduzione della riforma del 1993 ad oggi mostrano risultati diversi. Ma il giudizio generale è positivo e indica il raggiungimento di «effetti significativi in relazione alla possibilità di trovare un impiego nel periodo immediatamente precedente alla partecipazione ai programmi obbligatori di reinserimento».11 Il che lascia dedurre che la «linea attiva» abbia avuto successo e il funzionamento del mercato del lavoro danese sia migliorato. Gli effetti positivi delle politiche del mercato del lavoro sembrano dipendere dall’equilibrio fra flessibilità e protezione sociale. Il successo del modello danese della flexicurity deriva da un lungo processo storico che coinvolge i diversi partner sociali e può essere preso come fonte di ispirazione. Ma la combinazione dei tre fattori analizzati è cruciale, poiché solo dalla combinazione dei tre lati del «triangolo della flexicurity danese» può emergere un modello efficace da esportare per combattere la disoccupazione anche in altri paesi. 

 

 

Bibliografia

1 Si fa riferimento al tasso standard di disoccupazione, sulla base della definizione dell’Organizzazione mondiale del lavoro, che indica per «disoccupato» chi è alla ricerca di un’occupazione. Anche i dati relativi alla disoccupazione, misurati con il numero delle persone fra i 18 e i 66 anni beneficiarie di sussidi, sono diminuiti significativamente. Cfr, per i dati statistici OCSE (2002) e C. Green-Pedersen; A. Lindbom, P. Nannestad; Keeping the Bumblebee Flying: Economic Policy in the Welfare State of Denmark, Århus University, Århus 1999.

2 Fonte OCSE, Employement Outlook (2002).

3 OCSE (1999).

4 Ibid.

5 La durata media di un periodo lavorativo continuativo in Danimarca è in media di 8 anni, in Italia quasi di 12 anni. Fonte OCSE (1997).

6 Ibid.

7 P.K. Madsen, Security and flexibility: Friends or foes? Some observations from the case of Denmark, paper presentato alla conferenza tenuta dall’OIL a Lione il 16-18 gennaio 2002 sul futuro del lavoro e della protezione sociale.

8 J. Kvist, Activating Welfare States. Scandinavian Experiences in the 1990s, Research Programme on Comparative Welfare State Research, Working Paper 7, 2000, The Danish National Institute of Social Research, Copenhagen.

9 Madsen, cit. p.7.

10 Nannestad, Green-Pedersen, Keeping the Bumblebee Flying, op. cit. p.18.

11 Madsen, op. cit. p.9.