I diritti del lavoro. Principi e indirizzi sui nuovi diritti e le nuove tutele

Di Redazione Lunedì 01 Aprile 2002 02:00 Stampa

La diversificazione in atto fra i lavori ha da tempo messo in crisi l’impostazione tradizionale, incentrata sul rapporto di lavoro subordinato come modello egemone. I tentativi di far rientrare in questo unico modello la miriade di forme di attività espresse dall’attuale organizzazione economica – estendendo a loro, in tutto o in parte, le regole proprie del lavoro subordinato – sono risultati sempre meno convincenti e, allo stesso tempo, hanno contribuito ad alimentare i fenomeni di illegalità diffusa nel mercato del lavoro. Questa tendenza è stata via via corretta con adattamenti parziali, in particolare prevedendo rapporti di lavoro detti atipici, cioè regolati diversamente, di solito con minori tutele rispetto a quelle tradizionali, con maggiore flessibilità e con minori costi, specie previdenziali (tipico il cosiddetto lavoro parasubordinato).

 

Pubblichiamo il documento nel quale sono state inizialmente raccolte le riflessioni di un gruppo di lavoro, guidato da Giuliano Amato e Tiziano Treu, ai fini delle proposte dell’Ulivo sui nuovi diritti del lavoro

 

Principi

La diversificazione in atto fra i lavori ha da tempo messo in crisi l’impostazione tradizionale, incentrata sul rapporto di lavoro subordinato come modello egemone. I tentativi di far rientrare in questo unico modello la miriade di forme di attività espresse dall’attuale organizzazione economica – estendendo a loro, in tutto o in parte, le regole proprie del lavoro subordinato – sono risultati sempre meno convincenti e, allo stesso tempo, hanno contribuito ad alimentare i fenomeni di illegalità diffusa nel mercato del lavoro. Questa tendenza è stata via via corretta con adattamenti parziali, in particolare prevedendo rapporti di lavoro detti atipici, cioè regolati diversamente, di solito con minori tutele rispetto a quelle tradizionali, con maggiore flessibilità e con minori costi, specie previdenziali (tipico il cosiddetto lavoro parasubordinato).

Questi adattamenti sono risultati efficaci sul piano occupazionale (la rilevante riduzione del tasso di disoccupazione negli ultimi due anni è in buona parte dovuta alle nuove forme di lavoro), ma è ora urgente non lasciarli a se stessi e fare un passo ulteriore. In questo modo, infatti, si è introdotta una flessibilità di cui c’era bisogno, ma rimanendo ferma la preesistente cornice (che non includeva le forme flessibili) c’è il rischio che prendano piede tendenze destabilizzanti: sia sul piano della conformazione del rapporto di lavoro e dei diritti che in esso si devono radicare, sia perché i rapporti atipici sono affiancati da istituti di sicurezza sociale, assolutamente frammentari e incerti. Essi quindi sono soggetti ad una corrosione surrettizia e non controllata delle tutele, che punta poi anche ad altri rapporti e che può pericolosamente destrutturare il mercato.

Scopo della nostra iniziativa è dunque quello di recuperare le forme di flessibilità introdotte in questi anni ad un quadro generale di principi e di diritti, che corrisponda, senza alcun ritorno all’indietro, al nuovo mondo del lavoro. In esso l’azione collettiva non può prescindere dalla intervenuta individualizzazione del lavoro e deve quindi essere riqualificata, ma non può essere cancellata, senza che ne risultino danneggiate, oltre alle ragioni dei lavoratori, quelle della stessa efficienza. Mentre la flessibilità collegata all’individualizzazione contribuisce alla competitività complessiva dell’economia se ed in quanto possa mettere a disposizione delle imprese un lavoro meno rigido, ma anche più qualificato e permanentemente qualificato in funzione di una concorrenza interna e internazionale che si gioca sul terreno dell’innovazione e della qualità non meno che sul terreno dei costi.

La nostra proposta perciò è finalizzata: alla ridefinizione lungo una scala continua delle diversificate forme di lavoro oggi esistenti, partendo da una disciplina e da tutele di base comuni a tutti i tipi di lavoro, per procedere poi gradualmente verso normative e tutele differenziate e ulteriori; alla valorizzazione in ciascuna di queste forme del capitale umano del paese, riconoscendo un ruolo centrale alla formazione, lungo tutto l’arco della vita lavorativa; al riordinamento delle tutele facenti capo oggi agli ammortizzatori sociali in funzione delle nuove caratteristiche del mercato del lavoro; alla riqualificazione dei momenti di azione e di autonomia collettiva nell’ambito di una rinnovata cornice legislativa.

Al di sopra delle regole fondamentali che dovranno valere per tutti, la gradazione si dovrà realizzare in modo a sua volta diversificato, sia quanto alle materie, sia quanto alle fonti; cioè non solo in via legislativa ma anche attraverso il chiaro riconoscimento del valore dell’autonomia collettiva nonché, per certi aspetti e per gruppi di soggetti in grado di farlo, anche attraverso la contrattazione individuale. Essa, inoltre, dovrà essere orientata da un principio guida, che in prima approssimazione può individuarsi nel principio di proporzionalità delle regole al bisogno di tutela e di regolazione desumibile dall’art. 35 cost. c. 1 (la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme).

Nel suo insieme, la nuova disciplina dovrà riferirsi a tutte quelle forme di lavoro che in sede europea si è preso a definire «lavoro economicamente dipendente», formula più pregnante e più intelligibile del nostro «lavoro parasubordinato». Il lavoro economicamente dipendente è riconoscibile sulla base di una pluralità di indici, non tutti necessari in ciascuna fattispecie, che vanno dall’assenza di collaboratori, alla corrispondenza qualitativa al lavoro salariato, a lavorare per conto di un solo datore di lavoro, alla mancanza per i propri prodotti o servizi di un vero mercato.

 

La formazione professionale continua e le politiche attive del lavoro

Si può ormai ritenere acquisita l’idea che, per migliorare le performance occupazionali del nostro paese, non solo occorra migliorare il livello di preparazione di base dei giovani che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro, ma sia altresì necessario fare della formazione per l’intero arco della vita una risorsa, volta a consentire l’aggiornamento continuo del personale già occupato contro i rischi di obsolescenza professionale, la possibilità di riconversione e riqualificazione professionale nelle fasi di mutamento organizzativo, riorientamento e diversificazione professionale, di crescita e miglioramento continuo. Pertanto, oltre al diritto di ciascuno, alla conclusione del ciclo della scuola dell’obbligo e fino al compimento del diciottesimo anno di età, di accedere a percorsi di istruzione superiore o di formazione professionale iniziale o di apprendistato ai fini del conseguimento di un idoneo titolo di studio o certificato formativo o di una qualifica professionale, si deve garantire anche un diritto alla formazione per l’intero arco della vita mirante ad assicurare continuità alla traiettoria lavorativa dell’individuo nelle fasi di transizione, di perdita dell’impiego, di sospensione o di interruzione dell’attività lavorativa. Esso costituisce parimenti sia un investimento dell’individuo sia certamente un interesse per la collettività stessa.

Ciò comporta: il diritto di accesso gratuito alle informazioni riguardanti le offerte di lavoro e formative a livello territoriale, nazionale ed europeo, ai servizi per l’impiego generali e/o specifici nei primi sei mesi di inoccupazione e, nei dodici mesi successivi alla perdita di un impiego, il diritto di ricevere una proposta formativa, di riqualificazione o di lavoro e di usufruire di servizi per l’analisi individuale dei fabbisogni professionali e di bilanci delle competenze, al fine di valutare e di riorientare i propri percorsi professionali. In ciò va compreso: a) il diritto di accesso, anche tramite appositi assegni individuali formativi, ai finanziamenti pubblici e privati e ai benefici economici destinati a promuovere la formazione come investimento sociale; b) il diritto alla promozione di misure e modalità formative specifiche atte ad assicurare pari opportunità alle donne, soprattutto in ragione della rimozione di ostacoli attinenti al ruolo riproduttivo e al lavoro di cura; c) il diritto di scelta di percorsi formativi individuali anche attraverso l’utilizzo di congedi formativi, periodi sabbatici, orari flessibili, conti-ore, prestazioni con orario ridotto, moduli formativi in alternanza, al fine di seguire percorsi formativi liberamente scelti ovvero concordati nell’ambito di accordi aziendali o territoriali, di patti formativi locali o di iniziative assunte dai servizi locali per l’impiego; d) il diritto di veder certificati i percorsi formativi realizzati e i risultati conseguiti; e) il diritto delle rappresentanze dei lavoratori all’informazione e alla consultazione periodica a tutti i livelli, anche territoriali, per prevenire fenomeni di obsolescenza professionale e squilibri di genere nella composizione della forza lavoro.

Occorre prevedere adeguate forme di finanziamento per l’attività di formazione così come configurata: a) tramite contributi delle parti sociali, eventualmente integrati da risorse pubbliche, ad un apposito fondo, i cui prelievi dovranno essere regolati secondo procedure concordate collettivamente; b) tramite agevolazioni fiscali per spese di formazione a carattere integrativo da parte dell’impresa e dei singoli lavoratori secondo regole da definire in via regolamentare previa concertazione con le parti sociali.

 

Gli ammortizzatori sociali

In un mercato del lavoro in cui la mobilità lavorativa si caratterizza ormai come un aspetto fisiologico e non come un’evenienza eccezionale e traumatica, non si può continuare a concepire gli ammortizzatori sociali esclusivamente in funzione di eventi a carattere eccezionale. Ciò richiede che il funzionamento dei nuovi ammortizzatori sia strettamente integrato con i servizi all’impiego e con la formazione continua. Ha altresì implicazioni sul finanziamento dei nuovi ammortizzatori che dovrà essere fondato su tre direttrici: utilizzo della spesa pubblica per alimentare soprattutto gli ammortizzatori di base; rinnovata finalizzazione della contribuzione, per concorrere al finanziamento degli ammortizzatori specifici; allargamento dello spazio per forme mutualistiche basate su fondi.

Più specificamente si propone di riorganizzare le provvidenze su due livelli fondamentali, che rispondono a funzioni differenti e richiedono interventi diversi. Ammortizzatori sociali di base: a) La prima esigenza è quella di armonizzare i trattamenti, ora differenziati in forme che rasentano l’illegittimità costituzionale, per configurare un livello di trattamento comune per tutte le integrazioni al reddito in caso di perdita della precedente occupazione. Ciò comporta unificare progressivamente le attuali indennità ordinarie e speciali di disoccupazione, l’indennità di mobilità e anche la cassa integrazione speciale (mentre i prepensionamenti vanno definitivamente superati potenziando le opportunità di occupazione e di riconversione dei lavoratori anziani, anche col part time). Questi ammortizzatori di base andranno applicati a tutti i lavoratori, compresi quelli pubblici e gradualmente ai lavoratori temporanei e parasubordinati modificando i requisiti per la loro fruizione, che ora sono pensati per i lavoratori dipendenti stabili (e quindi troppo lunghi perché ne possano godere i lavoratori temporanei).

b) La seconda esigenza è di ampliare il contenuto di queste provvidenze sociali di base, affinché permettano la continuità di quel nocciolo di reddito che rappresenta la vita di ciascun lavoratore. Tenendo conto della gradualità dell’armonizzazione per i lavoratori temporanei e parasubordinati, bisognerà rafforzare da subito e preliminarmente alcune provvidenze: sia forme limitate di copertura relative alla continuità dei versamenti previdenziali, al rateo mutuo casa, alle tasse scolastiche, alla maternità ecc., sia il trattamento di disoccupazione con requisiti ridotti (quelli dei cosiddetti «settantottisti»; «cinquantunisti» nel settore agricolo). Una forma efficace di organizzazione di queste provvidenze è di ricondurle a un conto di sicurezza individuale regolamentando in modo appropriato i limiti di prelievo ai diversi fini.

c) La riorganizzazione di queste provvidenze di base impone di ripensare anche le forme del loro finanziamento. Esso dovrà esse misto: sostenuto solo in parte dalla fiscalità generale e in parte dai contributi delle categorie interessate; e differenziato a seconda del tipo di lavori. Occorre pensare a una modulazione dell’entità di contributo in capo alle imprese con riferimento alla tipologia del rapporto di lavoro del quale sono parte (si tratterebbe, cioè, di farle pagare di meno per rapporti di lavoro a tempo indeterminato e di più per rapporto di lavoro a termine). Ciò incentiverebbe le imprese a privilegiare forme più stabili di relazioni lavorative e a farle partecipare in maniera più equa ai costi del sistema: è giusto che l’impresa che produce «clienti» del sistema della disoccupazione contribuisca in misura maggiore ai costi di quest’ultimo.

Un minimo di contribuzione andrà richiesto anche ai lavoratori: perché ciò può contribuire a responsabilizzarli circa l’uso del sistema, in ordine a una mobilità sempre più fisiologica nel mercato del lavoro. L’applicazione di questi trattamenti, specie quelli di disoccupazione con requisiti ridotti, si presta ad abusi, anche per la mancanza di servizi all’impiego capaci di controllare l’effettività dello stato di disoccupazione. Il controllo per prevenire simili abusi può essere efficacemente attuato su base associativa in tutti i casi in cui forme di sostegno al reddito siano gestite dalle associazioni bilateralmente nel caso di lavoratori dipendenti o, nel caso di lavoratori autonomi o parasubordinati, da singole associazioni. Inoltre, per scoraggiare comportamenti opportunistici sarà utile ancorare la fruizione del sostegno da parte di lavoratori non associati alla costituzione da parte loro di forme associative, che possano farsi garanti del buon uso e sulle quali possa ricadere, in forma di contribuzione maggiorata, la sanzione di eventuali abusi. Ragionamenti analoghi – relativi ai pericoli di comportamenti opportunistici – dovrebbero essere compiuti per i trattamenti erogati nel campo del lavoro agricolo e di quello dell’edilizia.

 

Trattamenti in caso di sospensione temporanea del lavoro

L’obiettivo generale è di finalizzare questi istituti non solo all’obbiettivo di composizione dei conflitti, ma di una efficiente allocazione della risorsa lavoro a fronte delle riorganizzazioni aziendali, in specie nel caso di eccedenza di personale. A tal fine anche l’uso di questi ammortizzatori andrà coordinato strettamente con l’attività dei servizi all’impiego e con la formazione continua. Va sottolineato che la maggiore flessibilità di cui può godere l’impresa (in termini di tipi contrattuali, di orari ecc.) unita a una maggiore capacità del sistema di sostenere con formazione e servizi all’impiego l’occupabilità dei lavoratori, dovrebbe ridurre la drammaticità del problema delle eccedenze e delle riconversioni aziendali. La riorganizzazione, va perseguita in tre direzioni anche tenendo conto della delega approvata nel 1999: a) armonizzare le attuali forme di cassa integrazione compreso l’utilizzo dei contratti di solidarietà e superare progressivamente le discipline particolaristiche (normalmente assunte in deroga); b) estendere gli istituti di integrazione salariale a tutte le categorie escluse; c) definire in modo rigoroso la durata dell’integrazione (entro limiti massimi anche fissati entro un intervallo predefinito di tempo) e prevedere tassi di copertura decrescenti nel tempo.

Questi ammortizzatori, data la loro caratteristica, dovranno finanziarsi essenzialmente su base assicurativa, cioè con contributi dei soggetti beneficiari; e le prestazioni dovranno essere correlate, almeno entro un certo limite, all’onere contributivo. Anche qui occorre responsabilizzare le parti all’uso delle provvidenze. Si può pensare, ad esempio, a subordinare l’accesso al trattamento alla previsione dei contratti collettivi (ed alla effettiva utilizzazione) di clausole che prevedano la flessibilità dell’orario su base annuale, in modo tale da ricorrere alla risorsa solo dopo che sul piano aziendale si sia già cominciato ad assorbire le eventuali varianze negative del fabbisogno occupazionale.

Più in generale è necessario incentivare le aziende a farsi carico attivamente della sorte dei dipendenti in caso di crisi, secondo il modello del piano sociale già adottato in alcune esperienze europee. Specie ai fini dell’estensione delle integrazioni salariali a tutte le categorie ora prive, va valorizzato il modello del fondo categoriale o intercategoriale bilateralmente costruito, nonché l’utilizzo congiunto di risorse del fondo con risorse pubbliche ed esperienze interessanti come quelle della «banca ora»: un interessante modello esistente nel comparto artigiano.

Su queste aree fondamentali (formazione professionale continua e politiche attive nel lavoro; ammortizzatori sociali) la rimodulazione va definita legislativamente (e attuata nella pratica applicativa) tenendo conto anche delle nuove competenze regionali in materia di lavoro e perciò degli ambiti nei quali lo Stato può fissare soltanto principi o standard minimi.

Applicando schematicamente quanto evidenziato in precedenza e considerando la suddivisione in tre tipologie di lavoratori (autonomi; «parasubordinati»; subordinati) si può ritenere che le normative di base applicabili a tutte le forme di lavoro – comprese quelle autonome, i soci di cooperative, i lavori di pubblica utilità, nonché di volontariato e di tirocinio – comprendano un minimo comun denominatore fondato su: a)  i diritti di libertà politiche, civili e sindacali (mantenendo qui le norme fondamentali dello statuto dei lavoratori (Tit. I), con in più diritti nuovi come il diritto alla riservatezza; il principio di eguaglianza e non discriminazione, di pari opportunità; gli standard protettivi fondamentali per la tutela della salute e la sicurezza del lavoro in quanto svolte in ambienti di lavoro organizzati dal datore di lavoro o dal committente; forme di prevenzione e protezione dei rischi e di assicurazione contro gli infortuni; tutela dei rapporti di fatto; una tutela minima della continuità del rapporto (preavviso). b) Il diritto alla formazione sia nella fase di transizione dalla scuola al lavoro sia nel corso della vita attiva, compresi i congedi, in rapporto alle caratteristiche dell’attività svolta e al fine di promozione della occupabilità anche in lavori diversi. Il diritto è individuale ma esercitabile anche su basi collettive, con l’intervento di organismi bilaterali. La norma statale si limita a stabilire il principio affidando la disciplina e la gestione ai livelli regionali e subregionali. c) Il diritto di utilizzare gratuitamente i servizi all’impiego pubblici e privati e di beneficiare di incentivi all’occupazione definiti su base regionale. d) Congedi familiari, assegni per la famiglia ecc.

 

Per le attività consistenti in un’opera continua e coordinata, prevalentemente personali, senza subordinazione giuridica, dietro corrispettivo, sono previste normative ulteriori riguardanti: diritti di organizzazione e di attività sindacale (tit. II Statuto), diritto di sciopero; un compenso proporzionale alla qualità e quantità del lavoro, stabilito da accordi collettivi o con riferimento agli usi, da corrispondere in tempi certi e ragionevolmente brevi; trattamenti economici in caso di malattia, infortunio, e maternità- (da adattare ai vari tipi); tutela risarcitoria in caso di recesso senza causa; diritto di informazione secondo le normative contrattuali; diritti per apporti originali e per le invenzioni; forme di ammortizzatori volte a predisporre una rete di sicurezza per i casi prolungati di inattività (non volontaria) con finanziamento in parte pubblico in parte contributivo degli interessati (norma base integrabile con disciplina regionale). Per il finanziamento delle attività formative è previsto un contributo a carico del datore di lavoro/committente (da definire in sede regionale).

 

Per i lavoratori subordinati sono previste: la normativa civilistica su potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro; i diritti sindacali (tit. III dello Statuto dei lavoratori) e diritti di informazione; i diritti di informazione e forme partecipative secondo le direttive in tema di società europea; il diritto alla formazione continua attraverso la definizione di modalità di anticipazione dei cambiamenti e di prevenzione dei loro effetti traumatici, definizione di percorsi di carriera, investimenti formativi a carico dell’impresa e dei lavoratori, certificazione competenze acquisite e loro riconoscimento a fini di crescita professionale, piani sociali nei casi di eccedenze occupazionali; le procedure di conciliazione e di arbitrato incentivate (secondo il precedente degli accordi CISPEL, ARAN, CONFAPI); le norme sul TFR (devoluzione a previdenza complementare); le direttive in tema di politiche attive per il sostegno alla mobilità e all’occupabilità da articolare su base regionale); gli ammortizzatori sociali: disciplina di base con particolare riferimento ai lavoratori temporanei.

 

Certificazione

Obiettivo della certificazione è di stabilire procedure volontarie e incentivanti per ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro. Nei singoli casi in cui tali procedure non eliminino il contenzioso, non può che restare fermo il diritto di rivolgersi al giudice, il quale tuttavia trarrà comunque elementi utili di valutazione dalle griglie certificatorie su cui esse si basano. La procedura dovrà infatti basarsi sulla individuazione di griglie definitorie delle varie prestazioni di lavoro desunte dai precedenti giurisprudenziali, dalla contrattazione collettiva e dalla prassi; le griglie validate dal ministero del Lavoro orienteranno la attività contrattuale delle parti e la stessa attività degli organi amministrativi e ispettivi periferici. Le parti potranno volontariamente adottare tali griglie, precostituendo una sorta di certificazione del rapporto. Potranno altresì impegnarsi in caso di controversia a esperire davanti alle commissioni provinciali di conciliazione un tentativo di conciliazione e, in caso di fallimento, a sottoporre la questione ad arbitrato per la definizione della questione. Come già si è detto, nell’ipotesi in cui la procedura conciliativa e arbitrale fallisca, gli elementi indicati nella fase di certificazione e il comportamento complessivo delle parti dovranno comunque essere valutati dal giudice.