Laicità e ragionare scientifico

Di Enrico Alleva e Daniela Santucci Martedì 13 Maggio 2008 18:59 Stampa

Da qualche anno assistiamo ad una pugnace contrapposizione, poco utile tanto sul piano euristico generale quanto sul piano della strategia politica, tra pensatori laici (da qualcuno definiti laicisti, talvolta non senza qualche ragione), e un crescente numero di intellettuali, ma anche tecnici, che si contrappongono con tesi non di rado piuttosto robuste.

 

Il caso del darwinismo in Italia

Il caso recente del darwinismo in Italia ne è stato un buon esempio, sul quale vale la pena soffermarsi. Ricordiamo che la contestazione originaria, almeno quella mediaticamente più visibile, da parte di un gruppo di giovani afferenti ad Alleanza Nazionale, è nata a Milano, in occasione di un Darwin day promosso dal locale Museo civico di storia naturale. In tutto il mondo il Darwin day, celebrato il 12 febbraio, commemora la nascita di Charles Darwin: a partire dagli Stati Uniti, il paese dove il darwinismo è stato sottoposto ai maggiori attacchi, questa fatidica data è divenuta occasione di rinnovato orgoglio per tutti coloro che considerano il pensiero darwinista un vero evento conoscitivo, tale da cambiare le prospettive del mondo moderno, con propaggini floride anche nella contemporaneità.

Sia detto per inciso, inoltre, che i resti di Charles Darwin riposano nell’abbazia di Westminster, assieme, tra gli altri, a quelli di Isaac Newton, Charles Dickens, Frederick Händel e Winston Churchill, e che con questo atto l’Inghilterra, culla della più avanzata biomedicina al mondo, o almeno occidentale, ha voluto sancire il ruolo di questo paese nel contesto culturale internazionale.

Riabilitato Galileo Galilei, Papa Giovanni Paolo II scrisse in due diverse riprese parole importanti sul darwinismo, esprimendo una ferma ammirazione per le sue teorie, tenendo però presente – e su questo vale la pena oggi di riflettere – che il darwinismo non aveva, come è vero, in animo di spiega- re né lo spirito umano, (limitandosi a forma e funzione degli organi corporei, cervello e comportamenti inclusi), né tanto meno l’origine della vita sulla terra. Su questo, e non solo in Italia, si è voluto capziosamente equivocare in anni più recenti, ben sapendo, almeno da Thomas Kuhn e Karl Popper in poi, che una teoria eccessivamente “totipotente” rivela inevitabilmente le proprie debolezze intrinseche. In altre parole, immettendo dolosamente fra gli scopi del darwinismo quello di spiegare compiutamente l’origine della vita sulla Terra, nonché le caratteristiche precipue e prettamente non animali dell’animale-uomo, i detrattori di Darwin e del darwinismo hanno prodotto, con qualche successo mediatico, una caricatura della teoria darwiniana, rendendola assai più debole, e dunque attaccabile e meno attraente.

Il darwinismo, frutto di un lungo viaggio a bordo del brigantino Beagle tra il 1831 e il 1836, spiega compiutamente le forme e le funzioni dei viventi (animali e vegetali, microrganismi e virus inclusi) anche come prodotto degli inesorabili processi geologici che hanno corrugato la Terra, dove queste forme viventi si sono abbarbicate lasciando nel mondo figli fecondi in grado di colonizzarne le innumerevoli e cangianti nicchie ecologiche. Va aggiunto che il pensiero naturalisticamente laico ha avuto forma forse più coerente a partire dalla fase dell’enciclopedismo illuminista, cioè con la sistematizzazione delle osservazioni dei fatti e dei reperti naturali. Esso è però il prodotto di curiosità immediate e spontanee che originano con le succitate peculiarità della specie umana nel tentare costantemente (e dalla primissima infanzia), di fornire un ordine tassonomico alle innumerevoli osservazioni che la natura offre. Accanto all’appagamento di queste curiosità immediate (che insetto è questo? perché le rondini arrivano in primavera? perché alcuni fiori fioriscono di giorno e altri di notte?) sorge immediata la necessità cognitiva di dare un ordine alle cose del mondo. Da qui nascono i primi tentativi di classificare animali, piante e minerali, che prenderanno corpo nel corpus delle opere aristoteliche, passeranno per la logica osservazionale aldrovandiana, vedranno il “fissismo” linneiano scardinato dai primi, timidi tentativi “anti-fissisti” di Buffon e Lamarck, per culminare in quella opera, la “Zoonomia”, del nonno di Darwin, Erasmus, che tanto influenzerà il modo di pensare del nipo- te. Un sottile filo d’Arianna, che utilizzerà una logica laica per spiegare soprattutto il mondo dei viventi mediante un sistema onnicomprensivo che non semplicemente renda conto della varietà e variabilità dei viventi osservabili, ma anche della genesi delle loro forme e funzioni biologiche.

Per analizzare l’evoluzione del pensiero laico nazionale bisogna però soffermarsi sulla figura del bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), professore di “proto-farmacologia” e soprattutto di logica presso l’antico ateneo bolognese. A lui, alla sua epoca e a quella parte dell’Italia già allora pervicacemente europea, dobbiamo quella importante mutazione culturale che dal sistema di riferimento prettamente aristotelico in vigore fino ad allora in Occidente – ma non solo – inizierà il lento cammino della storia delle scienze naturali che culminerà nella rottura del fissismo linneiano (che poi così fissista non era, almeno per i suoi presupposti di scienza applicata all’economia e ai commerci). Confluirà infine nel pensiero darwiniano, che, come notato, si evolverà soprattutto negli ultimi due decenni del secolo scorso, quando al gradualismo del Darwin maturo i paleontologi statunitensi Stephen Jay Gould e Niels Eldredge contrapporranno una visione dell’evoluzione biologica per salti repentini e discontinui, intervallati da lunghe fasi di stasi durante le quali le forme viventi vegetali e animali permangono in forme poco variabili: ravvedendo in fenomeni di irregolari estinzioni di massa il motore del cambiamento biologico di forme e funzioni. Va notato che non pochi degli attacchi più sofisticati al darwinismo (che non di rado in Italia viene combattuto come residuo, quasi appendice, di un obsoleto materialismo marxista), partono proprio dal considerare queste sofisticate elaborazioni del pensiero darwinista originario: e, nonostante lo stesso Gould e, soprattutto dopo la scomparsa di quest’ultimo nel 2002, Eldredge ricordino a gran voce quanto essi si considerino darwinisti ortodossi, i loro importanti scritti vengono spesso utilizzati a riprova dell’obsolescenza degli errori dei testi darwiniani, ovvero in chiave apertamente antidarwinista. Ricordiamo solo brevemente che nel 1982, in occasione del centenario della morte di Darwin, anche in Italia il mondo dell’editoria e quello dei media celebrarono l’avvenimento, e che in un bell’articolo su “Famiglia Cristiana” questi spunti di rinnovamento del darwinismo ortodosso vennero – forse segno di tempi culturalmente migliori – con accortezza spiegati a lettori verosimilmente confessionali. In Italia lo sperimentalismo galileiano ha conosciuto sorti assai migliori del darwinismo, soprattutto nel periodo che va dalla seconda metà del pontificato di Giovanni Paolo II ad oggi, con la riabilitazione di Galileo e la piena accettazione di quel punto di vista “fisicalista” non necessariamente in pieno accordo con il darwinismo: come ebbe a scrivere più volte il migliore degli evoluzionisti italiani del secolo scorso, il genetista Giuseppe Montalenti (1904- 1990).1 Ciò per la banale ragione che è possibile riprodurre, replicandolo, l’esperimento del pendolo di Galileo, mentre riprodurre, in condizioni controllate, il fenomeno dell’estinzione dei dinosauri è semplicemente inimmaginabile: e saranno dunque prove indirette, paleontologiche, di anatomia e fisiologia comparate, di tassonomia (anche molecolare), e altre, a provvedere una spiegazione popperianamente plausibile dell’incedere evolutivo biologico.

Un retaggio di scarsa alfabetizzazione alla scienza

L’Italia è soggetta a permanente analfabetismo scientifico,2 secondo alcuni, compreso chi scrive, per retaggio indiretto del fascismo e della riforma di Giovanni Gentile della scuola italiana, quando per cultura si intesero solo le belle lettere e la critica estetica, estetizzante e storiografica, relegando a mera – sebbene utile – tecnologia tutto il resto della umana conoscenza. Non è un caso che in una delle opere simbolicamente più rilevanti del regime, il “Colosseo quadrato”, ovvero il Palazzo della civiltà del lavoro, fra le ventotto statue che raffigurano le arti e i mestieri ci sia spazio solo per medicina, chimica, fisica e matematica e non per la biologia: segno dei tempi del Ventennio, ma anche segno dei tempi che viviamo oggi e dell’attuale fuorviante riscrittura gerarchizzata della nobiltà culturale dei mestieri scientifici.

Nel 1962, l’illuminato centrosinistra di allora produsse un anticorpo storicamente irripetibile con l’istituzione della scuola media unificata, che seguiva il quinquennio elementare, e con la promozione dell’uscita dall’analfabetismo e dall’ignoranza promossa dal maestro e pedagogo Alberto Manzi. Dietro queste iniziative c’erano due menti laiche, Aldo Visalberghi e Tristano Codignola, coadiuvati dallo sforzo corale dell’intellighenzia laica di quell’importante periodo di trasformazione socio-economica e culturale. Venne introdotta, nel 1962, una materia d’insegnamento denominata “Osservazioni scientifiche”: solo allora il darwinismo divenne nei fatti programma di studio obbligatorio a livello nazionale, anche se la variegata classe docente di quei primissimi anni non sempre seppe cogliere questa occasione didattica così profondamente innovativa.

A più di quarantacinque anni di distanza si fanno ancora i conti con la limitatezza del tempo dedicato all’insegnamento della biologia evoluzionistica nelle scuole e con la sua scarsa qualità. Duole notare che a quella della scuola media unica avrebbe dovuto fare seguito una robusta riforma della scuola media superiore, cui oggi accede la grande maggioranza della popolazione scolastica pre-universitaria, e che durante il secondo governo Berlusconi il ministro Letizia Moratti abbia tentato, con una commissione di riforma dell’insegnamento che escludeva scienziati (a rinnovata impronta gentiliana) dal nucleo degli esperti, di eliminare il darwinismo dall’insegnamento pre-univerisitario. Duole anche notare quanto, ancora oggi, sia improbabile imbattersi nella scuola secondaria superiore nell’insegnamento del darwinismo strutturato in forma soddisfacente, almeno per i migliori standard europei.

In più occasioni abbiamo rilevato quanto questo analfabetismo scientifico, dovuto in larga parte alle insufficienze del sistema scolastico dell’obbligo e susseguente, sia la causa principale dei dubbi e delle incertezze sul darwinismo che ancora albergano nelle menti di tanti cittadini italiani, e come questa intrinseca debolezza del sistema formativo renda fragile e permeabile il pensiero laico di impronta naturalistica, almeno per quanto riguarda i temi dell’evoluzione biologica. Va anche chiaramente osservato come alcuni autori oggi portati a difesa del pensiero laico, in primis lo zoologo Richard Dawkins, ma anche il filosofo Daniel Dennet, siano in realtà motivo di profondo inquinamento del dibattito. E ancor più in Italia, per la frammentarietà culturale del pubblico dei lettori delle loro opere. Si tratta di autori fortemente contestati dagli evoluzionisti stessi, per la povertà delle argomentazioni ma soprattutto per il profondo riduzionismo che permea i loro scritti, rendendoli opere di scarso valore culturale.3 Ricordiamo che a Dawkins è stata negata a Oxford la cattedra in Zoologia o Biologia evoluzionistica, e che solo dopo l’intervento pecuniario di Bill Gates, che ha finanziato la sua promozione, gli è stata attribuita una cattedra di “Public understanding of science”, a sancire le sue capacità di scrittore divulgativo, non certo quelle assai carenti di biologo evoluzionista. Questi autori che alterano il dibattito italiano sono stati apertamente criticati da autori di ben altro lignaggio culturale, quali il genetista di Harvard Richard Lewontin e il neurobiologo londinese Steven Rose, autori ampiamente conosciuti e tradotti in Italia, ma purtroppo poco considerati nel nostro paese nel dibattito recente sul darwinismo.

Riduzionismo contemporaneo: un brodo ristretto

Oltre al dibattito sul darwinismo, elementi controversi del pensiero laico contemporaneo in Italia sono divenuti anche – e questo certo non ci sorprende – l’inizio e la fine della vita umana. Temi quali la complessità strutturale dell’embrione, l’inizio dell’individualità della persona umana, il diritto all’eutanasia, la necessità di un testamento biologico, sono divenuti perno di crescente ostilità, di confronto fra posizioni contrapposte, che irrobustiscono le proprie convinzioni, veraci “fabbriche di certezze” che sempre meno hanno a che fare con la verità scientifica, quella umilmente prodotta dal lavorio paziente del consesso autorevole degli esperti. Non è nostra intenzione addentrarci in questi meandri che, come per il caso del darwinismo, hanno prodotto fronti poco utilmente l’un contro l’altro armati. Quello che invece qui sottolineamo è che proprio a causa dell’accentuarsi della conflittualità su alcuni temi, se ne sono persi di vista altri altrettanto rilevanti: temi che appassionarono pensatori post-laici del calibro di Padre Agostino Gemelli.4 Nei fatti, nel fronte laico si sono notevolmente attenuate le critiche ad un perdurante riduzionismo biologico, quello che da parecchi anni ha permeato e permea non poco l’affrettata modernità nazionale nei confronti del dibattito scientifico più in generale. Quella cultura fragile si rivolge a cittadini non di rado afflitti da analfabetismo scientifico, cui si pro- pongono tematiche quali l’ineluttabilità della natura umana e degli stati patologici, anche nel caso di aspetti comportamentali delicati, prodotto di epigenetiche interazioni tra geni di partenza e il paesaggio ambientale nei quali tali geni esplicano la loro azione (soprattutto nel periodo ontogenetico che precede la piena maturità dell’individuo). Si sarebbe maschi aggressivi per natura, si stupra non a causa dell’immoralità e della illiceità dei propri comportamenti, ma per una “legge di natura” scritta nel genoma dell’individuo, che impone di diffondere i propri geni, quelli naturalmente contenuti nei prorompenti spermatozoi. Il rendimento scolastico non sarebbe scarso per effetto della depauperata cultura famigliare, o della fragilità nei supporti formativi, ma perché il “gene per la matematica” è mal funzionante o perché l’area cerebrale che sottenderebbe alle prestazioni logico- algebriche è iposviluppata in un determinato (e “naturalmente” sfortunato) scolaro.

Tutto questo è cattiva biologia, pessima fisiopatologia, ma soprattutto rivela come il pubblico italiano sia permeabile a visioni orribilmente riduzioniste del funzionamento del proprio corpo. All’analfabetismo scientifico fa da corredo una diffusione della cultura scientifica sempre più rozza e cronachistica, fatta di piccoli frammenti di verità, “verità rivelate” (dei media di massa) relegate alla cronaca di quotidiani, settimanali, e alla diffusione di lampanti falsità dei canali comunicativi radiofonici e televisivi, purtroppo anche di quelli pubblici. Come nel caso del darwinismo, la faciloneria dei facinorosi trova immediato e fertile terreno nella credulità del pubblico scientificamente poco alfabetizzato, che tenta di colmare vistose lacune appassionandosi a tematiche riduzioniste:5 quelle che promettono di spiegare in termini “accessibili al largo pubblico” perché il nipotino vada male a scuola o perché l’efferato delitto sia causato da una inesistente anomalia genetica. Il triste dibattito sulla castrazione “chimica” dei pedofili ha rivelato come anche tra i principali attori dell’agire politico siano scarse le conoscenze sugli effetti dell’ablazione o inattivazione delle ghiandole sessuali sul comportamento della specie umana, spiegato in termini biomedici come un impredicibile risultato di un atto le cui conseguenze dipendono da delicati (e assai variabili) estensioni delle popolazioni di recettori di ormoni sessuali collocati in vari comparti corporei, cervello incluso.

Un abito critico scientifico per tutti, per scelte laicamente democratiche

Per concludere, l’alfabetizzazione scientifica degli italiani, se vorrà significare una costante crescita democratica, lo sarà solo se permetterà al cittadino, anche se socio-economicamente svantaggiato, di operare scelte laiche e scientificamente appropriate in base ad un’analisi, anche sommaria, dei dati scientifici a disposizione. Il cittadino dovrà laicamente selezionare gli esperti, comprendendo il significato delle istituzioni e delle relative afferenze, distinguendo un giornalista o un divulgatore professionista e ricercatore affermato da un docente universitario di alta fama internazionale. Pensiamo ai costi, anche emotivi, dell’attuale dibattito sulla TAV, scarsissimo in quanto a offerta di dati certi sui quali far riflettere il pubblico direttamente o indirettamente coinvolto. E alla soppressione, quasi fisica, del parere degli esperti riconosciuti.

Come sostiene Aldo Visalberghi, la divulgazione scientifica dovrebbe portare al volgo un livello di informazione logica tale da provvedere il cittadino di un adeguato abito critico: quello che gli permette di decifrare la realtà e di operare scelte coscienti basate non su fedi o su credi ma su una osservazione scientifica dei fatti che ne renda compiuta la scelta democratica.

Antonio Ruberti istituì nel 1991 una Settimana nazionale della scienza, che da allora si svolge ogni anno, in primavera. A essa hanno aderito nel tempo un numero crescente di scuole e di istituzioni, come testimonia l’apertura di musei e laboratori anche di elevatissimo lignaggio scientifico a studenti, docenti, genitori e pubblico della terza età. È un lascito rubertiano alla laicità del paese che è augurabile prosegua nel tempo, per una compiutezza delle scelte del cittadino e per i suoi riflessi sulla democrazia della partecipazione.

Di recente, una nuova commissione, brillantemente condotta da Luigi Berlinguer, ha fatto il punto dello stato dell’arte nel paese. Due leggi, la 113 nel 1991 e la 6 del 2000, sostengono economicamente questo sforzo laico a favore di una scienza italiana per tutti. È davvero augurabile che questo sforzo bipartisan si rafforzi, in questo Terzo millennio così denso di incognite globali e di oscurantismi prossimi e venturi.

 

[1] G. Montalenti, L’evoluzione, Einaudi, Torino 1982.

[2] E. Alleva, D. Santucci, Preparare al merito. La diffusione della cultura scientifica e tecnologica, in G. Tognon (a cura di), Una dote per il merito. Idee per la ricerca e l’università italiane, Il Mulino, Bologna 2006, pp. 269-85.

[3] S. J. Gould, Intelligenza e pregiudizio: le pretese scientifiche del razzismo, Editori Riuniti, Roma 1981; R. Lewontin, Biologia come ideologia: la dottrina del DNA, Bollati Boringhieri, Torino 1993; S. Rose, R. Lewontin, J. Kamin, Il gene e la sua mente: biologia, ideologia e natura umana, EST Mondadori, Milano 1983.

[4] G. Cosmacini, Gemelli. Il Machiavelli di Dio, Rizzoli, Milano 1985; C. Lesegretain, Attenti al cane (e ad altri animali), in “Avvenire”, 19 marzo 2008, p. 33.

[5] E. Alleva, La teoria dei tre cervelli dell’uomo, in “Sapere”, agosto-settembre 1981, pp. 57-62; E. Alleva, D. Santucci, Dal pesce al filosofo, in “Micromega”, 4/2005, pp. 28-40.