Per il rilancio dell'industria serve un'azione coordinata

Di Antonio Andreoni Martedì 02 Settembre 2014 16:04 Stampa

Di fronte ad alcune significative trasformazioni dell’industria – come la delocalizzazione delle attività manifatturiere in paesi emergenti e la conseguente perdita di importanti patrimoni di competenze produttive –, alla crescente competizione di Stati come la Cina e alla necessità di uscire da una lunga fase di recessione, alcune economie avanzate hanno avviato politiche industriali volte a ristrutturare e rimettere in moto il sistema produttivo nazionale e ad agganciare le nuove traiettorie tecnologiche. Nonostante la loro eterogeneità, tali politiche presentano alcuni assi di intervento comuni, come la creazione di nuovi istituti di ricerca e tecnologia, l’incremento dell’efficienza e sostenibilità dei processi produttivi, la formazione di ingegneri e tecnici specializzati e l’aumento degli investimenti, ma esse richiedono soprattutto un’azione sinergica fra gli attori coinvolti e la definizione di una chiara visione politica.

Tra le economie avanzate la crisi finanziaria e la conseguente contrazione dell’economia reale hanno posto al centro dell’attenzione i problemi della crescita e della disoccupazione, oltre ad aver accelerato le radicali trasformazioni del sistema industriale in atto a livello globale. Nel corso degli ultimi due decenni un numero crescente di economie emergenti, in primis la Cina, ha acquisito importanti quote di produzione industriale e del commercio manifatturiero globale. Se in una prima fase la delocalizzazione delle attività manifatturiere in tali paesi è stata percepita nelle economie avanzate come un normale processo di cambiamento strutturale – una sorta di nuova divisione del lavoro a livello globale –, durante gli ultimi anni ci si è iniziati a interrogare circa i reali effetti di tali trasformazioni sui sistemi produttivi nazionali.

Tre sono le trasformazioni più significative che hanno poi spinto alla crescente adozione di politiche industriali nelle economie avanzate. In primo luogo, allo spostamento nei paesi emergenti di linee produttive da parte di colossi industriali, come la DuPont o la IBM, spesso è seguito uno spostamento di attività di ricerca e manifatturiere ad alto valore aggiunto. Mentre le economie emergenti accrescevano le loro competenze manifatturiere e tecnologiche e beneficiavano di significative economie di scala, i paesi avanzati perdevano importanti patrimoni di competenze produttive accumulatisi nel corso dei decenni. Negli ultimi anni proprio la perdita di tali competenze produttive ha, inoltre, generato nelle economie avanzate processi di lock-in tecnologico, ha ridotto la capacità dei sistemi industriali di tradurre i risultati della ricerca scientifica in nuovi prodotti e di adottare nuovi processi e tecnologie produttive. La forte pressione competitiva impressa da paesi come la Cina, in particolare su settori manifatturieri più tradizionali, ha infine accelerato processi di polarizzazione industriale a livello nazionale, come nel caso dell’Italia, e a livello di macroregioni, come nel caso dell’Unione europea. I processi di delocalizzazione e concentrazione delle industrie manifatturiere, infatti, si sono verificati anche tra i paesi avanzati e tra le regioni dei sistemi industriali nazionali, acuendo quindi le differenze di competitività tra i diversi sistemi.

Di fronte a tali trasformazioni, alla necessità di uscire da una fase di recessione profonda dell’economia reale e dare risposta alle tensioni emergenti, nelle principali economie avanzate si è ricorso in modo crescente a politiche industriali, in particolare politiche tecnologiche e manifatturiere. Tali interventi sono stati finalizzati a rimettere in moto la macchina produttiva nazionale, fortemente condizionata dal crollo della domanda interna e dalla stretta finanziaria, nonché a ristrutturare interi comparti settoriali e filiere produttive. I governi nazionali e sovranazionali, come l’Europa e gli Stati Uniti, hanno inoltre cercato attraverso tali politiche di agganciare le nuove “traiettorie tecnologiche” caratterizzanti i sistemi manifatturieri moderni, dalla adozione di nuovi materiali al ricorso a nuove piattaforme produttive e tecnologiche, da una forte innovazione e automazione dei processi a una spinta ibridazione dell’economia dei manufatti e dei servizi. I prodotti sono, infatti, divenuti sistemi complessi e multifunzionali, grazie al crescente numero di servizi che essi riescono a veicolare.

In alcune economie avanzate, come ad esempio gli Stati Uniti, la Germania e il Giappone, le politiche industriali si sono innestate su di un impianto preesistente e si sono in gran parte sostanziate in maggiori risorse a supporto delle stesse politiche. Molti di questi paesi, infatti, negli anni precedenti la crisi avevano promosso diverse politiche industriali, sebbene declinate nella forma di politiche tecnologiche e dell’innovazione, di politiche commerciali e di regolazione del mercato. Alcuni di questi paesi hanno, tuttavia, affiancato a un incremento della spesa per programmi già in essere una serie di misure innovative di politica industriale. Persino paesi come il Regno Unito, caratterizzati da un forte sbilanciamento a favore del settore finanziario e dei servizi, hanno avviato nuovi programmi di politica settoriale e tecnologica volti alla ricostruzione della base industriale.

Le nuove politiche industriali adottate nei paesi avanzati presentano un forte grado di eterogeneità, sia in relazione ai pacchetti di intervento che alle modalità di implementazione e coordinamento delle stesse misure su diversi livelli – macroeconomico, intersettoriale e settoriale. Tali differenze riflettono in larga parte il fatto che i paesi avanzati presentano strutture industriali diverse, oltre a esser dotati di infrastrutture istituzionali e di governo che rendono più o meno possibili (ed efficaci) certe misure rispetto ad altre. Paesi come gli Stati Uniti e il Regno Unito, le cui strutture manifatturiere erano state maggiormente colpite da processi di deindustrializzazione, hanno messo in atto una serie di misure volte al ribilanciamento dell’economia, in particolare a supporto di una rinascita industriale. Negli Stati Uniti il pacchetto di stimoli del 2009 (American Recovery and Reinvestment Act) e le successive misure hanno incluso salvataggi di compagnie come la General Motors ma anche politiche energetiche e di promozione della sostenibilità industriale, così come crediti di imposta e agevolazioni fiscali legate a investimenti in impianti manifatturieri e forme di rimpatrio delle linee produttive. Paesi come la Germania e il Giappone invece, proprio grazie alle forti competenze manifatturiere interne, hanno potuto concentrarsi maggiormente su un numero di sfide future e indirizzare il sistema industriale nazionale verso nuove opportunità di mercato. Ad esempio, nel caso della Germania si è investito su tecnologie quali i materiali avanzati, i microsistemi, le tecnologie produttive, le biotecnologie e le nanotecnologie necessarie a dare risposta alle sfide future di mobilità, sicurezza, salute, comunicazione e sostenibilità. Nel caso del Giappone si sono invece incentivate le medie e piccole imprese dotate di sofisticate competenze meccatroniche e specializzate nella produzione di componenti complessi a cogliere maggiori opportunità nel mercato globale, al di fuori dei keiretsu. Quest’ultima è una forma di organizzazione industriale centrata su grandi imprese operanti come “integratori di sistema” e una miriade di imprese specializzate.

Per quanto riguarda l’implementazione e il governo delle politiche industriali, paesi con una complessa articolazione istituzionale come la Germania e gli Stati Uniti hanno adottato una combinazione di politiche settoriali a livello statale e di iniziative mission-driven a livello federale, come la Materials Genome Initiative e la National Robotics Initiative negli Stati Uniti o la Excellence Initiative e la High-Tech Strategy in Germania. Tale approccio, in particolare nel caso degli Stati Uniti, non è affatto nuovo. In realtà, l’intero sistema della ricerca e innovazione industriale è stato creato a partire dal dopoguerra grazie alle iniziative mission-driven promosse dal Dipartimento della Difesa e in particolare da agenzie come la DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) o dai National Institutes of Health. Nel Regno Unito, invece, si è sostanzialmente adottato un approccio centralista fortemente imperniato su di una strategia industriale per blocchi settoriali, in primis l’industria aerospaziale, il farmaceutico e il settore automobilistico. Nel caso del Giappone le politiche industriali a livello nazionale si sono, invece, concentrate su cinque linee strategiche intersettoriali, tra le quali lo sviluppo delle industrie legate alle infrastrutture e alle risorse energetiche e naturali, di quelle legate alla salute, quale il medicale, e infine di quelle all’avanguardia, quali la robotica e l’aerospazio.

Nonostante tale varietà, è possibile individuare una serie di assi di intervento comuni su cui le nuove politiche industriali si stanno incardinando, almeno per quanto riguarda un sottogruppo di economie avanzate, tra cui Germania, Stati Uniti, Giappone e Regno Unito. Prima della crisi finanziaria le politiche a supporto dell’industria erano fortemente sbilanciate sui temi della ricerca e dell’innovazione, a scapito della produzione e della ricerca applicata alla manifattura. Tale approccio si basava sul mito di una economia della conoscenza e dei servizi disgiunta dalla economia della produzione e dell’industria. Tra le principali economie avanzate, nonché in modo crescente a livello della Unione europea, tale mito ha dovuto fare i conti con una realtà profondamente diversa. I sistemi manifatturieri moderni sono sistemi intelligenti, complessi e ad altissimo contenuto tecnologico, nonché luoghi imprescindibili di innovazione, ricerca e creazione di valore. I servizi alla produzione, quali le attività di consulenza industriale, design e ricerca di prodotto, vivono in un rapporto simbiotico con tali sistemi manifatturieri. Le nuove strategie industriali, come ad esempio la Industry 4.0 promossa dal governo tedesco o la National Manufacturing Strategy degli Stati Uniti e i relativi rapporti tecnici del PCAST (President’s Council of Advisors on Science and Technology), riconoscendo la mutata realtà della industria moderna hanno posto al centro della loro azione politica il supporto all’R&D manifatturiero, alle tecnologie produttive e alle “tecnologie abilitanti”, ossia a quelle competenze tecnologiche che sostengono lo sviluppo di processi e prodotti in diversi settori manifatturieri avanzati. Tale supporto si è tradotto nella creazione di nuove organizzazioni di ricerca, tecnologia e innovazione industriale, quali i Catapult Centres nel Regno Unito o i National Additive Manufacturing Innovation Institutes negli Stati Uniti sul modello della rete di istituti tedeschi Fraunhofer. La Germania ha incrementato gli investimenti in tali centri, come pure il supporto della German Federation of Industrial Research Association (AiF), mentre il Giappone ha promosso, accanto ai Kosetsushi Centres, nuovi centri di ricerca con tecnologie all’avanguardia.

A tali istituzioni se ne sono poi affiancate altre volte ad accrescere efficienza e sostenibilità dei processi produttivi e a ottenere standard e certificazioni internazionali, in particolare nelle piccole e medie imprese, nonché misure sistemiche finalizzate alla ristrutturazione delle filiere industriali. Ad esempio, negli Stati Uniti è stata promossa la Manufacturing Extension Partnership, mentre nel Regno Unito il Manufacturing Advisory Service. Ad alcune di tali istituzioni, per esempio i Fraunhofer, si sono inoltre demandate importanti funzioni di formazione e aggiornamento di ingegneri e personale tecnico.

La formazione di ingegneri e tecnici specializzati è sicuramente un altro degli assi di intervento tra le principali economie avanzate, come testimoniato dalla STEM Initiative o dai nuovi programmi di apprendistato rispettivamente negli Stati Uniti e nel Regno Unito. In paesi come la Germania, invece, si è rafforzato un modello sinergico pubblico-privato secondo il quale le imprese svolgono attività di formazione interna, in parte finanziata dal governo federale, mentre le istituzioni locali affiancano tali programmi privati con la creazione di scuole tecniche e sistemi di certificazione delle competenze gestiti dalle Camere di commercio. Il supporto dei sistemi industriali regionali e nazionali non si realizza, tuttavia, solo in termini di politiche tecnologiche e della formazione tecnica. Il problema dell’accesso al capitale industriale, in particolare per le piccole e medie imprese, ha spinto diversi governi a un incremento degli investimenti attraverso banche pubbliche di sviluppo, come la Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW) tedesca, la Japan Finance Corporation e la nuova Business Development Bank inglese ovvero programmi quali lo SBIR (Small Business Innovation Research) negli Stati Uniti o lo ZIM (Central Innovation Programme) in Germania. Alcuni di questi, ad esempio lo SBIR, hanno ibridato linee di credito a programmi di sussidio o di smart procurement, ossia forme selettive e condizionali di appalto pubblico. La combinazione di tali strumenti è stata finalizzata a ridurre i costi e il rischio che imprese dinamiche di piccole e medie dimensioni si trovano ad affrontare nello sviluppo di nuove tecnologie e prodotti. Sono state persino sviluppate metriche ad hoc, quali i TRL (Technology Readiness Levels), volte a rendere gli interventi finanziari di supporto più mirati ed efficaci. Talvolta, infine, l’accesso al credito è stato facilitato in modo selettivo per le sole piccole e medie imprese orientate alle esportazioni. Ne sono un esempio la Export-Import Bank e la National Export Initiative negli Stati Uniti, così come diversi schemi di supporto adottati in Giappone.

Al di là delle risorse finanziarie, le nuove politiche industriali si sono concentrate, inoltre, in modo crescente sulle energie e risorse naturali scarse, nonché sullo sviluppo di tutte quelle infrastrutture che sono necessarie a un loro efficiente utilizzo, come le “reti intelligenti”. Molte delle iniziative, quali ad esempio quella tedesca e statunitense di “Un milione di veicoli elettrici” o la UK Low Carbon Industrial Strategy si sono concentrate sul settore automobilistico. Altre, come ad esempio la Clean Energy Initiative o i programmi dell’ARPA-E (Advanced Research Projects Agency-Energy) negli Stati Uniti oppure la CO2-Neutral, Energy Efficient and Climate-Adapted Cities, hanno invece operato a livello più sistemico. Come è stato sottolineato nel recente foresight study sul futuro della manifattura promosso dal governo inglese, la sostenibilità si raggiunge solo attraverso un ripensamento radicale dei sistemi industriali e dei processi lungo l’intera filiera manifatturiera, non semplicemente attraverso un efficientamento dei prodotti. Mentre la Germania sembra avere acquisito a tale riguardo un vantaggio competitivo tra le economie avanzate, gli Stati Uniti hanno potuto contare su una riduzione dei costi energetici grazie alle attività di fratturazione idraulica ed estrazione del gas in diversi Stati della federazione.

A fianco delle misure più tradizionali, come le politiche settoriali, molte delle nuove politiche industriali presentano un forte carattere intersettoriale. Sono cioè iniziative selettive volte a migliorare (talvolta a trasformare) le competenze e risorse necessarie alla competitività dell’intero sistema manifatturiero. L’efficacia di tali interventi e programmi dipende, tuttavia, non solo dal modo in cui ciascuno viene disegnato e implementato. I paesi in grado di coordinare e allineare nel tempo le diverse linee di politica industriale, all’interno di un quadro macroeconomico favorevole, sono quelli che tendono a raggiungere risultati migliori. Tuttavia, per coordinare politiche tecnologiche e settoriali, politiche di ristrutturazione industriale e finanziaria, in altre parole implementare un programma organico di politiche industriali, sono necessarie una visione politica e delle istituzioni regionali e nazionali all’altezza della sfida. Le esperienze nelle principali economie avanzate sono a tal riguardo una occasione di apprendimento e ripensamento delle politiche industriali in Italia, soprattutto per i governi regionali e nazionali rispetto alla loro azione politica corrente.1


[1] Per un ulteriore approfondimento si vedano: H.-J. Chang, A. Andreoni, M. L. Kuan, International Industrial Policy Experiences and the Lessons for the UK, in The Future of Manufacturing, UK Government Office of Science, Londra 2013; E. O’Sullivan, A.
Andreoni, G. López-Gómez, M. Gregory, What is New in the New Industrial Policy? A Manufacturing System Perspective, in “Oxford Review of Economic Policy”, 2/2013, pp. 432-62; A. Andreoni, Varieties of Industrial Policy: Models, Packages and Transformation
Cycles, in Industrial Policy and Transformation, IPD/JICA Task Force, Columbia University, in via di pubblicazione.