La lotta della UE alla tratta dei migranti

Di Sandro Menichelli Lunedì 20 Gennaio 2014 10:44 Stampa

Sebbene la problematica del traffico di esseri umani e della sua organizzazione e gestione da parte di gruppi di criminalità organizzata sia già stata cristallizzata sul piano della cooperazione internazionale multilaterale da più di un decennio, solo negli ultimi anni l’Europa si è dotata degli strumenti normativi necessari ad affrontare un fenomeno che ha assunto, via via, dimensioni enormi e un carattere pressoché strutturale. Sul piano concreto, però, in cosa si è tradotto l’enorme potenziale normativo sovranazionale messo in campo?

Le immagini delle bare allineate a Lampedusa, i racconti drammatici dei sopravvissuti prima a un viaggio interminabile e poi all’ennesimo naufragio, le storie che testimoniano il coraggio di intere comunità chiamate a convivere, per il solo fatto di abitare il lembo meridionale dell’Europa, con la disperazione di bambini, donne e uomini a cui prima i trafficanti di esseri umani, veri schiavisti del Terzo millennio, e poi il mare hanno portato via tutto, hanno fatto il giro del mondo, toccando finalmente, sembra, le coscienze dell’Occidente e della sua opinione pubblica.

In seguito a quell’ennesima tragedia, i cui risvolti sono stati toccati con mano a Lampedusa anche dal presidente della Commissione europea Barroso e dal commissario agli Affari interni Malmström, il governo italiano ha ricordato con forza sia in seno al Consiglio europeo, che è composto dai capi di Stato e di governo, sia in sede di Consiglio Giustizia e affari interni, dove siedono i ministri dell’Interno e della Giustizia dei ventotto paesi dell’Unione europea, soprattutto due aspetti. In primo luogo, che ormai il fenomeno dei flussi migratori verso l’Europa e della loro gestione da parte della criminalità organizzata non ha più carattere emergenziale, rivestendo invece natura del tutto strutturale, e che con esso ci si dovrà quindi necessariamente confrontare negli anni a venire. In secondo luogo, che i territori e le popolazioni coinvolti in questi eventi tragici sono europei nello stesso modo in cui lo sono quelli svedesi, tedeschi o nordeuropei in genere, e che quindi il peso complessivo degli stessi deve essere ripartito tra tutti gli Stati che compongono l’Unione, così come sancito dal principio di solidarietà di cui all’articolo 80 del TFUE, per il quale le politiche dell’Unione relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. Ne discende che il principio del burden sharing dovrà trovare attuazione concreta non solo in termini economici ma anche e soprattutto in termini funzionali e operativi.

Atteso il pieno vigore del principio di libera circolazione delle persone all’interno del territorio dell’Unione tra gli Stati membri che hanno aderito al sistema Schengen, con la conseguente abolizione dei controlli alle frontiere interne, non si comprende infatti la ragione per cui il connesso e parallelo rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne della UE quale misura compensatoria della citata abolizione debba tradursi in un impiego massiccio di uomini e mezzi a totale ed esclusivo carico del bilancio nazionale. Le operazioni di controllo delle frontiere in genere e di quelle marittime in particolare, molto costose in termini di risorse umane e materiali quotidianamente impiegate, vengono infatti svolte non solo a beneficio del nostro paese, per lo più considerato dai migranti come il più vicino punto di approdo e di transito in Europa, quanto soprattutto a favore proprio degli Stati membri del Nord Europa, che per le loro condizioni sociali e opportunità economiche costituiscono la reale meta del viaggio di queste persone.1

La drammaticità della situazione, tuttavia, non è di oggi, poiché già dalla fine dello scorso secolo era talmente evidente che fu posta al centro della riflessione mondiale, come volano di ben definite, future iniziative legislative nazionali, attraverso uno specifico strumento normativo come il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico dei migranti via terra, via mare e via aria.2 Infatti, fin dal Preambolo di quel testo, si possono cogliere le direttrici della riflessione su cui ancora ruota il dibattito odierno, e in particolare la consapevolezza del «significativo aumento delle attività dei gruppi criminali organizzati nel traffico dei migranti», la necessità di un approccio globale che includa la cooperazione tra gli attori di settore, l’indispensabilità di affrontare le cause che sono alla base della migrazione, la necessità di fornire ai migranti un trattamento umano e una piena tutela dei loro diritti, evitando di metterne in pericolo la vita e l’incolumità.

Sulla base di questa premessa, lo scopo di prevenire e combattere il traffico dei migranti e di promuovere la cooperazione tra gli Stati passa, da un lato, attraverso l’individuazione di misure da assumere, in particolare contro il traffico dei migranti via mare e dall’altro dalla configurazione di nuove fattispecie penali a livello universale, dalle quali è tuttavia espressamente esclusa la responsabilità dei migranti, che non possono quindi essere assoggettati all’azione penale avviata sulla base del Protocollo per il solo fatto di essere stati oggetto delle condotte incriminate.

Del pari, è interessante notare, sotto un altro aspetto, come fin dal 2000 veniva individuata la necessità sia di rafforzare, nel rispetto del principio della libertà di circolazione, i controlli alle frontiere, sia di alimentare un adeguato e costante flusso informativo, specialmente tra gli Stati «situati in corrispondenza di itinerari lungo i quali avviene il traffico di migranti». In quest’ottica rileva l’obbligo di scambiarsi informazioni pertinenti su: a) i punti di imbarco e di destinazione, nonché gli itinerari, i trasportatori e i mezzi di trasporto che si sa essere utilizzati o sospettati di essere utilizzati da gruppi criminali organizzati dediti ai citati reati; b) l’identità e i metodi di organizzazioni o gruppi criminali organizzati noti per essere dediti o sospettati di essere dediti alle condotte criminalizzate dal Protocollo; c) l’autenticità e le caratteristiche esatte dei documenti di viaggio rilasciati da uno Stato parte, nonché il furto o il connesso uso improprio di documenti di viaggio o di identità in bianco; d) i mezzi e i metodi di occultamento e di trasporto delle persone, la modifica, riproduzione o acquisizione illecite o qualsiasi altro uso improprio dei documenti di viaggio o di identità utilizzati nelle condotte criminali in esame e i mezzi per individuarli; e) le esperienze, le prassi e le misure di carattere legislativo per prevenire e contrastare questi reati; f ) le informazioni di carattere tecnologico e scientifico utili alle autorità di contrasto, in modo tale da rafforzare la reciproca capacità di prevenire e individuare gli stessi reati, nonché di condurre indagini e perseguire coloro che vi sono implicati.

Di certo, è impressionante notare come tutta la problematica del traffico di esseri umani e della sua organizzazione e gestione da parte di gruppi di criminalità organizzata, così come le possibili soluzioni, comunque frutto di un compromesso politico in esito a serrate sessioni negoziali in sede ONU, sia già stata cristallizzata sul piano della cooperazione internazionale multilaterale da più di un decennio.

E l’Europa cosa ha fatto in questo settore per contrastare i traffici di esseri umani gestiti dalle organizzazioni criminali che a questo fine hanno utilizzato e utilizzano in primo luogo le frontiere tra la Turchia e gli Stati dell’Europa sudorientale ovvero le rotte del Mediterraneo occidentale, orientale e, soprattutto, centrale, per lo più in partenza dalla Libia verso le coste meridionali dell’Europa? Come si è attrezzata per fronteggiare i flussi migratori conseguenti alle Primavere arabe o all’attuale crisi siriana?

Invero, va detto che negli ultimi anni anche l’Unione europea ha compiuto passi importanti nella direzione di una nuova consapevolezza delle dimensioni e della drammaticità di questo fenomeno, prevedendo una diversificata serie di strumenti normativi, alcuni dei quali, fissati con regolamenti e direttive, hanno, sia pure in modo diverso, attesa la diversa natura giuridica degli stessi, un’efficacia giuridica diretta negli ordinamenti nazionali dei ventotto Stati membri e con ciò cercando di rispondere al vecchio refrain secondo cui, nella più generosa delle interpretazioni, «l’Europa è lontana e sorda alle esigenze dei suoi cittadini».

Questo è stato reso possibile dal Trattato di Lisbona che, da un lato, stabilisce che l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone, insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima, dall’altro, le riconosce in questo ambito di cooperazione una competenza concorrente con gli Stati membri, conseguentemente attribuendo al Consiglio dei ministri e al Parlamento europeo il potere di esercitare congiuntamente la funzione legislativa in questo settore.

Naturalmente, perché si possa legiferare a livello dell’UE, è necessario che sia rispettato, oltre al principio di proporzionalità, quello di sussidiarietà, per il quale, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l’Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri né a livello centrale né a livello regionale e locale ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Di certo, la tratta degli esseri umani e la sua gestione da parte della criminalità organizzata transnazionale rientrano pienamente in questi parametri.3

Ne conseguono due profili. Da un lato, ai sensi dell’articolo 77 del TFUE, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano le misure riguardanti: a) la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne; c) le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell’Unione per un breve periodo; d) qualsiasi misura necessaria per l’istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne. Dall’altro, secondo l’articolo 79, l’Unione sviluppa una politica comune dell’immigrazione intesa ad assicurare, in ogni fase, la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. A questo fine, il Parlamento europeo e il Consiglio adottano le misure ritenute necessarie nei settori dell’immigrazione clandestina e del soggiorno irregolare, compresi l’allontanamento e il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare e la lotta contro la tratta degli esseri umani, in particolare donne e minori.

In cosa si è tradotto, sul piano concreto, questo potenziale normativo sovranazionale ai fini del contrasto della tratta degli esseri umani in genere e in quanto gestito dalle organizzazioni criminali in particolare?

Si è tradotto nella predisposizione di una serie di normative quadro, di strumenti operativi e di attori competenti ad applicarli. Sotto il primo punto di vista rilevano infatti, tra gli altri strumenti normativi, il Codice frontiere Schengen e il Codice dei visti, l’istituzione di Europol e di Frontex, la Direttiva per il ritorno dei cittadini dei paesi terzi che sog-giornano illegalmente nel territorio dell’UE (cosiddetta Direttiva rimpatrio), i Piani di azione diretti ad assicurare una risposta strategica della UE alle pressioni migratorie, le ventinove misure intese a rafforzare la protezione delle frontiere esterne e a combattere l’immigrazione illegale, la direttiva sui permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini di paesi terzi vittime di questo traffico e che collaborano con le competenti autorità, la direttiva sulla prevenzione e il contrasto del traffico degli esseri umani e sulla protezione delle vittime, la Strategia dell’Unione per il periodo 2012-16 sullo smantellamento del traffico, il documento di orientamento sul potenziamento dell’azione esterna della UE nei confronti del traffico di esseri umani.

Per quanto concerne invece il profilo operativo, le forze di polizia degli Stati membri possono ora utilizzare quotidianamente, con ciò “dialogando” tra loro in tempo reale, gli stessi strumenti quali il Sistema Informativo Schengen di seconda generazione (SIS II), il Sistema Informativo Visti (VIS), il Sistema EUROSUR, nonché, nei prossimi anni, il Sistema informativo rappresentativo delle cosiddette “frontiere intelligenti” (Smart Border Package) che sarà composto da un sistema di entrate/ uscite (EES-Entry Exit System) e da un programma dei viaggiatori registrati (RTP-Registered Traveller Programme).

In ordine agli attori di questo processo, infine, va detto che oltre alle forze di polizia nazionali, il sistema ideato dai legislatori della UE è modulato per dare sostanza al principio di sussidiarietà, consentendo cioè l’azione in questo come in altri settori di collaborazione contro la criminalità, ad attori sovranazionali, sia ad un livello “politico-negoziale” che “analitico-operativo”. Rientrano nel primo aspetto soprattutto due istanze interne al Consiglio UE e composte dai rappresentanti “tecnici” dei ministeri dell’Interno dei ventotto Stati membri, quali il Comitato strategico per l’immigrazione, le frontiere e l’asilo (SCIFA) e il Comitato operativo per la sicurezza interna (COSI),4 chiamati a fornire gli indirizzi strategici in questo settore sia a livello nazionale che dell’Unione.

Gli attori che invece a livello UE sono competenti ad assicurare una risposta “analitico-operativa” sono Frontex ed Europol, entrambe agenzie dell’Unione europea che, come si vedrà, agendo su piani d’interesse tra loro complementari, dovranno necessariamente coordinare la pro-pria azione per evitare duplicazioni e sovrapposizioni di intervento. In questo quadro, la funzione di Frontex è quella di semplificare e rendere più efficace l’applicazione delle misure UE vigenti e future nella gestione delle frontiere esterne, garantendo un coordinamento efficace, elevato e uniforme delle azioni svolte dagli Stati membri nelle attività di controllo e sorveglianza delle citate frontiere esterne terrestri, marittime e aeree e di promuovere la solidarietà tra gli Stati membri, con particolare riferimento a favore di quelli che devono fronteggiare pressioni specifiche e/o sproporzionate.

Va detto invero che, nel tempo, il ruolo di Frontex è stato declinato soprattutto attraverso il coordinamento di operazioni congiunte condotte dagli Stati membri alle frontiere esterne terrestri, marittime e aeree.5 Su un piano concreto, queste attività vengono svolte sulla base di un dettagliato piano operativo, concordato con lo Stato membro che ospita l’operazione e predisposto con gli Stati membri interessati alla partecipazione, dove vengono indicati gli obiettivi dell’operazione, la sua durata, l’area geografica di svolgimento, la composizione e i compiti degli appartenenti alle squadre delle guardie di frontiera distaccate dagli Stati membri, le disposizioni sul comando e controllo dell’operazione, le attrezzature tecniche da utilizzare, le informazioni sulla giurisdizione e la legislazione applicabile nel caso concreto, le modalità di cooperazione con paesi terzi, altre agenzie UE, organi e organismi internazionali nonché il sistema di rapporto e di valutazione da seguire alla fine della missione anche in ordine a eventuali violazioni dei diritti umani riscontrate nel corso dell’attività. A sua volta questo piano operativo si deve basare su un’attività di analisi del rischio sia generale che mirata, elaborata alla luce di un «modello comune di analisi integrata dei rischi» e diretta a identificare i possibili rischi connessi a queste operazioni, a massimizzare l’efficacia della prevenzione della criminalità transfrontaliera, prevedendone i possibili, futuri sviluppi, proponendo i rimedi e l’equipaggiamento ritenuti necessari alla specifica fattispecie.

Con l’analisi di tipo strategico, invece, Frontex delinea, per il medio e lungo periodo, un intero quadro della situazione relativo ai modelli, alle rotte e alle tendenze dei flussi migratori e delle attività criminali transfrontaliere, come, ad esempio, il traffico di esseri umani, con ciò evidenziando le aree di criticità alle frontiere esterne. Lo strumento utilizzato a questo fine è il Frontex Risk Analysis Network (FRAN) che permette di condividere le più attuali conoscenze e informazioni dei servizi nazionali ed europei che operano nel settore. La gestione del patrimonio informativo dell’Agenzia, invece, è riservato al Frontex Situation Centre (FSC) che deve assicurare un quadro aggiornato, costantemente e in tempo reale, della situazione migratoria e agire come punto di contatto centrale, assicurando al contempo sia un meccanismo di risposta immediata a eventuali situazioni di emergenza, sia il supporto alle operazioni in quel momento in atto.

Se invece ci si riferisce al secondo “attore analitico-operativo”, e cioè a Europol, va detto che questo, dal canto suo, ha l’obiettivo di sostenere e rafforzare l’azione degli Stati membri e la loro cooperazione reciproca per prevenire e combattere la criminalità organizzata, il terrorismo e le altre forme gravi di criminalità che interessano due o più Stati membri (in applicazione del principio di sussidiarietà), tra le quali, ai fini che qui interessano, la Convenzione istitutiva fa rientrare sia l’organizzazione clandestina di immigrazione che la tratta di esseri umani.6 Per conseguire tale obiettivo, quest’Agenzia svolge il compito di raccogliere, conservare, trattare, analizzare e scambiare informazioni e intelligence; di comunicare senza indugio alle autorità competenti degli Stati membri le informazioni che le riguardano e ogni collegamento constatato tra i reati; di facilitare le indagini in atto negli Stati membri, in particolare trasmettendo tutte le informazioni pertinenti; di chiedere alle autorità competenti degli Stati membri interessati di avviare, svolgere o coordinare indagini e di proporre l’istituzione di squadre investigative comuni in casi specifici; di fornire intelligence e supporto analitico agli Stati membri in relazione a eventi internazionali di primo piano; di preparare valutazioni delle minacce, analisi strategiche e rapporti di situazione in relazione all’obiettivo, incluse valutazioni della minaccia costituita dalla criminalità organizzata; di assistere gli Stati membri nei loro compiti di raccolta delle informazioni da internet con lo svolgimento della relativa analisi, per aiutare a identificare le attività criminali agevolate da o commesse attraverso la rete; di approfondire le conoscenze specialistiche usate nelle indagini dalle autorità competenti degli Stati membri, offrendo consulenza per le indagini; di fornire intelligence strategica per facilitare e promuovere un impiego efficace e razionale delle risorse disponibili, a livello nazionale e dell’Unione, per le attività operative, prestando il sostegno a tali attività.

Così come visto per Frontex, anche l’attività di Europol prende le mosse da un intenso lavoro di analisi a fini operativi nazionali. In questo quadro un valore prioritario è assunto dal Serious and Organised Crime Threat Assessment (SOCTA) che, su base annuale, individuando le priorità operative da assumere a livello UE alla luce dell’evoluzione delle minacce poste dalla criminalità organizzata, vuole rappresentare, per le competenti autorità degli Stati membri, un utile contributo ai loro sforzi nel contrastare la criminalità organizzata internazionale. In questo quadro, anche nell’ultima valutazione della minaccia criminale, la facilitazione dell’immigrazione illegale e il traffico degli esseri umani da parte della criminalità organizzata vengono considerati come fenomeni a cui fornire una risposta prioritaria sia a livello UE che degli Stati membri. Sulla base di tale valutazione, un’espressione di questa risposta si è di conseguenza avuta a livello politico da parte del Consiglio UE che, in occasione della sessione di giugno 2013, ha adottato le Conclusioni sulle priorità dell’Unione per la lotta contro la criminalità organizzata e le forme gravi di criminalità nel periodo 2014-17, tra cui quella di «contrastare (…) i gruppi della criminalità organizzata coinvolti», da un lato, «nel traffico degli esseri umani a fini di sfruttamento sessuale e nel mercato del lavoro » e, dall’altro, «nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e operanti nei paesi di origine, ridurre l’abuso da parte dei gruppi della criminalità organizzata di canali legali di immigrazione, compreso l’uso di documenti falsi quale mezzo per agevolare l’immigrazione clandestina». Ora, poiché il compito di coordinare il complesso dell’esercizio è stato affidato al COSI, questo comitato ha approvato lo scorso 17 settembre i Piani di azione pluriennali che costituiranno, per ognuna delle citate priorità, l’ambito entro il quale il “ciclo politico” sarà sviluppato negli anni dal 2014 al 2017. Successivamente verranno elaborati i Piani annuali per il 2014 in cui verranno indicate le prime azioni operative. Più in dettaglio, nel Piano strategico pluriennale (MASP) relativo alla priorità di disarticolare le organizzazioni criminali coinvolte nel traffico di esseri umani e nei processi di agevolazione dell’immigrazione illegale, che in quanto tale costituiscono una seria minaccia all’Unione europea, si individuano sia i fattori che risultano funzionali a questa agevolazione, sia gli obiettivi strategici che dovranno essere realizzati nel quadriennio di riferimento per contrastare la criminalità organizzata coinvolta nell’agevolazione e gestione di questo fenomeno. In questo modo, mentre i fattori vengono divisi tra quelli push e pull, cioè quelli che, rispettivamente, spingono la persona a partire dal proprio paese (ad esempio, l’instabilità politica o le severe difficoltà economiche) e a restare in Europa (soprattutto migliori condizioni di vita, possibilità di lavoro, ricongiungimenti familiari), vengono al tempo stesso individuati alcuni obiettivi strategici su cui si dovrà lavorare nei prossimi anni: miglioramento del quadro informativo generale sul traffico di esseri umani e sull’immigrazione illegale; smantellamento delle organizzazioni criminali attraverso un aumento del numero delle operazioni e delle investigazioni congiunte; uso sistematico delle investigazioni finanziarie, incrementando le confische dei patrimoni così acquisiti; produzione, distribuzione e utilizzazione di documenti falsi; aumento della cooperazione con i paesi di origine e transito dei flussi, partendo dal Mediterraneo orientale, dai Balcani occidentali e dalle “rotte africane”; miglioramento dei livelli di consapevolezza, cooperazione e scambio delle migliori pratiche nazionali nei riguardi di questo fenomeno.

Per quanto concerne in particolare il profilo geografico d’interesse, come si è purtroppo visto, l’ennesima tragedia di Lampedusa ha necessariamente fatto rimodulare le linee d’intervento della UE. Questa è la ragione per cui il Consiglio Giustizia e affari interni ha perciò approvato lo scorso 7 ottobre la costituzione di una Task Force per il Mediterraneo, che, sotto la responsabilità della Commissione europea, e più precisamente della sua Direzione generale affari interni, ha avuto il mandato di proporre, in consultazione con gli Stati membri e le organizzazioni internazionali di settore (ad esempio OIM, UNHCR) un ampio spettro di misure a breve, medio e lungo termine dirette a evitare il ripetersi di tragedie come quelle, purtroppo ormai frequenti, di Lampedusa. Tra queste un ruolo significativo viene assegnato, tra i numerosi altri aspetti, al rafforzamento della sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione, al maggiore coinvolgimento di Frontex, in collaborazione con Europol ed EASO,7 alla piena attuazione del regolamento Eurosur, alla solidarietà verso gli Stati membri sottoposti a forti pressioni migratorie, all’assistenza e al dialogo con i paesi di origine e transito dei migranti, alla lotta contro i gruppi criminali che gestiscono la tratta degli esseri umani, alla possibilità di studiare canali di arrivo sicuro sul territorio dell’UE e all’attuazione di rapide procedure di ritorno dei migranti nei loro paesi in condizioni di rispetto della dignità umana in ossequio alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.8 L’esito dei lavori di questa task force, dopo essere stato portato all’attenzione dei ministri dell’Interno in occasione della loro riunione del 5 dicembre 2013, costituirà la base di una specifica comunicazione della Commissione europea che nei prossimi mesi indirizzerà gli Stati membri e le Agenzie dell’Unione verso i passi da intraprendere in materia.

Come si è visto, l’apparato normativo e operativo di cui si è dotata l’Unione negli ultimi anni è enorme e, tuttavia, ancora insufficiente a veicolare un messaggio di sicurezza ed efficacia della sua azione ai cittadini europei. Perché? Ovviamente le cause sono diverse a seconda della problematica a cui di volta in volta si indirizza l’azione dell’Unione. Nel caso qui in esame le ragioni principali sembrano risiedere soprattutto in un aspetto sociopolitico e in uno tecnico. Da un lato, infatti, emergono spesso chiaramente, sul piano pratico, le diverse valutazioni e sensibilità nei confronti di questo fenomeno da parte delle società dei paesi nordeuropei che, per la loro posizione geografica, vivono la problematica in termini di minore impatto; dall’altro, rileva in primo luogo la disomogeneità dei quadri normativi e, di conseguenza, degli assetti ordinamentali nazionali.

Tale difficoltà, del resto, è evidente nel momento in cui si cerchi di “intenderci” sui termini da utilizzare. Qui si è parlato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani gestite dalla criminalità organizzata. Ora, la nostra storia, purtroppo, ci ha fatto ben comprendere cosa si intende con quest’espressione in generale e con quella dell’associazionismo di tipo mafioso in particolare, ma così non è per le società nordeuropee che storicamente non hanno conosciuto la violenza e la pericolosità della criminalità organizzata e quindi non riescono ad accettare completamente la necessità di adeguarvi il proprio ordinamento. La conseguenza di quest’impostazione è la mancanza di un comune sentire e, quindi, di una definizione comune ai ventotto Stati membri del concetto di criminalità organizzata. Del resto, allo stato, gli “sforzi” più avanzati sono quelli compiuti con la Convenzione di Palermo che ha definito un “gruppo criminale organizzato” come «un gruppo strutturato, esistente per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla presente Convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale».9 Tale indicazione è stata nella sostanza traslata nella normativa dell’UE. Infatti, la decisione quadro 2008/841/GAI del 24 ottobre 2008 cerca di definire un’organizzazione criminale come «un’associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale».

Cosa fare allora? La necessità di adeguare, rafforzandola ulteriormente, la capacità di prevenzione e contrasto dell’Unione è stata oggetto di un’approfondita e complessa analisi svolta dalla Commissione CRIM del Parlamento europeo che ha permesso a quest’ultimo di approvare, in occasione della sessione plenaria del 23 ottobre 2013, la Risoluzione (prima nel suo genere) sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di danaro, in cui viene delineata una serie di raccomandazioni sulle iniziative da intraprendere, tra cui in primo luogo la necessità di «stabilire la definizione di criminalità organizzata».

Per quanto riguarda invece specificamente il tema qui in considerazione, la stessa Risoluzione, partendo dalla considerazione che «le vittime della tratta di esseri umani gestita dalle organizzazioni criminali transnazionali sono completamente sfruttate e sottomesse ai loro trafficanti, obbligate a rimborsare loro debiti enormi, private dei loro documenti di identità, rinchiuse, isolate e minacciate» ai fini «di sfruttamento sessuale o di lavoro o servizi forzati, tra cui l’accattonaggio, la schiavitù, la servitù, le attività criminali, i lavori domestici, il matrimonio forzato o il prelievo di organi» individua le relative risposte nella ratifica, da parte di tutti gli Stati, dei pertinenti strumenti internazionali, nell’avvio di un piano di azione europeo contro la criminalità organizzata, nella punibilità in sede penale dell’abuso e dello sfruttamento delle vittime della tratta degli esseri umani, nella creazione di un Osservatorio dell’Unione contro questo fenomeno, nell’elaborazione di una Carta dell’Unione per la protezione e l’assistenza delle vittime della tratta, nell’inserimento, da parte della Commissione europea, negli accordi di associazione e commerciali con i paesi terzi di specifiche clausole di cooperazione contro la criminalità organizzata, nell’incremento sia del livello di cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati membri, sia dell’uso delle nuove tecnologie, tra cui le rivelazioni satellitari.

Accanto alle iniziative indicate nella Risoluzione, un carattere funzionale al buon esito di questa battaglia potrebbe poi essere individuato, in un quadro di necessaria flessibilità dell’approccio strategico dell’Unione, in ulteriori interventi quali la costante attenzione al momento formativo degli operatori del settore, alla necessità per gli Stati membri di disporre di adeguate risorse finanziarie nel prossimo programma finanziario UE per il periodo 2014-20, nella rivisitazione del ruolo e della dislocazione degli ufficiali di collegamento degli Stati membri nei paesi terzi, nonché, soprattutto, nel rafforzamento della cosiddetta “dimensione esterna” dell’azione dell’Unione e della sua maggiore integrazione con quella interna della sicurezza. La necessità primaria, cioè, è quella di un approccio multidisciplinare che sia funzionale a interloquire sia da parte della UE che delle sue Agenzie, sia pure nelle oggettive difficoltà esistenti in loco, con i paesi terzi di origine e transito dei migranti, in stretto raccordo con il Servizio europeo per l’azione esterna, così da declinarlo non solo come mero strumento di reazione di fronte a situazioni critiche o particolarmente sensibili ma come strumento proattivo che miri anche a prevenire in modo strutturale situazioni che potrebbero divenire complesse. Naturalmente, l’insieme degli interventi così delineati potrà costituire un contributo davvero significativo alla prevenzione e al contrasto del fenomeno della tratta degli esseri umani da parte dei gruppi criminali organizzati solo se verrà coniugato unitamente al mantenimento nell’opinione pubblica europea di un uniforme livello di consapevolezza che non sia fondato su basi emotive o, peggio ancora, stagionali.

 


 

[1] I tragici eventi di Lampedusa hanno costituito oggetto anche di una risoluzione del Parlamento europeo del 23 ottobre 2013 sui flussi migratori nel Mediterraneo che, tra l’altro, «invita l’Unione e gli Stati membri a modificare o rivedere eventuali normative che infliggono sanzioni a coloro che prestano assistenza ai migranti in pericolo in mare».

[2] Sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo (12-15 dicembre 2000), il Protocollo integra la Convenzione e va interpretato congiuntamente a essa.

[3] La definizione di reato transnazionale è contenuta nell’articolo 3 della Convenzione di Palermo del 2000 secondo cui il reato ha questa natura se è commesso: a) in più di uno Stato; b) in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato; c) in uno Stato, ma in esso è implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) in uno Stato ma ha effetti sostanziali in un altro Stato.

[4] L’articolo 71 del TFUE ha istituito, in seno al Consiglio, un comitato permanente al fine di assicurare all’interno dell’Unione la promozione e il rafforzamento della cooperazione operativa in materia di sicurezza interna. Fatto salvo l’articolo 240, esso favorisce il coordinamento dell’azione delle autorità competenti degli Stati membri. I rappresentanti degli organi e organismi interessati dell’Unione possono essere associati ai lavori del comitato. Il Parlamento europeo e quelli nazionali sono tenuti informati dei lavori.

[5] Oltre che nelle operazioni congiunte di controllo alle frontiere esterne, tra cui, ad esempio, si possono ricordare quelle denominate Hermes, Poseidon, Aeneas, Minerva, Indalo, Eurocup, Jupiter, svolte nel tempo in diverse aree frontaliere, Frontex può essere infatti impegnato in progetti pilota, interventi rapidi e operazioni congiunte di rimpatrio di cittadini di paesi terzi trovati in posizione irregolare.

[6] Secondo la Convenzione del 2009, con l’espressione “organizzazione clandestina di immigrazione” si devono intendere le azioni intese ad agevolare deliberatamente, a scopo di lucro, l’ingresso e il soggiorno o il lavoro nel territorio degli Stati membri dell’Unione europea, in violazione delle leggi e delle condizioni applicabili negli Stati membri. Rientrano nella “tratta di esseri umani” le condotte dirette a reclutare, trasportare, trasferire, ospitare o accogliere persone, tramite l’impiego o la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, la produzione, vendita o distribuzione di materiale pedopornografico, il lavoro forzato o prestazioni forzate, la schiavitù o le pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi.

[7] L’EASO (European Asylum Support Offi ce), con sede a La Valletta, è un’agenzia dell’Unione che svolge un ruolo essenziale nello sviluppo concreto nel sistema comune europeo dell’asilo. Con la sua istituzione, infatti, si volle fissare uno strumento diretto ad aumentare la cooperazione pratica in questo settore, fornendo aiuto alle persone e supportando gli Stati membri il cui sistema ricettivo è sottoposto a pressioni significative.

[8] Questo documento fu proclamato ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. Nel dicembre 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è stato conferito alla Carta lo stesso effetto giuridico vincolante dei Trattati. A tal fine, la Carta è stata modificata e proclamata una seconda volta nel dicembre 2007.

[9] Secondo questa Convenzione, sono reati gravi le condotte che costituiscono un reato sanzionabile con una pena privativa della libertà personale di almeno quattro anni nel massimo o con una pena più elevata, mentre con l’espressione “gruppo strutturato” s’intende un gruppo che non si è costituito fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata. Se invece si prende in considerazione la legislazione UE rientrano nei reati gravi quelli che fanno parte dell’elenco di cui all’articolo 2 della Decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002 relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, mentre identica è la definizione di “associazione strutturata”.