Due scenari per l'area euro

Di Paolo Guerrieri Martedì 12 Febbraio 2013 17:41 Stampa

Nella seconda metà del 2012 si sono verificati alcuni eventi estremamente positivi per le sorti dell’euro e sono state prese, a livello comunitario, decisioni molto importanti per la tenuta della moneta europea. Tuttavia, rimane il rischio che il perdurare della politica di rigore, non controbilanciata da adeguate politiche per il rilancio della crescita in Europa, vanifichi quanto fatto. Il giusto mix di rigore, liquidità e crescita, accompagnato da un processo di reale integrazione economica e politica, costituisce la più efficace via d’uscita dalla crisi.

 


La seconda parte del 2012 è stata decisamente favorevole per le sorti dell’euro: la Banca centrale europea ha approvato lo scudo anti-spread (OMT) da attivare su richiesta della Spagna e dell’Italia; la Corte costituzionale tedesca si è pronunciata in favore del lancio dell’ESM, il nuovo fondo salva-Stati; nel summit europeo di fine anno è stata approvata la vigilanza unica della BCE sulle grandi banche europee; i mercati finanziari internazionali hanno salutato all’insegna di stabilità e spread in forte calo questa serie di eventi favorevoli. Se prima dell’estate dell’anno scorso si erano diffusi i timori di una violenta crisi finanziaria che avrebbe potuto affossare definitivamente la moneta europea, quanto successo negli ultimi mesi appare aver allontanato assai decisamente lo spettro di un break-up dell’euro.

Tuttavia sarebbe ora estremamente avventato ritenere che il più sia fatto. Una sequenza di scadenze e passaggi, tutti molto rilevanti, dovranno essere affrontati nel corso del 2013 perché l’area euro possa imboccare la strada di una più solida stabilizzazione. Anche perché nell’ultimo summit europeo, tenutosi a dicembre dello scorso anno, si era pensato alla possibilità di avviare i negoziati su riforme in grado di rafforzare e completare l’Unione economica e monetaria. Doveva essere un processo in tre tappe, costellato da scadenze precise e passaggi altrettanto puntuali come proposto nei documenti redatti prima del vertice. Ma alla fine è stato tutto rinviato al giugno 2013, quando il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, dovrà presentare nuove proposte e una nuova tabella di marcia. Resta poi il dato preoccupante della sopravvivenza della moneta unica in qualche modo legata alla prospettiva di un prolungato ristagno delle economie europee, a seguito delle politiche di austerità fin qui massicciamente adottate. È uno scenario in cui l’euro resta fonte primaria di vincoli e sacrifici, così da alimentare ulteriori ostilità e disintegrazione in Europa. Uno scenario alternativo è in realtà configurabile, come si dirà più avanti, ed è imperniato su un mix di politiche più equilibrato e in grado di rilanciare la crescita e l’integrazione delle economie europee.

 

L’AMBIZIOSO PIANO DELLA BCE

Il varo ai primi di settembre da parte della BCE del piano di acquisti di titoli sovrani sui mercati secondari – il cosiddetto “Outright Monetary Transaction” –, finalizzato a calmierare gli spread e a diminuire le tensioni esistenti sui mercati finanziari europei, è stato finora decisivo ai fini di assicurare spread in forte calo sui titoli sovrani dei paesi periferici e una marcata stabilizzazione delle attese degli operatori all’interno e fuori dall’Europa. In effetti, la decisione di istituire l’OMT, oltre a rappresentare un rafforzamento significativo della Banca centrale, della sua indipendenza e dei suoi poteri, ha scongiurato il rischio di un possibile irreversibile crollo dell’euro.

Per cogliere il perché fosse fortemente aumentato questo rischio vale la pena ricordare, innanzitutto, i fattori che hanno offerto piena legittimazione agli interventi decisi dalla BCE. Essi attengono alle contraddizioni insite nell’Unione monetaria che la crisi finanziaria ha crudamente disvelato mettendo a nudo come i paesi oggi più in difficoltà e indebitati – come Spagna e Italia – siano particolarmente vulnerabili a mutamenti della fiducia dei mercati e dei flussi di finanziamento dei debiti sovrani proprio perché membri dell’area monetaria. La causa è l’esistenza di rischi sistemici che possono generare effetti di contagio potenzialmente devastanti per l’intera area euro. Per scongiurarli servono meccanismi adeguati di difesa e assistenza finanziaria a livello dell’intera eurozona, che possono essere messi in campo solo dalla Banca centrale e/o da un Fondo salva-Stati dotato di mezzi adeguati.

Ora le modalità di intervento dell’OMT appiano adeguate a fronteggiare questi rischi sistemici. In primo luogo, perché non è stato fissato un limite ex ante alle risorse da impiegare, né sul piano della quantità né su quello delle scadenze da rispettare; e poi per la importante rinuncia alla seniority ovvero al rimborso privilegiato dei nuovi crediti dalla BCE. Sono tutte modalità che i mercati in questi mesi, nel comprare titoli spagnoli e italiani, hanno con relativo ottimismo già anticipato.

 

LE CONDIZIONALITÀ DELLA BCE

Resta comunque il problema che è rappresentato dalle condizionalità che verrebbero poste dal fondo salva-Stati ai paesi come Spagna e Italia allorché decidessero di chiedere gli interventi della BCE. Nella prima generazione di programmi UE-FMI applicati a Grecia, Irlanda e Portogallo, si è cercato di rassicurare i mercati garantendo il pieno finanziamento con risorse pubbliche delle nuove emissioni dei paesi “salvati”, dal momento che questi ultimi avevano già perso l’accesso al mercato dei capitali. Nel caso di Spagna e Italia, viceversa, l’intervento deve far sì che i paesi “aiutati” conservino il loro accesso al mercato, per confermare che la crisi del paese è di liquidità e non di insolvenza. La condizionalità deve dunque essere in grado di rassicurare i mercati sulla piena solvibilità del paese aiutato.

Tutto ciò comporta un diverso approccio rispetto al passato. A questo riguardo la BCE ha confermato che spetterà all’eurogruppo e al nuovo fondo salva-Stati ESM fissare le condizioni necessarie. Nel suggerire alcune linee guida, tuttavia, ha piantato alcuni paletti assai pesanti e ingombranti, quali la richiesta di condizioni rafforzate (enhanced) e un ruolo chiave del Fondo monetario internazionale nella formulazione e nel monitoraggio dei programmi di assistenza.

Di qui le resistenze e i dubbi manifestati a più riprese in questi mesi dal governo spagnolo nei confronti del nuovo programma di interventi della BCE. Reazioni analoghe si sono avute dal governo del nostro paese, che ha messo in chiaro più volte di non avere interesse a firmare memorandum imperniati su vessatorie condizionalità. L’ultima parola spetterà comunque al fondo salva-Stati e, più in generale, alla politica europea, che si spera possa trovare soluzioni innovative e immaginifiche al riguardo. Il rischio, altrimenti, è di veder vanificare piuttosto rapidamente gli effetti di normalizzazione dei mercati di queste ultime settimane.

I PASSI VERSO UNA MAGGIORE INTEGRAZIONE

Le nuove misure di intervento della BCE, condizionalità a parte, sono state un passo decisamente positivo e importante per le sorti dell’euro per le ragioni chiarite in precedenza, anche se non vanno interpretate come una svolta definitiva nel lungo percorso di risoluzione della crisi. In altre parole la partita è tutt’altro che finita, anzi è appena iniziata. Resta ancora un groviglio di questioni economiche, politiche e istituzionali che i paesi dell’eurozona saranno chiamati a fronteggiare già da quest’anno per invertire la rotta fallimentare degli ultimi anni.

Tra queste sfide, una delle priorità è rappresentata dall’Unione bancaria europea (UBE). Il trasferimento della vigilanza bancaria dagli Stati membri alla Banca centrale europea approvata al summit dello scorso dicembre, pur se limitata per ora ai maggiori istituti di credito – il loro numero oscilla tra 150 e 200 – e operativa solo a partire dal marzo 2014, rappresenta innegabilmente un fatto di grande rilevanza, perché è il primo passo verso la costruzione dell’UBE. È un obiettivo chiave da raggiungere, quest’ultimo, per riuscire finalmente a recidere quel legame perverso tra crisi dei debiti degli Stati e crisi bancarie che ha costituito finora il vero motore della crisi dell’euro. Per raggiungerlo, tuttavia, altri ostacoli dovranno essere superati nel prossimo anno relativamente a due passaggi fondamentali: la garanzia unificata dei depositi bancari, da un lato, e le regole di liquidazione delle banche, dall’altro. Il fatto è che in entrambi i casi si dovrà affrontare il problema della condivisione dei rischi finanziari e, quindi, della distribuzione dei costi di aggiustamento tra paesi creditori e paesi debitori, prevedendo meccanismi di trasferimento di risorse tra paesi. Un argomento finora tabù e che i paesi europei hanno sempre preferito aggirare e rinviare.

Parallelamente, ci si dovrà occupare degli eccessi di debito sovrano da smaltire. Al di là dei programmi di consolidamento fiscale portati avanti singolarmente dai vari paesi più in difficoltà, non si potrà evitare di ricorrere a qualche forma di messa in comune dei rischi di questi debiti, per abbassarne drasticamente i costi di finanziamento. Si tratterà di attivare una delle tante possibili soluzioni che sono state prospettate al riguardo, quale quella di un fondo di riscatto (redemption fund ) gestito a livello europeo. L’obiettivo più ambizioso e in qualche modo inevitabile resta l’Unione fiscale e l’emissione di eurobond.

 

QUALE AREA EURO?

È utile chiedersi, a questo punto, preso atto che i rischi di un vero e proprio crollo della moneta europea appaiono scongiurati, quale area euro e quale Unione avremo nei prossimi anni e con quali prospettive. Dal momento che la crisi europea nasce innanzi tutto dall’esplosione del debito privato tramutatosi poi in debito pubblico, il problema centrale resta quello di fronteggiare l’eccesso di debito accumulato da molti paesi europei, per favorire i loro processi di aggiustamento a medio termine. Non vi è dubbio che per riassorbire l’eccesso di debiti sia necessaria innanzitutto una buona dose di rigore fiscale e, quindi, di austerità economica da parte dei paesi periferici più indebitati, all’insegna di una nuova disciplina dei conti pubblici che sia in grado di correggere manchevolezze ed errori del passato. Un altro dato di fatto è che questi processi di aggiustamento hanno bisogno di tempo e risorse adeguate per essere efficaci. Ciò comporta, tra le altre cose, la creazione di meccanismi e risorse liquide a livello dell’intera Unione monetaria, in capo alla Banca centrale e/o a un Fondo salva-Stati europeo. Modalità e costi della gestione della crisi del debito europeo dipenderanno, infine, dalle dinamiche di crescita che caratterizzeranno i singoli paesi membri e l’area euro nel prossimo futuro.

Rigore, liquidità e crescita rappresentano, dunque, i tre ingredienti fondamentali per un policy mix in grado di risolvere la crisi dell’euro. Ma costi ed efficacia della cura varieranno fortemente a seconda del peso specifico assegnato a ognuno dei tre ingredienti. Dalla loro effettiva combinazione discenderà l’esito finale della crisi e del sofferto processo di mutazione che sta interessando l’area dell’euro e la sua governance. Al riguardo, con uno sguardo rivolto al futuro, due sono i possibili scenari che si possono sinteticamente delineare con riferimento alle sorti della moneta europea e alle politiche di aggiustamento perseguibili nella zona euro.

UN PRIMO SCENARIO: RIGORE E RISTAGNO

Un primo scenario è il riflesso della fase attuale e di una serie di andamenti che si vanno consolidando anche grazie alle novità più recenti. In esso risposte positive verranno offerte al problema di liquidità del sistema, attraverso le misure varate dalla BCE a più riprese in quest’ultimo anno (LTRO e OMT), unitamente al nuovo meccanismo di stabilità (ESM) e al progetto di Unione bancaria appena varato e da realizzare gradualmente nel tempo.

Piena di incognite si presenta invece la strategia per garantire la sostenibilità dei debiti sovrani e, di qui, il rilancio del processo di unificazione monetaria. E i motivi stanno nella cura fin qui adottata. Quella ricetta dell’austerità a tutto tondo che per le modalità e per le dosi massicce con cui è stata applicata (pressoché ovunque nell’eurozona) non sta funzionando se non attraverso elevati costi economici e sociali dei processi di aggiustamento. Anche perché il maggiore onere si scarica sui paesi più indebitati, con effetti deflazionistici e recessivi che alla fine indeboliscono la stessa capacità di questi paesi di risanare i loro debiti.

Intendiamoci, il rigore dei conti pubblici e il rispetto delle regole sono ingredienti fondamentali del buon funzionamento dell’Unione monetaria, ma da soli non bastano. In queste condizioni l’intera area euro appare condannata a un periodo di ristagno e bassa crescita, destinato a protrarsi per molti anni, ben oltre l’attuale fase.

In definitiva, la prospettiva in questo primo scenario è quella di avere un policy mix fatto di molta austerità, liquidità appena necessaria e pressoché nessuna crescita. La sopravvivenza dell’euro verrebbe comunque garantita, dal momento che si è finalmente capito che la sua fine rappresenterebbe un disastro economico per tutti, inclusa la Germania. Resterà comunque elevato il rischio che la Grecia e altri paesi deboli della zona periferica, non riuscendo a sostenere le misure draconiane di aggiustamento loro richieste, siano spinti verso una situazione di insolvenza e alla fine costretti a uscire dall’euro. Ne deriverebbe un’area euro nel complesso indebolita, caratterizzata da una cronica bassa crescita, esposta a crisi ricorrenti e incapace di giocare un ruolo di primo piano nei nuovi equilibri che si stanno configurando in questi anni a livello mondiale.

UNO SCENARIO DI INTEGRAZIONE E CRESCITA

Uno scenario alternativo è configurabile, anche se la sua realizzazione incontra oggi forti ostacoli politici. In questo caso il mix di politiche economiche per la soluzione della crisi prevede di mitigare l’austerità con una adeguata dose di liquidità e, soprattutto, di rilancio della crescita dei paesi. Ciò comporta innanzitutto un governo dell’area euro assai diverso dall’attuale: in grado di approfittare della crisi per dotarsi e utilizzare strategie e strumenti di politica economica che consentano il risanamento fiscale dei paesi ma anche la crescita dell’area euro nel suo insieme.

Nessuno ha ovviamente una formula magica per il rilancio della crescita, ma è evidente che sia necessaria una strategia per la zona euro nel suo complesso. In altre parole non basteranno i compiti a casa e le riforme, per quanto importanti, dei singoli paesi. Al riguardo si possono citare soprattutto due strade in grado di produrre un tale nuovo corso: l’introduzione di meccanismi di aggiustamento più simmetrici di quelli attuali che impongano sia ai paesi in deficit sia a quelli in surplus misure di aggiustamento tra loro compatibili. Lo prescrive, d’altra parte, la nuova governance europea, anche se finora è rimasta del tutto inapplicata.

In secondo luogo va completato il mercato interno, il che significa a un tempo processi di liberalizzazioni a livello europeo, creazione di uno spazio comune di ricerca e innovazione unitamente a investimenti europei, da finanziare in comune, in una serie di servizi e aree strategiche (ricerca, energie alternative, istruzione, comunicazione). Aggiustamenti simmetrici e completamento del mercato interno agirebbero da leve per il rilancio della crescita in Europa, stimolando allo stesso tempo la domanda e l’offerta. La crescita sarebbe in grado di restituire fiducia nella possibilità che la Grecia e altri paesi come il Portogallo e la Spagna – incluso il nostro – siano in grado di ripagare i loro debiti, favorendo una discesa dei tassi di interesse e aprendo nuovi spazi fiscali per investimenti in grado di promuovere il rilancio. In un tale contesto sarebbe più accettabile l’idea che una gestione di fatto comune dei bilanci e dei debiti dei paesi europei possa essere utile alla capacità di governo dell’euro.

Ma proprio sul tema del rilancio della crescita si sono accumulati in Europa i maggiori ritardi. A tutt’oggi, malgrado decine di vertici, non è stato fatto pressoché nulla. Anche l’ultimo Growth Compact approvato al vertice europeo di fine giugno 2012 rappresenta solo un primo timido, ma del tutto inadeguato, passo avanti. Eppure, solo ritrovando la strada dello sviluppo e della crescita l’Europa tornerà a essere vista come fonte di benefici e opportunità, e non solo di vincoli e sacrifici.

Sullo sfondo deve restare comunque la consapevolezza che l’integrazione economica per quanto necessaria non è sufficiente. Ci vuole, in parallelo, più integrazione politica, rafforzando i meccanismi democratici e rappresentativi. Come arrivarci è da definire; importante, tuttavia, è ribadire che questo è l’obiettivo ultimo da raggiungere per la soluzione della crisi europea.