Le prospettive energetiche mondiali secondo il World Energy Outlook 2006

Di Giuseppe Surdi Domenica 02 Marzo 2008 19:19 Stampa

Crescita incontrollata del fabbisogno energetico, sicurezza di approvvigionamenti economicamente accessibili, incertezza sugli investimenti necessari e rischi ambientali sempre più rilevanti sono le sfide globali che il «World Energy Outlook 2006» individua come prioritarie per l’intera comunità internazionale. L’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) nel suo rapporto annuale presenta due proiezioni al 2030 delle tendenze energetiche globali: uno «scenario di riferimento», elaborato ipotizzando l’assenza di politiche innovative rispetto a quelle attualmente in atto, e uno «scenario alternativo», in cui si assume che i governi intervengano in modo deciso in ambito energetico e ambientale.

Lo scenario base approntato dall’AIE individua tendenze di mediolungo periodo pressoché insostenibili: una crescita della domanda di combustibili fossili senza controllo, una sempre maggiore dipendenza energetica dalle importazioni da parte di molti paesi, un elevato livello di rischio per gli approvvigionamenti, un aumento drammatico delle emissioni di gas-serra. Le recenti tensioni geopolitiche, l’aumento dei prezzi dell’energia, la rinnovata attenzione dei governi ai problemi connessi al cambiamento climatico e le nuove linee di politica energetica proposte dalla Commissione europea sono tutti elementi che sottolineano l’urgente attualità dei rischi che le tendenze individuate dal «WEO 2006» paventano.

Le proiezioni dello «scenario di riferimento» vedono la domanda mondiale di energia in crescita di qui al 2030 di oltre il 50%. Petrolio, gas e carbone rappresenteranno ben l’81% della domanda globale nel 2030, assorbendo l’83% dell’aumento totale della domanda di energia nel periodo considerato. Gas e carbone in particolare sono i combustibili il cui consumo è destinato ad aumentare maggiormente. Mentre per il gas è previsto il più elevato tasso di crescita tra i combustibili fossili, pari al 2% medio annuo, il carbone mostra nello stesso periodo il più ampio incremento in termini assoluti, un incremento dovuto principalmente al suo impiego massiccio nella produzione di energia elettrica nei paesi asiatici. Basti pensare che Cina e India, da sole, assorbiranno l’80% della domanda addizionale di carbone.

Nel 2030 il mix energetico mondiale sarà caratterizzato da una leggera riduzione della quota di petrolio a vantaggio del gas, anche se il petrolio resterà di gran lunga il combustibile più utilizzato (33% del totale), seguito dal carbone, con una domanda mondiale di 116 milioni di barili al giorno, per un incremento di circa il 38% rispetto al 2005. L’energia eolica, l’energia solare e quella geotermica registreranno la più alta crescita della domanda (6,5% annuo), raggiungendo una quota del 2% sul totale mondiale. Il peso dell’energia nucleare si ridurrà, così come quello dell’energia prodotta da biomasse, a causa della progressiva sostituzione di queste ultime con fonti di energia più moderne nei paesi emergenti; l’energia idroelettrica, invece, aumenterà, anche se di poco. La produzione di energia elettrica assorbirà circa la metà dell’aumento del consumo di energia primaria mondiale; un altro 20% sarà invece impiegato dal settore del trasporto sotto forma di combustibili derivati dal petrolio.

Il centro di gravità della domanda mondiale di energia, secondo le previsioni dell’AIE, si sposterà progressivamente verso l’Asia. I paesi emergenti, infatti, per rispondere alle proprie esigenze di crescita economica e demografica, assorbiranno più del 70% dell’aumento del fabbisogno energetico mondiale: la sola Cina ben il 30%. I paesi asiatici e quelli dell’OCSE diverranno progressivamente sempre più dipendenti dalle importazioni. La produzione interna di energia primaria non sarà in grado di fronteggiare la crescita della domanda. Si stima quindi che, nell’arco di dieci anni, nei paesi non OPEC la produzione di greggio convenzionale e di gas naturale liquido toccherà il suo apice per poi iniziare a declinare. Per contro, i paesi OPEC mediorientali e la Russia vedranno ulteriormente rafforzato il proprio potere di mercato e la capacità di imporre i prezzi delle materie prime.

Il problema della dipendenza dalle importazioni assumerà contor- ni drammatici, in particolare per quanto riguarda il petrolio: nel 2030 i paesi OCSE dipenderanno dall’estero – principalmente dal Medio Oriente – per i due terzi del proprio fabbisogno complessivo, con un incremento del 10% rispetto al 2004. La dipendenza dei paesi asiatici emergenti crescerà addirittura del 25%, con livelli di dipendenza dall’estero per il proprio fabbisogno energetico del 77% e dell’87% per quanto riguarda rispettivamente la Cina e l’India.

L’Unione europea toccherà invece la non invidiabile vetta del 92%. Date tali prospettive, gli elevati rischi connessi alla sicurezza degli approvvigionamenti, la pericolosità di interruzioni improvvise e particolarmente gravi e dei conseguenti rialzi dei prezzi delle materie prime appaiono del tutto evidenti – oltre che attuali – come testimoniano i recenti casi dell’Ucraina e della Bielorussia.

Lo scenario base del «WEO 2006» sottolinea come il livello dei prezzi del petrolio sia un fattore cruciale per il funzionamento delle economie avanzate e agisca da pivot per i prezzi degli altri combustibili fossili a livello globale. Infatti, la competizione tra combustibili e la pratica dell’indicizzazione al prezzo del petrolio nei contratti di fornitura di gas a lungo termine determineranno un’evoluzione dei prezzi del gas naturale in linea con quelli del petrolio. L’AIE prevede entro metà del prossimo decennio un calo significativo del prezzo medio del greggio importato, dai circa 54 dollari al barile attuali fino ad arrivare a 47 dollari (in termini reali), e un successivo aumento fino a raggiungere nuovamente i 55 dollari (al netto dell’inflazione) nel 2030. I prezzi del carbone varieranno, invece, nel periodo considerato, meno di quelli del petrolio e del gas, ma sempre secondo lo stesso trend.

L’impatto macroeconomico globale della crescita dei prezzi dell’energia risulta incerto: da un lato le pressioni inflazionistiche potreb- bero determinare un rialzo dei tassi di interesse, dall’altro la reimmissione nel circuito internazionale dei petroldollari potrebbe costituire un fattore di freno, nel lungo termine, alla crescita dei tassi stessi. Per i paesi importatori, la cui bolletta energetica peserà non poco sulla bilancia dei pagamenti, sarà comunque difficile ottenere elevati livelli di crescita economica se i prezzi dovessero seguire dinamiche fortemente rialziste. Shock particolarmente intensi potrebbero provocare danni attualmente non ponderabili.

Un elemento peculiare che l’AIE prospetta è la progressiva riduzione della reattività della domanda di petrolio alle variazioni dei prezzi internazionali del greggio. Le cause principali di questo fenomeno andrebbero ricercate anzitutto nel maggior peso percentuale che il settore dei trasporti da qui al 2030 assumerà nella domanda mondiale di petrolio: rispetto ad altri settori, infatti, il consumo di petrolio nei trasporti è poco sensibile alle variazioni di prezzo. In secondo luogo, i sussidi a favore dei consumatori di petrolio producono l’effetto indesiderato di attenuare la sensibilità della domanda ai mutamenti dei prezzi internazionali: ad oggi i sussidi destinati ai prodotti petroliferi nei soli paesi non OCSE ammontano alla cifra record di 90 miliardi di dollari annui. Il combinato disposto di questi fattori determina la possibilità di un aumento delle fluttuazioni dei prezzi internazionali del greggio e degli altri combustibili fossili, rispetto ad aggiustamenti di breve periodo della domanda e dell’offerta. Una improvvisa interruzione degli approvvigionamenti potrebbe, quindi, avere un impatto notevolmente amplificato sui prezzi internazionali delle materie prime.

L’effettiva capacità di soddisfare fisicamente e tecnicamente la domanda di energia globale è un punto particolarmente controverso. a sicurezza e la stessa possibilità dell’approvvigionamento energetico saranno garantite, infatti, solo a patto di assistere ad un nuovo e imponente ciclo di investimenti infrastrutturali a livello mondiale. L’«Outlook 2006» individua come necessario per fronteggiare i ritmi crescenti della domanda globale un investimento complessivo da qui al 2030 di oltre 20 mila miliardi di dollari (in dollari del 2005), superiore a quanto stanziato nell’intero settore energetico negli ultimi trent’anni. Circa il 68% del totale degli investimenti verrebbe assorbito dal settore elettrico nel suo complesso, mentre un quarto sarebbe destinato al settore petrolifero, principalmente per interventi di esplorazione e produzione.

Non solo le dimensioni dello sforzo finanziario globale, ma anche la ripartizione geografica degli investimenti costituiscono un elemento di preoccupazione: la sola Cina, ad esempio, sarà chiamata ad impiegare 3,7 mila miliardi di dollari, pari al 18% del totale mondiale, per fronteggiare le proprie necessità energetiche. Circa la metà degli investimenti necessari si concentreranno nei paesi emergenti e due terzi del totale nei paesi non OCSE.

Le decisioni di investimento che i paesi produttori di gas e petrolio sapranno e vorranno adottare saranno fondamentali: dal loro operato dipenderanno i costi e il volume delle importazioni verso i paesi consumatori. Allo stato attuale, si nutrono particolari dubbi, ad esempio, sulla possibilità che la Russia possa investire nel settore del gas le somme effettivamente necessarie non solo per iniziare le esportazioni verso i paesi asiatici, ma anche per garantire all’Europa i livelli attuali di importazioni.

Niente garantisce che il fabbisogno complessivo di investimenti sarà adeguatamente finanziato.

Supponendo scarsamente plausibile, per usare un eufemismo, un investimento pubblico diretto in infrastrutture energetiche di tale portata da parte dei paesi industrializzati e di quelli emergenti, diventa centrale la capacità di attrarre investitori privati e ingenti flussi finanziari, in particolar modo per i paesi asiatici. Stabilità politica e istituzionale, trasparenza del quadro delle regole, condizioni di mercato favorevoli, oltre che ovviamente l’apertura agli investimenti esteri, sono gli ingredienti fondamentali per avviare un ciclo di investimenti di lungo termine come quelli energetici.

I rischi di potenziali guasti ambientali dovuti alle dinamiche di consumo energetico sono altrettanto allarmanti. Il «WEO 2006» nello «scenario di riferimento», prospetta un incremento del 55% delle emissioni globali di anidride carbonica (CO2) dovute al consumo di energia. In valori assoluti l’aumento delle emissioni sarà di circa 14 miliardi di tonnellate, metà delle quali determinate dalla produzione di elettricità.

A partire dal 2010 i paesi emergenti, asiatici in particolare, diverranno i principali inquinatori a livello globale e nel 2030 saranno responsabili di più della metà delle emissioni complessive: nel 2010, infatti, la Cina strapperà agli Stati Uniti la maglia nera di principale produttore di emissioni a livello mondiale. Tra il 2004 e il 2030 l’Impero di mezzo sarà responsabile del 39% delle emissioni addizionali globali di CO2, raddoppiando i propri livelli attuali.

L’elevata crescita economica e la dipendenza dal carbone per la produzione di energia fanno sì che la Cina, l’India e gli altri paesi asiatici contribuiscano più di altri all’aumento delle emissioni globali. Già dal 2003 il carbone è diventato la principale fonte di emissioni di anidride carbonica. Questa situazione è destinata a consolidarsi: l’aumento medio di carbonio presente nei consumi energetici determinerà a livello planetario una crescita delle emissioni superiore alla domanda di energia, ribaltando così la tendenza registratasi negli ultimi 25 anni.

I paesi industrializzati non sono però esenti da colpe. Guardando ai dati pro capite il panorama cambia completamente: i paesi industrializzati, infatti, presenteranno al 2030 un livello di emissioni pro capite pari a tre volte il livello dei paesi non OCSE e oltre due volte la media mondiale. Le modalità di consumo energetico dei paesi OCSE rimangono indubbiamente le più dispendiose dal punto di vista ambientale. In questo scenario l’Unione europea è una sorta di isola felice.

L’Unione, infatti, presenta da qui al 2030 la più bassa crescita di emissione di CO2 a livello globale, con un tasso medio annuo dello 0,4%, pari alla metà di quello americano e a un settimo dei tassi dei paesi emergenti: nel 2030 il livello di emissioni pro capite dei cittadini europei sarà del 24% inferiore rispetto alla media OCSE.

Un elemento di speranza emerge fortunatamente nello «scenario alternativo» elaborato dall’AIE per «analizzare scenari e strategie per un futuro energetico pulito, intelligente e competitivo», secondo le indicazioni del G8 di Gleneagles del luglio 2005 e di San Pietroburgo del luglio 2006.

Il «WEO 2006» pone alla base delle proiezioni di questo secondo scenario l’ipotesi che siano effettivamente realizzate le politiche attualmente allo studio dei governi e volte al miglioramento della sicurezza energetica e alla riduzione delle emissioni. Le misure prese in considerazione dall’«Outlook» sono numerosissime, oltre 1.400, e differenziate per paesi e per settori. Tali misure perseguono ovviamente linee di intervento diverse, che spaziano dagli incentivi per un consumo e una produzione di energia più efficiente agli interventi sul settore dei trasporti, alla differenziazione del mix energetico a vantaggio delle fonti rinnovabili, passando attraverso opere infrastrutturali nazionali e internazionali per la sicurezza degli approvvigionamenti, una maggiore sensibilizzazione dei cittadini consumatori ai rischi energetici e ambientali, investimenti in nuove tecnologie per il miglioramento dei trasporti e dell’efficienza energetica. La ratio di fondo di tutte queste politiche è quella di ridurre il tasso di crescita della domanda di energia e limitarne drasticamente i danni ambientali. Il risultato chiave che l’esercizio compiuto dagli esperti dell’AIE raggiunge è la dimostrazione di come misure potenzialmente attuabili siano in grado di determinare nel medio-lungo termine un minor fabbisogno energetico, minor dipendenza, un più basso livello di investimenti ed emissioni inferiori.

Un’adeguata volontà politica che abbia il chiaro obiettivo di indirizzare il pianeta verso un percorso energetico sicuro e sostenibile potrebbe, attraverso decisioni rapide e incisive, modificare tendenze che oggi appaiono ineluttabili.

Nello «scenario alternativo» la domanda mondiale di energia primaria cresce infatti del 10% in meno di quanto previsto in assenza di interventi. Nello specifico si prevede che nel 2030 la domanda di petrolio toccherà quota 103 milioni di barili al giorno, oltre 13 milioni in meno rispetto allo «scenario di riferimento». Tale drastica riduzione è legata in particolare all’adozione di efficaci politiche dei trasporti, volte al ricambio del parco veicoli con mezzi più efficienti dal punto di vista energetico, e alla diffusione di biocombustibili, specialmente in Europa, Brasile e Stati Uniti. Nello stesso scenario la domanda mondiale di gas cresce del 13% in meno rispetto alle dinamiche odierne, le politiche energetiche «verdi ed efficienti» esplicano il loro maggior effetto sul fabbisogno di carbone, con una riduzione di oltre un quinto della domanda globale rispetto allo scenario base. Ad ogni modo, anche nello «scenario alternativo», i combustibili fossili rimangono la principale fonte di energia, con una quota del 77% della domanda globale. Le fonti rinnovabili, pur ricevendo un impulso fortissimo – crescono infatti di oltre cinque volte rispetto al 2005, il 26% in più rispetto allo scenario base – continuano a pesare solo per il 2% del fabbisogno energetico mondiale. Aumenta invece la quota di energia idroelettrica, di biomasse e soprattutto di nucleare, vero punto dolente di questo scenario. Nelle proiezioni dell’AIE si assume infatti che la produzione di energia nucleare aumenti di oltre il 40% rispetto ai livelli attuali, accantonando di fatto, oltre ai rischi di proliferazione nucleare e alle resistenze dell’opinione pubblica, le problematiche, tuttora esistenti, relative alla sicurezza delle centrali e all’eliminazione delle scorie radioattive.

La riduzione della dipendenza dalle importazioni dei paesi asiatici emergenti e dei paesi dell’area OCSE è la seconda conseguenza dell’adozione di politiche innovative. Per quanto riguarda il petrolio, sebbene questi paesi nel loro complesso divengano progressivamente più dipendenti dai paesi esportatori, il tasso a cui questo avviene è decisamente inferiore rispetto allo scenario base. In particolare, per i paesi OCSE si prospetta una crescita delle importazioni petrolifere solo fino al 2015 e un successivo declino. Il trend delle importazioni di gas prevede invece un andamento crescente – anche se nettamente inferiore rispetto allo scenario base – in tutti i paesi, con la sola e importante eccezione della Cina, soprattutto a causa del progressivo abbandono del carbone e della conseguente riconversione della propria filiera energetica.

Gli investimenti costituiscono un punto centrale dello «scenario alternativo». L’AIE, infatti, prevede che il fabbisogno finanziario globale per l’intera filiera energetica, invece di aumentare, si riduca di 560 miliardi di dollari rispetto ai 20 mila miliardi prospettati nello scenario base.

L’attuazione delle nuove politiche comporterebbe un diverso mix di investimenti: 2,4 mila miliardi di dollari in più per la realizzazione di edifici a basso impatto energetico, per l’introduzione di apparecchiature elettriche più efficienti e per una riqualificazione dei consumi finali di energia, a fronte del risparmio di 3 mila miliardi di investimenti dal lato dell’offerta. Inoltre gli ingenti investimenti necessari per ottenere un risparmio nell’uso dei combustibili sarebbero più che bilanciati dal valore dei risparmi stessi, pari a circa 8 mila miliardi di dollari. Si stima che ogni dollaro investito in apparecchiature elettriche ed edifici più efficienti possa determinare un risparmio di investimenti nel settore elettrico di 2 dollari: questo rapporto è ancora più elevato nei paesi emergenti e in transizione.

Ovviamente, vista la distribuzione pro capite dei consumi energetici, circa due terzi del fabbisogno finanziario necessario per rendere la domanda di energia «più efficiente» saranno a carico dei consumatori dei paesi OCSE. Il dato eclatante è che i costi di investimento iniziali, dovuti all’adozione di nuove politiche, risulteranno ampiamente ripagati dai risparmi energetici: in un certo senso i provvedimenti innovativi si autofinanziano.

Le politiche innovative dispiegano il loro maggiore effetto nella limitazione dei danni ambientali. Al 2030 infatti le emissioni di anidride carbonica presentano una riduzione del 16% a livello globale rispetto allo scenario base, pari a 6,3 miliardi di tonnellate di CO2 in meno immesse nell’aria. Mentre i paesi emergenti aumenteranno le proprie emissioni lungo tutto il periodo 2004–2030, anche se ad un tasso di crescita inferiore al caso di base, i paesi OCSE e quelli in transizione osserveranno una stabilizzazione delle emissioni e una loro successiva riduzione entro il 2030. In particolare si prevede che l’Unione europea, assieme al Giappone, raggiunga un livello di emissioni addirittura più basso di quello attuale.

La riduzione globale delle emissioni è determinata dal contributo di molteplici fattori. Secondo le stime dell’AIE, l’introduzione di veicoli più efficienti e un uso più attento dei combustibili potrà contare per circa il 35% della riduzione complessiva; la trasformazione dei sistemi produttivi per un altro 13%; la razionalizzazione dell’uso dell’energia elettrica nelle applicazioni della vita quotidiana (elettrodomestici, condizionatori ecc.) per il 30%; l’impiego di biocombustibili e di fonti rinnovabili per un 12% e il nucleare per il restante 10%.

Un quinto della riduzione delle emissioni sarà determinato dalla sostituzione dei combustibili classici con forme di energia a basse emissioni, mentre il restante 80% sarà invece dovuto ad un consumo e una produzione più efficiente dell’energia. La divergenza delle traiettorie, che le due proiezioni del «WEO 2006» individuano, è lampante e induce una seria riflessione sulle sfide e le scelte energetiche e ambientali che governi e parlamenti hanno di fronte.

Il confronto tra i due scenari dell’AIE mette in evidenza l’urgente necessità di iniziative politiche a livello nazionale e internazionale capaci di coinvolgere in uno sforzo collettivo sia il settore privato sia l’opinione pubblica. Inazioni o ritardi in questo senso non faranno altro che accrescere i rischi connessi alla sicurezza energetica e all’aumento della temperature dovute al cambiamento climatico, con enormi costi potenziali per l’economia e per l’ambiente a livello globale. L’obiettivo ambizioso che qualsiasi iniziativa dovrebbe porsi è quello di arrestare le emissioni globali, come il protocollo di Kyoto già prevede, e di allentare il giogo della dipendenza dai combustibili fossili, non semplicemente di limitarsi a ridurne la crescita.

Fondamentale, in questo senso, appare il coinvolgimento pieno dei principali attori del presente e del futuro: Stati Uniti, Cina e India in primo luogo. Qualsiasi politica innovativa, per quanto efficace, che non li vedesse protagonisti sarebbe necessariamente destinata a fallire.

Lo sforzo richiesto dal punto finanziario, tecnologico, industriale, oltre che politico e sociale è indubbiamente enorme, e tale da giustificare l’enfasi che la Commissione europea pone sulla necessità di una «nuova rivoluzione industriale» che parta dall’energia. Ma mai come in questo caso il rischio è di rimanere al buio e al freddo, oppure fiaccati da un caldo eccessivo.