Università e ricerca: dove stiamo andando?

Di Roberto Battiston Venerdì 29 Febbraio 2008 14:58 Stampa
Sono passati meno di due anni dalle discussioni del programma dell’Unione, meno di diciotto mesi da quando il secondo governo Prodi ha iniziato a operare. Ammettiamolo: dopo cinque anni di governo della destra, ci aspettavamo molto, forse troppo, forse troppo in fretta, dal governo dell’Unione. E come poteva essere altrimenti? Eravamo sopravvissuti ad anni di blocco quasi sistematico delle assunzioni, all’occupazione degli enti di ricerca tramite commissariamenti e riforme fotocopia, ad una sistematica riduzione della spesa per la ricerca e l’università. I nostri giovani migliori andavano all’estero mentre a fare ricerca in Italia non veniva nessuno, neanche con gli incentivi a tornare.

Non ci illudevamo che fosse facile rimettere mano al sistema, ma eravamo convinti che saremmo stati capaci di fare meglio del governo di centrodestra. A dire il vero la situazione di partenza sembrava interessante. Il ministero era stato spacchettato, con università e ricerca separate dall’istruzione, atto che esprimeva l’attenzione del governo nei confronti di un settore che richiedeva di essere rilanciato. Era stato nominato un ministro, Fabio Mussi, figura politicamente rilevante, con una lunga esperienza parlamentare, ma allo stesso tempo con una base culturale che lo legava alla Scuola Normale e quindi all’apprezzamento di merito e talenti. Il gabinetto ministeriale vedeva schierata una squadra di tutto rispetto, con due sottosegretari importanti quali un superesperto di università come Modica e un uomo di cultura come Dalla Chiesa. C’erano inoltre persone come Falcone, che aveva giocato un ruolo importante nell’Osservatorio della ricerca durante gli anni difficili, De Julio, ex presidente ASI con grande esperienza nel settore spaziale, Rapallini proveniente da una lunga militanza nel settore di università e ricerca in Toscana, oltre a molti altri. Infine, la maggioranza disponeva di parlamentari come Tocci, Bimbi, Ranieri e altri, con grande esperienza nel settore dell’università e della ricerca e che potevano dare utilissimi contributi durante le varie fasi dell’attività legislativa.

Con questi presupposti, c’erano davvero da aspettarsi dei risultati importanti. La sfida, sembrava a molti, poteva essere raccolta. Le parole erano state dette, il programma era stato scritto, le elezioni erano state vinte, anche se di misura, e a questo punto si poteva passare ai fatti. Il percorso democratico era arrivato ad identificare coloro che avevano l’onore e l’onere della decisione e dell’azione.

Che cosa è successo da allora? Dove stiamo andando oggi? I bilanci sono sempre difficili e tendono ad essere ingenerosi, ma sono utili per riflettere sul lavoro fatto e su quello che resta da fare. E probabilmente è giunto il momento di farli, perché non siamo ancora arrivati a metà legislatura e molto ancora si può e si deve fare.

Se c’è un problema difficile da affrontare in Italia, è quello dell’università. Al punto da sospettare che il tentativo di normare centralmente un’istituzione così profondamente, genuinamente, storicamente gelosa della propria autonomia, sia un problema mal posto e che la risposta al problema passi attraverso uno scossone in cui l’autonomia sia realizzata davvero e il ruolo del ministero diventi molto più leggero. Ma fino a quando il finanziamento governativo coprirà il 90-95% di un tipico bilancio universitario, il MIUR continuerà a doversi occupare in modo centralizzato di un sistema universitario in cui nel giro di un paio di generazioni i numeri di docenti e studenti si sono moltiplicati, mentre governance e mentalità sono rimaste sostanzialmente quelle di venti o trenta anni fa. E in cui, semplificando al massimo, la principale richiesta della CRUI al MIUR, richiesta ogni anno evasa solo in parte, è quella di garantire un adeguato finanziamento al sistema universitario. Detto ciò, il bilancio di questo periodo lascia perlomeno perplessi. Abbiamo assistito ad un numero inusitato di iniziative del MIUR relative all’università che sono state attivate e poi sospese, ritirate o modificate in modo sostanziale. E questo su temi importanti come la valutazione, il reclutamento, il finanziamento della ricerca. È utile ricordare brevemente di cosa stiamo parlando.

Durante il primo anno di governo l’atto più importante del MIUR dal punto di vista legislativo è forse stato il varo dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR). Da tempo si sapeva che il sistema della formazione e della ricerca era un sistema senza retroazione, in cui si investivano risorse ma non si verificavano mai i risultati. Sotto il governo Amato aveva iniziato ad operare, a partire dal 2001, il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR), che, potenziato in termini di risorse dal ministro Moratti, aveva fornito nel 2004 il primo risultato della valutazione del periodo 2001-03. Il lavoro del CIVR, sicuramente perfettibile, ha rappresentato un passo in avanti significativo nel campo della valutazione del sistema. Il meccanismo è costoso, impegnativo, burocratico, ma grazie al CIVR alcuni punti di forza e di debolezza del sistema dell’università e degli enti pubblici di ricerca sono stati messi in evidenza per la prima volta con un metodo basato su criteri oggettivi. La creazione dell’ANVUR ha voluto rappresentare un passo ulteriore in questa direzione. Un progetto ambizioso, forse troppo, che prevedeva la creazione di una struttura dotata di un organico e di poteri talmente rilevanti da rendere quasi secondario il ruolo del MIUR su alcuni temi importanti come le strategie di sviluppo del sistema di formazione e ricerca. Di questo si può discutere, ma quello che impressiona negativamente è il fatto che non siano stati valutati tempestivamente i tempi (lunghi) richiesti per la creazione dell’ANVUR e la conseguente necessità di non sospendere l’attività del CIVR (e del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario). Al punto che, non più tardi di un paio di mesi fa, il MIUR ha dovuto riattivare il CIVR per poter effettuare la valutazione del periodo 2004-06 con le modalità e le procedure usate in precedenza, mentre la normativa dell’ANVUR continua la sua lenta navigazione attraverso le aule e le commissioni parlamentari. Un altro intervento rilevante del MIUR era stato quello sulle nuove modalità per l’assunzione di ricercatori universitari. Si trattava di una proposta con numerosi elementi innovativi, ma che durante i passaggi nei vari organi di controllo ha subito modifiche significative, nell’ambito di discussioni che hanno contribuito a rallentarne il percorso, proprio mentre l’esistenza di risorse previste dalla precedente finanziaria per le stabilizzazioni di una parte del personale precario rendeva invece necessario e urgente un meccanismo di reclutamento pienamente operativo. Insistere nell’impiego di nuove norme non ancora esistenti sarebbe solo servito ad allungare ulteriormente il più lungo periodo di blocco delle assunzioni di ricercatori universitari mai esistito dall’istituzione di questo ruolo. Anche in questo caso, l’esigenza di fare fronte a un’emergenza ha spinto di recente il MIUR a decretare che, fino a nuovo ordine, i concorsi di ricercatore universitario siano svolti con le vecchie regole. Per quanto riguarda il finanziamento della ricerca, solo nel corso della primavera 2007 ci si è accorti che le risorse del Fondo interno per la ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) cadevano sotto la mannaia degli accantonamenti, meccanismo inventato da Padoa Schioppa per tenere sotto controllo la spesa pubblica. Nonostante questa incertezza, il ministro ha firmato agli inizi dell’estate una bozza di bando PRIN che conteneva significative aperture alla partecipazione del personale degli enti pubblici di ricerca e ai giovani, anche se con contratti a tempo determinato. Per tutta l’estate si sono rincorse notizie relativamente ad ipotetiche scadenze del bando PRIN fino a che, a settembre, il bando è uscito, sostanzialmente con le vecchie regole, limitando in modo significativo il ruolo dei giovani e dei ricercatori degli enti pubblici di ricerca. Fortunatamente la dotazione finanziaria di questo bando è aumentata in modo significativo, ma a causa dei ritardi accumulati il 2007 sarà ricordato come l’anno in cui, per la prima volta dall’istituzione del meccanismo di finanziamento per grandi progetti nazionali, si sia saltato un turno nel finanziamento pubblico alla ricerca universitaria. Un primato di cui non si può certo andare fieri.

Sempre parlando di ritardi, a novembre il bilancio degli enti pubblici di ricerca per il 2007 non risulta ancora ufficialmente assegnato. Sembra accertato che ci sarà un aumento complessivo del fondo per la ricerca, come di fatto era previsto nella finanziaria 2007, ma il fatto di ricevere questa comunicazione così tardi renderà sostanzialmente impossibile l’impiego di queste risorse nel corso del 2007, con il conseguente spostamento all’anno prossimo. Si tratta di un modo nuovo ma efficace per ridurre i fondi disponibili per la ricerca, nonostante il governo fosse riuscito a renderli disponibili all’interno di una finanziaria particolarmente difficile e dichiaratamente dedicata al risparmio e al risanamento. Questi sono solo alcuni degli esempi di un pattern ben più sistematico, basti pensare a quello che è successo alla legge sul riordino degli enti pubblici di ricerca, che per tre volte è stata discussa in aula fino a giungere ad un testo completamente stravolto rispetto alla proposta iniziale del MIUR.

Quali sono i motivi che portano a questi movimenti apparentemente erratici? Forse non è estraneo a questo il fatto, non noto a tutti, che a quasi due anni dalla separazione dal ministero dell’istruzione pubblica, il MIUR non abbia ancora un regolamento di funzionamento che definisca le modalità operative, il numero dei dirigenti, il numero delle direzioni generali e così via. È quindi prioritario definire il quadro di riferimento di ruoli e funzioni all’interno del ministero per poterne assicurare il corretto ed efficace funzionamento.

Molte decisioni e azioni importanti attendono infatti il MIUR. Nella discussione della finanziaria occorre presidiare le parti che riguardano l’università e il sistema della ricerca. Il percorso a ostacoli delle stabilizzazioni deve essere portato a compimento senza esitazioni e slabbrature. Il periodo di tempo in cui, in base alla legge recentemente approvata, si potrà mettere mano al riordino degli enti pubblici di ricerca riformati dal precedente governo è iniziato. A gennaio dovranno essere definite le nuove linee strategiche nazionali della ricerca. Come giustamente osservava Walter Tocci in un suo lucido e allarmante articolo apparso sulle pagine di questa rivista,1 nonostante tutte le difficoltà il timone è ancora nelle nostre mani, e si può e si deve fare tutto il possibile per non sprecare questa occasione.

[1] W. Tocci, Un anno di governo per ricerca e università, in «Italianieuropei», 4/2007.