Il significato politico delle elezioni europee 2009

Di Paolo Natale Giovedì 02 Luglio 2009 17:41 Stampa

Per comprendere il reale significato che i risultati delle elezioni europee del 6-7 giugno rivestono nella recente storia elettorale italiana è necessario considerare tre aspetti della dinamica del voto che insieme hanno contribuito a determinarne il responso: il carattere di questo particolare tipo di competizione e le regole che lo disciplinano, la risposta degli elettori e, infine, i cambiamenti nei principali flussi di voto rispetto alle politiche del 2008.

Tutto secondo le aspettative, in questo turno europeo. O quasi. C’è stata un’unica sorpresa, anzi una sorpresa e mezza. La sorpresa piena, che ha stupito probabilmente più di un analista, è stata l’arretramento consistente – e inaspettato in queste proporzioni – del partito del presidente del Consiglio. La mezza sorpresa è stata invece il livello di astensionismo un po’ più elevato del previsto, di circa due o tre punti oltre quanto era stato da più parti ipotizzato. E, come vedremo, queste due sorprese sono tra loro significativamente collegate, nel senso che la seconda (l’astensionismo aggiuntivo) ha favorito la prima (la diminuzione dei consensi per il PDL).

Per il resto, gli italiani si sono comportati in modo molto simile a quanto ci si aspettasse: come previsto, in molti hanno bocciato il PD, premiando l’Italia dei Valori e, in parte, i radicali; la Lega ha fatto il pieno del suo elettorato, pescando un po’ anche in quello dei compagni di governo; i due partiti di sinistra hanno pagato il pegno della novella diaspora, fallendo una grossa occasione per rientrare in Parlamento (europeo); l’UDC di Casini ha sostanzialmente mantenuto i suoi precedenti elettori; infine, l’inedita alleanza tra il Movimento per le Autonomie di Lombardo, la Destra di Storace e i pensionati ha probabilmente prodotto, tra i loro sostenitori originari, più incomprensione che altro.

Quale significato allora possiamo attribuire ai risultati delle elezioni europee del 2009, all’interno della recente storia elettorale italiana? Per rispondere a questa domanda è necessario tenere conto di tre aspetti della dinamica elettorale che insieme con corrono a formare il risultato, e cioè: le regole del sistema elettorale e il carattere della competizione, la risposta degli elettori e, infine, i principali flussi di voto, rispetto alle politiche dello scorso anno.

 

Gli aspetti istituzionali delle elezioni europee

Il contesto istituzionale delle elezioni europee presenta due tratti decisivi verso i quali vale la pena di porre l’attenzione: da una parte la modalità di voto, di tipo proporzionale (quasi) puro, con le connesse modeste conseguenze nella formazione del governo; dall’altra la percezione di scarsa decisività o salienza della consultazione stessa.

Come si sa, questo tipo di consultazione si svolge sulla base di un sistema proporzionale, con una soglia di sbarramento al 4% inserita proprio in occasione di questa tornata elettorale. Sotto questo profilo, essa presenta caratteristiche simili al voto di lista delle contemporanee elezioni comunali e provinciali. Se ne differenzia, tuttavia, alla stessa stregua dell’attuale sistema di voto per le politiche (il cosiddetto “porcellum”), oltre che per la reale decisività della scelta di voto, anche per un altro aspetto importante: la “percezione” da parte degli elettori della possibile decisività.

Al contrario delle amministrative e delle politiche, nelle elezioni europee agli elettori è consentito – rispetto alle prime – esprimere esclusivamente un voto di lista, e non anche un voto per il candidato al governo locale. Rispetto alle seconde, il risultato del voto non permetterà comunque ad alcun partito o coalizione di partiti di conquistare la maggioranza di governo. Queste fondamentali differenze fanno sì che l’elettore viva le elezioni europee come una sorta di voto “in libera uscita”, che si senta libero quindi di sperimentare maggiormente scelte episodiche, meno coinvolgenti (al limite del non-voto), sapendo che le conseguenze di queste scelte non potranno risultare essenziali nella formazione delle future maggioranze.

Da questo punto di vista, il contesto istituzionale di tipo proporzionale delle europee produce alcuni effetti. Come accade in ogni sistema elettorale proporzionale classico, non viene impedita una tendenza ad una forte frammentazione, sia dal lato dell’offerta politica sia dal lato della risposta. Accade sovente, quindi, che si registri da una parte una importante defezione nella partecipazione (tipica di contesti a bassa salienza), dall’altra una impennata delle scelte di voto a favore delle cosiddette terze forze.

Anche in questa occasione, in Italia ma soprattutto negli altri paesi dell’Unione europea, è accaduto qualcosa di simile: sono infatti risultati nettamente privilegiati, da chi si è recato alle urne, i partiti solitamente poco gettonati nelle consultazioni politiche: quelli anti-sistema, quelli di stampo xenofobo, quelli ecologisti, quelli più radicali, quelli antigovernativi, quelli antieuropeisti.

Cambiando significativamente gli stimoli di voto, i cittadini più motivati si identificano dunque con quelli più interessati ad esprimere una scelta di voice, che sottolinea la propria alterità rispetto al sistema dei partiti o al sistema tout court. Ecco dunque una delle principali ragioni per cui analizzare i risultati elettorali delle europee confrontandoli con quelli delle consultazioni legislative appare, soprattutto nei paesi dove l’astensionismo è stato particolarmente elevato, un esercizio di scarsa rilevanza per comprendere come e dove si stiano muovendo le affiliazioni politiche dei cittadini.

Considerando questo dato di fondo si comprendono allora meglio le scelte dei cittadini italiani, i quali pure hanno optato in maggior misura per le cosiddette terze forze, evitando di recarsi alle urne o, in caso di partecipazione, privilegiando i partiti intermedi.

All’interno di questo processo generale è peraltro interessante sottolineare come anche la frammentazione tipica del voto europeo conosca in Italia un andamento declinante (con la medesima logica del voto politico), sia dalla parte dell’offerta che, come vedremo, da parte delle risposte degli elettori.

Innanzitutto, il numero di liste che si sono presentate ha subito una netta diminuzione rispetto al trend storico: il 6-7 giugno scorso gli elettori italiani hanno dovuto scegliere tra un numero di partiti, per ogni circoscrizione, compreso tra 11 e 15 (nel Nord- Ovest), con un sensibile ridimensionamento rispetto agli ultimi appuntamenti europei, dove si presentavano mediamente tra 20 e 25 simboli. Anche la risposta degli elettori appare congruente con questo dato: pur con un indice di frammentazione più elevato rispetto alle legislative del 2008, si registra una sua significativa riduzione nel trend storico delle consultazioni dello stesso ordine, con valori che ci riportano (come ben si nota dalla Tabella 1) alla situazione di venti-trenta anni fa, al periodo della forte polarizzazione DC-PCI degli anni Ottanta del XX secolo. Il picco massimo di questo indice è stato nel 1999, quando, si ricorderà, vennero privilegiate alcune formazioni nascenti e liste collegate a personaggi rilevanti (come fu il caso dei Democratici di Prodi e della Lista Bonino, che beneficiava di una persistente campagna “presidenziale”). Da allora si è assistito ad una progressiva riduzione del numero di liste e della frammentazione del voto degli italiani.

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Offrendo poi l’opzione del solo voto di lista, le elezioni europee restringono le possibilità per le forze politiche di competere efficacemente sulla base delle personalità dei leader e sottraggono agli elettori l’opzione di “non” scegliere la lista optando per il solo candidato-leader, come nel caso delle contemporanee consultazioni per il rinnovo dei sindaci. È vero che alcune forze politiche hanno cercato ancora una volta di aggirare questo ostacolo candidando in ogni circoscrizione il loro principale leader. Ma si tratta di un surrogato che non risolve il problema di quegli elettori che, per tante ragioni, non sono disposti a cambiare il proprio voto di lista (non sono cioè disposti a tracciare una croce sul simbolo di una forza politica sentita ancora distante), e che tuttavia sarebbero inclini a votare per un candidato anche del fronte avverso.

Un tipo di elettore, questo, che è cresciuto di numero negli ultimi anni e che, come dimostrano molti risultati, ha consentito ai candidati di vincere pur partendo da posizioni di svantaggio sulla base del solo voto di lista.

 

La risposta degli elettori

Come spesso accade in elezioni di cosiddetto “second’ordine”, dove non sono in gioco i destini del paese, la loro implicita scarsa rilevanza, dal punto di vista degli elettori, li invita all’astensione. L’elevato astensionismo ha sfavorito principalmente i due maggiori schieramenti, PDL e PD, avvantaggiando i cosiddetti partiti “intermedi”, come la Lega da una parte, l’UDC di Casini e l’Italia dei Valori di Di Pietro dall’altra; questi ultimi, essendo più piccoli, hanno elettori mediamente più coinvolti rispetto ai vasti partiti di massa.

Solitamente, a scrutini avvenuti, nessun partito tende a dichiararsi sconfitto o ridimensionato dal responso delle urne. Anche nel caso delle ultime elezioni europee ci sono state poche eccezioni: nei commenti a caldo alcuni hanno preso come riferimento “ideale” dei risultati il dato relativo all’appuntamento elettorale dove erano andati peggio, per mostrare la propria performance positiva; altri hanno rivendicato un successo di area, laddove il proprio partito appare oggi in indubitabile regresso; altri ancora, forse più coerentemente, hanno confrontato il risultato con le aspettative della vigilia.

Per capire meglio quali siano le corrette chiavi di lettura del voto europeo del 6-7 giugno, in particolare per i più importanti partiti in competizione, è allora opportuno richiamare brevemente quali fossero queste aspettative, anche basandosi su dati di sondaggio previsionale. Perché il confronto non viene effettuato sulla base dei risultati delle scorse politiche, o europee, ma su ciò che le rilevazioni demoscopiche ci hanno raccontato del periodo successivo a quelle consultazioni. Che il PD non avrebbe ripetuto la performance del 2008 era cosa nota; il suo calo di consensi era già ratificato dalla maggior parte dei commentatori e degli stessi uomini politici. Che la Lega stesse veleggiando ben oltre il suo precedente 8% era un dato ampiamente sottolineato da molti dei sondaggi effettuati nell’ultimo anno.

Il confronto con le attese della vigilia consente di comprendere meglio il reale andamento delle consultazioni europee, come ben ci ha dimostrato la situazione creatasi soltanto tre anni fa: allora, come tutti ricordiamo, l’Unione di Prodi vinse di qualche migliaio di voti sulla coalizione di Berlusconi; un risultato per certi versi trionfale, considerando che nelle precedenti politiche il centrodestra, al proporzionale, aveva superato la parte avversa con almeno otto punti di scarto.

Se si fossero paragonati solamente i due risultati “ufficiali”, noi tutti avremmo parlato di un successo incredibile di Prodi, di un recupero quasi impossibile in un’Italia elettorale così tendenzialmente fedele. Eppure, i commenti del giorno dopo sottolineavano unicamente la grande rimonta finale di Berlusconi, trasformando insomma quello straordinario recupero di otto punti in una sorta di quasi sconfitta. “Attenti al sondaggio!”, dunque, come argomentato in un piccolo pamphlet appena uscito in libreria.

Tra le forze di governo, il PDL avrebbe potuto dichiararsi soddisfatto superando la fatidica soglia del 40%, mentre il suo risultato non poteva che venir giudicato non positivo se fosse restato sotto il 37-38% dei consensi espressi. L’esito finale, di poco superiore al 35%, deve essere quindi considerato modesto. Per la Lega l’asticella vittoriosa era posta al 10%, laddove un risultato simile alle scorse politiche, sotto il 9%, non sarebbe stato positivo. L’avvenuto superamento di quella soglia è quindi da considerarsi molto buono. Ingiudicabile viceversa il Movimento per le Autonomie di Lombardo che, alleandosi in questa occasione con la Destra di Storace, non ha permesso confronti puntuali, nonostante la buona performance della lista in Sicilia.

Tra le forze di opposizione, il PD poteva essere contento se fosse riuscito ad ottenere almeno il 27-28% dei consensi, mentre un risultato al di sotto del 26 avrebbe rappresentato l’ultima prova di una possibile forte crisi interna. La sua performance (poco sopra il 26%) va quindi considerata accettabile per la sua futura sopravvivenza nell’assetto politico. L’Italia dei Valori, partito che aveva ottenuto quasi il 5% lo scorso anno, non poteva che migliorare di almeno un paio di punti per dichiararsi vincitore, capitalizzando la decisa politica antiberlusconiana, viste soprattutto le percentuali che gli venivano accreditate da molti mesi a questa parte. Il suo 8% è dunque decisamente positivo. L’UDC di Casini era in una situazione simile al partito di Di Pietro, benché i sondaggi pre elettorali non fossero nel tempo altrettanto positivi: ma soltanto superando il 7% poteva dichiararsi più che soddisfatto. Il risultato ottenuto, pur con un incremento di circa un punto rispetto alle politiche, appare dunque buono ma non certo utile per permettergli di divenire una forza essenziale, correndo solitaria, negli assetti futuri dello scacchiere politico.

Tra gli attuali partiti “extraparlamentari”, i due di sinistra (i comunisti uniti da una parte e la nuova formazione capitanata da Vendola dall’altra) sarebbero stati ovviamente molto felici oltrepassando la difficile soglia di sbarramento del 4%, ma avrebbero potuto anche accontentarsi, visto il risultato del 2008, di restare entrambi tra il 3 e il 4%: sarebbe stato, e lo è effettivamente visto il risultato, un positivo segnale di sopravvivenza di una quota significativa di elettori che, trovando in futuro una forza unitaria, potrebbero forse riconquistare un posto di rilievo nella politica italiana.

Al di là dei successi e insuccessi dei singoli partiti, occorre però anche interpretare i risultati di queste elezioni in termini prospettici, valutando cosa sia cambiato a livello generale nel nuovo scenario politico che abbiamo oggi di fronte. Da questo punto di vista, quattro sono gli elementi che meglio descrivono il “nuovo corso”. Si è sopra accennato all’incremento della frammentazione del voto tipica di ogni occasione elettorale europea. Come se, avendone la possibilità (oltre che la sicurezza di non produrre effetti indesiderati), gli elettori riscoprissero un’antica usanza, quella di votare per il partito o la lista strategicamente inutile ma più simile al proprio pensiero, al proprio ambito di riferimento. In questo frangente, seguendo un trend registratosi in occasione delle politiche dello scorso anno, gli italiani hanno sì fatto diminuire i propri consensi per i due partiti maggiori (PDL e PD) privilegiando però non tanto i partiti o le liste “minori”, come accadeva nel passato, ma quelle intermedie, come Lega, IDV e UDC. Sono dunque sempre le liste minori, ma tra quelle presenti in Parlamento, i reali vincitori delle ultime elezioni europee, passando dal 18% circa dei consensi dello scorso anno all’attuale 25% dei voti validi espressi. Di converso PD e PDL hanno perduto un 10% circa dei loro precedenti consensi.

Inoltre, rispetto alle ultime politiche, il vantaggio dei partiti facenti parte della coalizione di centrodestra in questa consultazione è lievemente diminuito, nei confronti delle opposizioni, passando incluso anche il Movimento di Lombardo, dal 48% circa dei consensi al 46%; un segnale in lieve controtendenza rispetto a quanto registrato nei precedenti mesi, quando i partiti di governo facevano rilevare consensi virtuali molto più elevati; la scarsa affluenza alle urne (almeno di quindici punti inferiore rispetto alle politiche dello scorso anno) induce però ad una comparazione non sufficientemente attendibile.

A ciò si aggiunga che la situazione all’interno delle coalizioni si è significativamente modificata, rispetto al recente passato: nel centrosinistra il peso odierno del PD è pari al 71% sul totale, mentre nel 2008 il partito pesava per oltre l’88% del totale della mini-coalizione. Tendenza simile, anche se meno eclatante, nell’area di centrodestra, dove il peso specifico del PDL passa dall’81% circa all’attuale 76%.

Infine, continua anche in questa occasione il predominio del “blocco” dei partiti di centrodestra (in cui è compreso anche l’UDC, per un confronto puntuale con gli anni passati). Le ultime europee hanno fatto registrare una sostanziale conferma nel distacco tra la somma dei partiti appartenenti ai due blocchi: come ben si evidenzia nella Tabella 2, dal 1994 ad oggi il risultato ha sempre visto prevalere l’elettorato che si riconosceva nell’area di centrodestra, con un margine che, con la parziale eccezione del 2006, ruota intorno al 10% dei consensi espressi. Mentre nel maggioritario la situazione, come noto, aveva spesso favorito l’area di centrosinistra, il risultato delle votazioni proporzionali ha costantemente privilegiato l’area avversaria.

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La “fedeltà leggera” alla prova delle europee

Ormai da qualche anno il concetto di “fedeltà leggera” è divenuto un patrimonio interpretativo particolarmente efficace per leggere i risultati elettorali: esso si basa sul fatto che, nonostante il credo politico non sia (più) così fondamentale, per il cittadino- elettore, nella formazione della propria personalità, permanga comunque una forte fedeltà di voto, legata non già al partito quanto alla coalizione di riferimento. Tanto che appare difficile tradirla, optando per il polo opposto: si preferisce astenersi, o votare una terza forza; e si riesce a “passare” temporaneamente all’avversario soltanto nel caso di elezioni comunali o provinciali, quando è l’appeal del candidato a contare maggiormente.

Come si è detto, le elezioni europee vengono a volte rappresentate come una via di mezzo tra le politiche e le amministrative: l’idea di fondo è che queste costituiscano una sorta di voto in libera uscita, che non ha dirette conseguenze sullo scenario nazionale, non implicando mutamenti sostanziali nella guida del paese. Ma al tempo stesso sono interpretate di fatto dall’elettore come elezioni “politiche”, dove si ha la possibilità di dare indicazioni pregnanti, in grado di modificare gli equilibri tra le forze in campo.

L’analisi dei flussi elettorali, presentata nella Tabella 3 e basata su oltre 7.000 interviste pre e post voto, ci permette, tra l’altro, di comprendere se anche in questa occasione si è assistito ad una sostanziale fedeltà (all’interno dei poli) o se le cose siano sensibilmente mutate. Vediamo allora brevemente i principali flussi.

PDL La perdita di quasi 3 milioni di elettori ha alimentato l’astensione (per oltre 2 milioni di italiani), oltre a fornire voti alla Lega (circa 400 mila elettori) e all’UDC (altri 200 mila elettori).

PD Anche in questo caso, la principale scelta dei defezionisti è stata l’astensione (per circa 2 milioni e mezzo di elettori), seguita da quella per l’Italia dei Valori (dove sono confluiti altri 700 mila ex votanti del PD) e, infine, dal rientro nelle fila della sinistra radicale (altri 350 mila elettori).

Lega Nord Non ha guadagnato molto in valore assoluto, circa 100 mila elettori. Accanto ad un’altissima fedeltà di voto per il partito di Bossi e Maroni, che ha rasentato il 90% rispetto alle precedenti politiche, nuova linfa è giunta dal PDL e, caso unico insieme a quello di Di Pietro, da un significativo ritorno al voto di astensionisti dello scorso anno (circa 250 mila elettori).

IDV L’unico vero vincitore delle ultime elezioni, l’Italia dei Valori, ha incrementato di quasi un milione di unità il proprio precedente elettorato, grazie ad una buona fedeltà, sebbene non eccelsa, ai contributi degli ex elettori del PD e al ritorno al voto di circa 300 mila precedenti astensionisti.

UDC Sostanziale tenuta del partito di Casini, che ha ricevuto un numero di consensi solo di poco inferiore a quelli del 2008, grazie ad una buona fedeltà e all’ingresso, specie nel Sud e soprattutto in Sicilia, di una quota significativa di precedenti elettori del PDL.

Sinistra radicale Un incremento di circa 200 mila elettori, provenienti dai molti rivoli della diaspora comunista delle politiche, oggi rientrati “a casa”, e da una quota di passaggi dal PD.

La Destra e MPA Una sconfitta a tutto campo, complice probabilmente il consueto errore del rimescolamento dei simboli, che priva anche i pensionati di un riconoscimento solitamente molto più elevato.

Radicali Il partito di Marco Pannella ed Emma Bonino ha potuto giovarsi della scelta di una quota significativa di elettori del PD, accanto a quelle provenienti un po’ da tutte le parti del panorama politico.

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In generale, come si nota dalla Tabella 3, pare riconfermata la difficoltà degli elettori italiani al tradimento della propria area politica di riferimento. Molto pronunciata al contrario, come accade ormai da qualche anno, la fluidità all’interno della medesima area politica. In questa occasione, nel centrodestra i flussi maggiori in uscita riguardano il passaggio da PDL a Lega; tra l’opposizione di centrosinistra quello da PD a IDV.

Ci si era chiesti inizialmente il significato che i risultati delle elezioni europee del 2009 rivestono nella recente storia elettorale italiana. Abbiamo cercato di rispondere in maniera analitica, evidenziando quali siano le novità e quali invece le continuità rispetto al passato. La risposta forse più sinteticamente corretta è che l’ultimo appuntamento elettorale potrebbe venir giudicato come una potenziale conferma dell’attuale appeal dei partiti di governo, dove la Lega potrebbe avere un peso più rilevante nel prossimo futuro. Nello schieramento di opposizione, a fronte della sostanziale incapacità dell’UDC di Casini di risultare significativo nello scacchiere politico attuale, si attenderà una reale svolta nei futuri assetti del PD, se questo partito vuole tornare ad essere una scelta credibile per gli elettori italiani.