Promozione delle fonti rinnovabili di energia, ricerca e politiche industriali

Di Fabio Gobbo e Ernesto Cassetta Giovedì 28 Febbraio 2008 23:05 Stampa

La recente proposta di direttiva sulla promozione delle fonti rinnovabili di energia rappresenta per l’Italia un’importante occasione per riconsiderare l’attuale impostazione degli interventi a sostegno dello sviluppo delle tecnologie verdi. Per avviare una crescita realmente sostenibile del sistema paese è necessario un nuovo approccio che getti le basi per uno sviluppo armonico del settore delle tecnologie verdi in tutte le sue componenti: un quadro di regole stabile e di incentivi alla domanda, un sistema di ricerca avanzato, la nascita e lo sviluppo di un tessuto industriale.

Nei giorni scorsi la Commissione europea ha adottato un pacchetto di misure volto a dare concreta attuazione alla nuova strategia energetica comunitaria definita nel Consiglio europeo del marzo 2007.1 Fra gli obiettivi vi è quello di conseguire entro il 2020 una copertura del 20% dei consumi di energia primaria da fonti rinnovabili. Il piano comunitario prevede infatti una nuova direttiva che modifichi l’attuale quadro normativo sulla promozione delle energie rinnovabili e fissi target differenziati di natura vincolante per i singoli Stati membri, chiamati successivamente a definire piani nazionali di azione appropriati. All’Italia, in particolare, è richiesto di coprire entro il 2020 il 17% del proprio fabbisogno di energia da fonti rinnovabili.

Per dare un’idea delle difficoltà insite nel raggiungimento di tale obiettivo è forse sufficiente ricordare che nel nostro paese, secondo i dati riportati nella direttiva stessa, la quota delle fonti rinnovabili sul consumo interno di energia era nel 2005 pari al 5,2%, e che dodici punti in più vogliono dire installare una capacità che corrisponde, grossomodo, con le approssimazioni che un calcolo del genere porta con sé, a otto centrali nucleari. Al di là delle possibili modifiche che potranno emergere lungo un iter di approvazione che si preannuncia già assai complesso, l’iniziativa comunitaria rappresenta per l’Italia un’importante occasione per riconsiderare l’attuale impostazione degli interventi per la promozione delle fonti rinnovabili e, più in generale, per il comparto energetico e ambientale. Una riflessione in questa direzione coinvolge in misura più o meno ampia tutte le principali nazioni non solo a livello europeo2 ed è particolarmente necessaria nel nostro paese, che forse più di altri fatica ad avviare un processo di effettivo cambiamento del proprio modello di produzione e consumo di energia nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale.

Qualsiasi tentativo di ridefinizione e razionalizzazione delle politiche di promozione delle fonti rinnovabili non può che partire dalla constatazione che la sfida energetica e ambientale deve necessariamente realizzare due risultati: dal lato del consumo, è necessario individuare nuove forme e modalità volte tanto alla riduzione degli attuali livelli di domanda di energia quanto a una loro maggiore compatibilità ambientale; dal lato della produzione di energia occorre invece sviluppare tecnologie caratterizzate da basse emissioni di carbonio in grado di contenerne l’impatto ambientale senza comportare un drastico ridimensionamento degli attuali tassi di sviluppo e delle prospettive di crescita di molti dei paesi emergenti. Quindi, insieme a misure volte a migliorare l’efficienza energetica, è cruciale riflettere sulle politiche di promozione di fonti di energia realmente rinnovabili, con l’intento di delinearne possibili direttrici di sviluppo. È purtroppo evidente, sebbene sul punto esistano posizioni estremamente variegate, come le opzioni tecnologiche oggi disponibili non consentano di fornire risposte efficaci alle problematiche energetiche e ambientali. Nel settore dei trasporti, le alternative a disposizione per la sostituzione dei combustibili fossili si riducono, di fatto, ai soli biocarburanti, con gli ormai evidenti limiti connessi al contrasto con i possibili usi alternativi del territorio, in primis quelli alimentari. Nei settori della produzione di elettricità e di calore, una serie di vincoli strutturali limitano la disponibilità effettiva di energia in termini sia temporali che fisici.3 Trasversali ai vari settori sono poi le preoccupazioni legate al bilancio energetico complessivo delle di- verse tecnologie, che necessitano di essere valutate attentamente in un’ottica di ciclo di vita per non condurre ad esiti in potenziale contrasto con quelli perseguiti, come recentemente messo in evidenza proprio dal caso dei biocarburanti.

La necessità di intervenire rapidamente per contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici non può farci dimenticare che le risposte ai problemi energetici e ambientali passano necessariamente per una rottura del paradigma tecnologico attuale. Per avviare un percorso deciso in tal senso, sono essenziali politiche coerenti di sistema che coinvolgano tre aree fra loro strettamente interrelate: la creazione di conoscenze adeguate e di un sistema di ricerca avanzato nelle tecnologie energetiche e ambientali; la nascita e lo sviluppo di un tessuto industriale in grado di sostenerne e accelerarne la diffusione; un quadro di regole stabile e di incentivi alla domanda come presupposto per il finanziamento del sistema e ulteriore stimolo all’introduzione di nuovi prodotti e processi.

Purtroppo, rispetto all’opportunità di adottare un pacchetto integrato di misure adeguate allo scopo, le risposte del nostro paese, seppur coerenti con gli impegni via via assunti a livello comunitario e internazionale, si sono prevalentemente focalizzate su meccanismi di incentivazione diretta della produzione di energia rinnovabile, in particolare nel settore dell’energia elettrica, che hanno inevitabilmente determinato un aumento degli oneri tariffari a carico di imprese e consumatori.

Nel 2006 i costi diretti derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili nel solo settore dell’energia elettrica ammontavano a poco più di 4,1 miliardi di euro.4 Di tale ingente cifra, poco meno del 40% è stato in realtà destinato alle fonti rinnovabili nel rispetto degli obiettivi europei: la restante parte si riferisce infatti ai sussidi erogati sulla base del provvedimento del Comitato interministeriale prezzi n. 6/1992 a favore degli impianti alimentati da fonti assimilate (calori di risulta, fumi di scarico, scarti di lavorazione e di processi ecc.). Vale la pena evidenziare come queste ultime rappresentino ben il 15,2% della produzione termoelettrica nazionale, con rilevanti effetti distorsivi sul mercato elettrico nazionale.

Sulla base dei provvedimenti esistenti, le tariffe elettriche sono poi destinate a risentire sia dell’entrata in esercizio degli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, che riceveranno sussidi per oltre 1 miliardo di euro all’anno nei prossimi venti anni, sia della piena operatività dei certificati bianchi per l’efficienza energetica e, non in ultimo, dell’avvio del sistema europeo di scambio di emissioni, per il quale si stimano circa 1,7 miliardi di euro all’anno per il solo settore termoelettrico da oggi al 2012. Senza tener dunque conto delle recenti modifiche normative, i costi aggiuntivi che si prospettano per il sistema produttivo e i consumatori sono assai rilevanti, soprattutto se consideriamo che la nostra bolletta energetica si colloca già fra le più elevate a livello internazionale.

A fronte dell’entità di tali oneri, peraltro, il contributo che un sistema come il nostro può fornire al contenimento delle emissioni globali non può certo essere considerato rilevante. Si pensi che nel 2005 l’Italia era responsabile dell’1,7% dei consumi di energia primaria a livello mondiale e di una quota sostanzialmente analoga di emissioni di anidride carbonica.5 Si tratta di percentuali che, indipendentemente dalle politiche che si intende adottare, sono destinate a diminuire rapidamente se si tiene conto dell’enorme crescita della domanda di energia dei paesi emergenti. Solo per dare un’idea delle dimensioni in gioco basti pensare che la Cina dovrebbe raddoppiare la propria domanda di energia al 2030, superando già a partire dal 2010 gli Stati Uniti come primo paese consumatore a livello mondiale. Quanto sinora osservato non significa certo negare le responsabilità che il nostro paese è chiamato ad assumere all’interno di una sfida fondamentale per il futuro del pianeta, ma soltanto essere consapevoli di come, allo stato attuale della tecnologia, per quanto ambiziosi possano essere i nostri obiettivi di sostituzione dei combustibili fossili e di contenimento delle emissioni ambientali, il loro peso sull’evoluzione degli scenari mondiali di domanda e offerta di energia è destinato a rimanere pressoché irrilevante. Non considerare questo aspetto, disinteressandosi dei costi economici e sociali imposti dal conseguimento degli obiettivi sovranazionali, rischia di avere conseguenze gravi sulla competitività delle imprese e sui livelli di reddito del paese. Diverso sarebbe invece considerare lo sforzo finanziario complessivo che il paese ha già oggi di fronte come un investimento di sistema volto ad accelerare la transizione verso un modello sostenibile di produzione e di consumo di energia, sfruttando le opportunità strategiche, economiche e occupazionali connesse alla sua affermazione. Affinché ciò sia possibile, è tuttavia necessaria la presenza di un tessuto produttivo capace di cogliere il valore generato dalla consistente domanda attivata, non solo a livello nazionale, e indirizzare le risorse così ottenute nella ricerca e nello sviluppo di nuovi prodotti e processi. È in questa prospettiva che necessitano di essere poste le politiche di sistema prima richiamate. Esistono ormai pochi dubbi sulle prospettive economiche aperte dal mercato delle tecnologie verdi, a prescindere dai risultati conseguiti in campo ambientale. Gli investimenti realizzati nei settori che sviluppano, producono e installano tecnologie per l’energia sostenibile – includendo sia le fonti rinnovabili che l’efficienza energetica – hanno raggiunto nel 2006 poco meno di 71 miliardi di dollari, con una crescita del 43% rispetto all’anno precedente, mentre nel 2007 gli investimenti sono stimati in circa 85 miliardi di dollari, valore pari a tre volte il dato del 2004.6 Più di un quinto degli investimenti globali è stato destinato ad attività di ricerca e sviluppo, cresciute dai 13 miliardi di dollari del 2005 ai circa 16,3 del 2006. Tale rilevante sforzo trova conferma anche nei dati dell’Agenzia internazionale dell’energia sulle risorse pubbliche destinate alla R&D nelle tecnologie alternative, che segnalano negli ultimi anni un ritorno alla crescita, sia in termini assoluti che in proporzione rispetto alle fonti fossili e al nucleare, dopo la consistente riduzione degli anni Novanta. A conferma dell’assenza di politiche a sostegno dell’offerta, il nostro paese, diversamente da altre realtà, non può al momento contare su un tessuto imprenditoriale che per dimensioni e specializzazioni produttive sia in grado di recitare un ruolo attivo nel cambiamento del sistema.7 Se si vuole avere qualche risultato in questa direzione sono necessarie specifiche politiche che creino le condizioni per l’affermazione, la crescita e il radicamento di un sistema di imprese e che consentano un complessivo riposizionamento competitivo della nostra struttura di offerta nei settori delle tecnologie verdi.8

Il caso della Germania che, muovendosi in anticipo, ha saputo acquisire in pochi anni posizioni di leadership internazionale in quasi tutti i comparti delle tecnologie verdi, offre spunti interessanti su come tale percorso possa essere realizzato anche in tempi rapidi. Il governo tedesco e i Länder hanno infatti indirizzato consistenti risorse verso questi setto- ri (circa 250 milioni di euro sotto forma di aiuti di Stato sono stati complessivamente erogati a partire dal 2002 nel solo settore della produzione di celle e moduli fotovoltaici) favorendo la realizzazione degli investimenti, anche esteri, e la localizzazione delle imprese nelle aree dove meglio potevano essere sfruttati i fondi strutturali comunitari. In effetti, la quasi totalità delle imprese presenti nella filiera del solare fotovoltaico sono oggi localizzate nel territorio della ex Germania Est, in particolare nella cosiddetta Solar Valley nella zona di Lipsia. Fra queste, la società Q-Cells, fondata alla fine del 1999 e attualmente primo produttore al mondo di celle fotovoltaiche, ha moltiplicato di più di trenta volte il proprio fatturato negli ultimi anni, destinando circa il 71% del volume d’affari realizzato nel 2006 a strategie di espansione e di ricerca e sviluppo.

Il sistema delle imprese tedesche è inoltre supportato da un consistente flusso di investimenti pubblici in ricerca e innovazione che, seppur caratterizzati da un’impostazione fortemente market-oriented, si pongono come finalità esplicita «di contribuire a soddisfare gli obiettivi di sviluppo delle energie rinnovabili, accrescere la competitività delle imprese tedesche e in tal modo creare e salvaguardare posti di lavoro».9 Le risorse sono infatti in prevalenza assegnate a programmi specifici basati su una stretta collaborazione fra imprese del territorio, università e altri enti di ricerca, e volte a incentivare il più ampio coinvolgimento di capitali privati. Nel 2006, più della metà dei finanziamenti, circa 44,5 milioni di euro, gestiti ed erogati dal solo ministero federale dell’Ambiente, della tutela della natura e della sicurezza nucleare (BMU) nel settore delle fonti rinnovabili di energia sono stati destinati, con una percentuale di finanziamento fra il 25 e il 50%, a progetti che vedono il coinvolgimento di almeno un’impresa. Quanto appena osservato costituisce un importante elemento di riflessione rispetto all’introduzione di politiche di razionalizzazione e potenziamento della ricerca nelle tecnologie energetiche alternative, settore nel quale è fondamentale essere presenti come sistema paese. Le attività di ricerca e sviluppo, strutturalmente caratterizzate da esternalità, necessitano infatti di un sistema di imprese che assuma gli oneri dello sviluppo, trasferisca le innovazioni in soluzioni replicabili su scala industriale e trattenga sul territorio il valore da esse generato. Le vicende che hanno caratterizzato il progetto di Rubbia nel solare termodinamico e la posizione di punta rapidamente acquisita dalla Spagna in questa tecnologia sono solo l’esempio più recente di tali dinamiche.10

A riguardo, non si può non evidenziare come il processo di privatizzazione di ENEL ed ENI abbia avuto come esito non certo positivo quello di un impoverimento sostanziale in termini di risorse, strutture e conoscenze scientifiche del sistema italiano della ricerca energetica.11 Un sistema che, attraverso un’azione coordinata fra enti di ricerca, quali ENEA, CNR, CESI e altri laboratori universitari, le stesse ENI ed ENEL e un tessuto di piccole e medie imprese, era stato in grado di generare, a partire dalle crisi petrolifere degli anni Settanta, risultati di rilievo nelle tecnologie alternative, dal settore idroelettrico a quello geotermico, sino alla posizione di leadership internazionale, detenuta ancora agli inizi degli anni Novanta, nel solare fotovoltaico.

Al marcato arretramento del nostro paese in tutti i settori delle tecnologie verdi ha poi contribuito la scelta di attribuire a livello locale una parte rilevante delle competenze di programmazione e di intervento. La frammentazione che ne è derivata anche nel campo della ricerca e dell’innovazione ha infatti ostacolato il raggiungimento di dimensioni adeguate alla crescente competizione tecnologica globale, sia in termini di risorse finanziarie che di accumulazione di conoscenze.

Si tratta di un problema che chiama direttamente in causa la governance dell’intero sistema universitario. Sebbene non sia rimasta immune da tendenze disgregative, l’università italiana, se considerata come un unico sistema portatore di una propria identità culturale, può garantire la massa critica necessaria per realizzare investimenti in ricerca al passo con i nostri competitor. Un intervento organico in questa direzione non può prescindere dall’introduzione di politiche per il trasferimento tecnologico e la promozione, a vari livelli, di forme stabili di collaborazione fra enti pubblici e imprese.12 L’ineludibilità del problema ambientale può rappresentare un’importante occasione per risalire lungo le traiettorie della competizione tecnologica, che vedono l’Italia in una posizione di retroguardia. È quindi necessario un nuovo approccio alle politiche per le fonti rinnovabili che sappia affrontare tutti gli aspetti di questa sfida, gettando le basi per uno sviluppo realmente sostenibile per l’intero sistema paese.

[1] Consiglio europeo, Conclusioni della Presidenza, Bruxelles, 8-9 marzo 2007.

[2] Il riferimento non è solo ai processi di consultazione avviati in Germania (Integrated Energy and Climate Programme), Francia (Grenelle de l’environnement) e Gran Bretagna (Energy White Paper: Meeting the Energy Challenge), ma anche nei paesi emergenti come, ad esempio, la Cina (Medium and Long-Term Program for Renewable Energy Development).

[3] Si pensi, ad esempio, alle fonti di energia quali eolico e solare. Per altre tecnologie, quali geotermico e idroelettrico, il potenziale energetico appare ormai quasi integralmente sfruttato nel nostro paese.

[4] Autorità per l’energia elettrica e il gas, Gli oneri del sistema elettrico nazionale per la promozione delle fonti rinnovabili di energia e di altri impianti e forme di produzione incentivate o sussidiate, Documentazione inviata alla X commissione Attività produttive, Camera dei deputati, 22 giugno 2007.

[5] International Energy Agency, Key World Energy Statistics 2007, Parigi 2007.

[6] United Nations Environment Programme and New Energy Finance Ltd., Global Trends in Sustainable Energy Investments 2007. Analysis of Trends and Issues in the Financing of Renewable Energy and Energy Efficiency in OECD and Developing Countries, Parigi 2007. Stime più recenti collocano l’ammontare degli investimenti realizzati nel 2007 a 100 miliardi di euro. REN21 - Renewable Energy Policy Network for the 21st Century, Renewables 2007 Global Status Report, Bali, dicembre 2007.

[7] C. Pozzi, La globalizzazione, il formalismo e la politica industriale, in “L’Industria”, 1/2007, pp. 11-20.

[8] Sulle difficoltà cui sono esposte in un’economia globale anche le aree dinamiche che pure permangono nel nostro paese può essere citato il caso della Baccini, impresa leader mondiale nella produzione di impianti per la serigrafia delle celle fotovoltaiche e con un fatturato per il 2007 di 110 milioni di euro quasi interamente realizzato all’estero (con una quota del mercato mondiale dell’85%), che è stata recentemente acquisita per 225 milioni di euro dagli statunitensi della Applied Materials.

[9] BMU, Innovation Through Research. 2006 Annual Report on Research Funding in the Renewable Energy Sector, Berlino, marzo 2007, p. 9.

[10] Il settore farmaceutico, con i noti casi di Giuseppe Brotzu e Vincenzo Tiberio, rispettivamente precursori delle cefalosporine e della penicillina, costituisce un chiaro esempio delle difficoltà determinate dall’assenza di partner industriali a livello nazionale in grado di assumere l’onere dello sviluppo e dell’industrializzazione della ricerca.

[11] Sul punto cfr. F. Gobbo, C. Pozzi, Privatizzazioni: economia di mercato e falsi miti, in “Economia Italiana”, 3/2007 (in corso di pubblicazione). Solo per citare qualche dato, nel 2006 la quota destinata da ENI alle spese di ricerca e sviluppo ammontava infatti a 222 milioni di euro, pari al 2,5% dell’utile netto e al 2‰ del fatturato, rispettivamente pari a 9,2 e 86,1 miliardi di euro.

[12] L’accordo recentemente concluso da ENI con il MIT per lo sviluppo di tecnologie solari avanzate deve far riflettere sulle difficoltà del nostro paese di canalizzare le proprie risorse e del nostro sistema di ricerca di recitare un ruolo di primo piano in un’economia globale della conoscenza.