Ripensare le rappresentanze del lavoro

Di Innocenzo Cipolletta Lunedì 16 Febbraio 2009 13:03 Stampa

Possono le rappresentanze di interessi essere al pas­so con i tempi? Come fare perché la rappresentanza tuteli gli interessi del presente, sia aperta a quel­li del futuro e non tradisca del tutto quelli del pas­sato? Una via per ricostruire una migliore aderenza delle rappresentanze potrebbe essere quella di ri­partire dagli interessi specifici per giungere così ad una ricomposizione degli interessi più generali.

Possono le rappresentanze di interessi essere al passo con i tempi? La risposta, a prima vista, sembrerebbe negativa. Le associazioni che rappresentano gli interessi sono organizzazioni stabili, mentre gli interessi evolvono nel corso del tempo, sicché è facile che la rappresentanza finisca per tutelare più gli interessi del passato (quelli che hanno creato la rappresentanza) che quelli del presente o del futuro. Questo vale non solo per il mondo del lavoro, ma anche per quello delle imprese, per le categorie sociali e, fatte le dovute differenze, per i partiti politici.

Come fare perché la rappresentanza tuteli gli interessi del presente, sia aperta a quelli del futuro e non tradisca del tutto quelli del passato? In teoria questo è un “semplice” problema di democrazia rappresentativa. Se le organizzazioni hanno un impianto democratico, allora esse evolvono con l’evolvere degli interessi stessi e, quindi, non dovrebbero mai esserci eccessive contraddizioni. Nella realtà sappiamo che non è così, e non è soltanto un problema di democrazia. Infatti, sotto l’appellativo di democrazia ormai si fa passare di tutto e quindi si finisce per non spiegare più niente. In effetti, nel mondo del lavoro, come per le altre organizzazioni, c’è democrazia nel senso del voto e della rappresentanza degli interessi che si pronunciano: i vertici sono sempre espressione del voto degli iscritti. Ma gli iscritti non sono necessariamente la fotografia del paese, posto che non c’è, per fortuna, un obbligo di iscrizione alle categorie. E anche se ci fosse l’obbligatorietà dell’iscrizione, questo non significherebbe affatto che i vertici siano effettivamente rappresentativi, posto che il livello e la qualità della partecipazione non può certo essere imposta da nessuno.

Nella realtà, la società è frutto della compresenza di vecchi e nuovi interessi, in un gioco intricato dove è impossibile tracciare dei confini. Non solo, ma ogni soggetto è ormai detentore di interessi plurimi e differenziati. Poiché la rappresentanza degli interessi finisce per essere rappresentanza delle persone, con i loro interessi plurimi e con le loro pulsioni specifiche, ecco che una rappresentanza di specifici interessi finisce spesso per risultare inadeguata, specie quando essa si rifà a figure tipiche del passato. Le rappresentanze sindacali dei lavoratori e delle imprese vengono da una lunga storia e sono riuscite ad evolvere con i tempi, ma presentano anche alcuni scollamenti con la realtà e non possono più pretendere di rappresentare in toto il loro mondo (anche se fanno fatica ad immaginare che qualcun altro possa rappresentarli). Il lavoratore del Novecento era una persona che spesso aveva trascorso la sua vita lavorativa nella stessa azienda, aveva pochi altri interessi, assumeva diverse responsabilità nella stessa azienda o nello stesso settore, e finiva per avere nell’esperienza aziendale la base della sua forza. L’impresa, a sua volta, era classificata a seconda del processo produttivo adottato e del comparto merceologico (tessile, chimico, meccanico, servizi finanziari, commerciali ecc.), indipendentemente dal prodotto che faceva, perché le sue problematiche erano legate più alle tecniche della produzione che alle indicazioni del mercato. Questa relativa stabilità è andata progressivamente modificandosi nel corso del dopoguerra e oggi essa è difficile da riconoscere.

Il lavoratore è sempre più una persona che ha svolto diverse mansioni in diverse imprese. Ha una formazione più forte e progredisce anche grazie alla sua istruzione di base oltre che con l’esperienza. I suoi interessi sono multipli, anche al di fuori del binomio tradizionale lavoro-famiglia. È un percettore di salario, ma spesso è anche un risparmiatore e a volte proprietario di un immobile. Può svolgere attività di lavoro autonomo. Vive in una famiglia che spesso è multireddito, che risente, quindi, delle problematiche di diverse attività. Ha una speranza di vita da pensionato che eguaglia spesso quella della vita lavorativa.

Allo stesso tempo, le imprese non sono più classificabili per settori merceologici e per tecnologie di produzione. Esse tendono ad organizzare capitale e lavoro secondo la domanda del mercato. Più che i settori contano ormai i mercati di riferimento, che possono variare nel tempo. Non c’è più il tessile, c’è piuttosto la moda. Non c’è più la fabbricazione di mobili, c’è il mercato della casa. Non c’è più il settore della telefonia, c’è il mercato dei servizi di comunicazione e intrattenimento. Ormai c’è più vicinanza tra un produttore di vestiti e un produttore di occhiali che tra quest’ultimo e un produttore di macchine fotografiche, che erano classificate tra gli strumenti ottici. Chi produce mobili è interessato più al mercato della casa che a quello del legno e così via. Inoltre, anche l’imprenditore non è più un semplice “padrone”. Spesso il padrone è una banca o un fondo di private equity. Lo stesso imprenditore può essere un manager. Egli è spesso anche un finanziere. Ma può anche essere un manager che non ha una specifica proprietà di riferimento.

Questa rivoluzione silenziosa e progressiva indica come gli interessi varino continuamente nel tempo. Ma indica anche come sarebbe comunque vano mettersi a tavolino a ridisegnare, di volta in volta, i nuovi interessi. Il tempo per farlo, le tensioni che provocherebbero i tentativi di una nuova classificazione, il peso innegabile di un passato che non ha intenzione di farsi ridimensionare, sono tutti fattori che farebbero nascere comunque vecchia e inadeguata questa nuova geografia degli interessi.

Analogamente vano è il tentativo della rappresentanza già costituita di rincorrere tutti i nuovi interessi che emergono di volta in volta, per poterli ricondurre al proprio interno. Questa è stata una pretesa perseguita nel passato dal sindacato dei lavoratori, più che dalle associazioni delle imprese, tanto che era stata coniata l’espressione del “sindacato dei cittadini”, per estendere la tutela dei lavoratori fino a tutti i diritti dei cittadini. Oppure creando nuove formule di rappresentanza a lato di quello del lavoratore: come il sindacato dei consumatori, degli utenti, dei pensionati e così via. Cercare di ridurre ad un solo soggetto la molteplicità degli interessi non riesce a produrre risultati positivi, perché si finisce inevitabilmente per generare una gerarchia di interessi, mentre la tutela degli interessi è, per sua natura, esclusivista. Solo se ci si sposta dalla sfera della tutela degli interessi a quella della politica, questa sintesi può essere fatta, pur con tutte le difficoltà che essa presenta. Sono i partiti politici quelli che devono e possono rappresentare interessi di sintesi delle persone, mentre le associazioni di interessi devono accettare di essere parziali, ossia “di parte”.

Ecco allora che la strada non è tanto quella di far emergere i nuovi interessi perché sostituiscano quelli vecchi, ma quella di far convivere tante rappresentanze in modo dialettico, al fine di far emergere di volta in volta quelli che sono gli interessi prevalenti, attraverso formule che evitino che la normale dialettica costituisca un fattore di eccessiva tensione con il rischio di paralizzare tutto. La via per ricostruire una migliore aderenza delle rappresentanze è quella di ripartire dagli interessi specifici, il più vicino possibile agli interessati stessi. Così facendo, si possono ricomporre interessi più generali partendo da quelli specifici.

Oggi il mondo del lavoro, pur avendo ancora innegabili interessi generali da tutelare, ha soprattutto numerosi e rilevanti interessi specifici che non trovano risposte. Questo vale per i lavoratori come per le imprese. In queste condizioni è necessario dare un maggiore spazio alle rappresentanze dei lavoratori e delle imprese a livello aziendale, dove possono trovarsi soluzioni più vicine agli interessi reciproci. Questo significa, ad esempio, privilegiare le rappresentanze aziendali per specifici argomenti che meglio possono essere trattati a quel livello, come nel caso delle retribuzioni e dell’organizzazione del lavoro. Vanno invece delegate a forme di rappresentanza più trasversali gli interessi generali, come quelli relativi ai diritti dei lavoratori, alla durata massima dell’orario di lavoro, alla tutela dei minori, al sistema pensionistico nazionale, alla certezza dei contratti per le imprese e così via. In altre parole, si tratta di trasportare nel campo delle rappresentanze degli interessi del lavoro il concetto con il quale si è costruita l’Europa, quello della sussidiarietà. Gli interessi vanno tutelati al livello più vicino possibile a quello dei diretti interessati. Questo significa che la maggior parte delle questioni devono essere risolte a livello aziendale, mentre si possono portare a livelli più elevati le questioni di ordine generale.

Ne potrebbe scaturire un sistema di rappresentanze polarizzato tra livello aziendale da un lato e livello generale dall’altro. In questo contesto, le rappresentanze settoriali nazionali potrebbero giocare un utile ruolo per specifiche questioni o per specifiche aree. Posta la ridotta dimensione di molte delle aziende italiane, è da supporre che le rappresentanze settoriali potrebbero fornire un utile contributo proprio per questo segmento del mercato del lavoro, dove la rappresentazione aziendale è più disagevole, attraverso la stipula di contratti di settore che di fatto si applicherebbero essenzialmente alle piccole imprese.

Una simile evoluzione non va interpretata come una sconfessione di un passato che, invece, aveva visto ruoli crescenti delle rappresentanze settoriali nazionali. Queste hanno fatto il loro lavoro, tanto che la tutela degli interessi generali è oggi sufficientemente assicurata. È il successo della loro azione che ne impone, quasi paradossalmente, una riconsiderazione, al fine di far meglio aderire le rappresentanze del lavoro ad un sistema economico ormai evoluto. Un sistema dove i singoli interessi hanno acquisito maggiori garanzie e sicurezze, grazie all’azione condotta negli anni passati, e che pertanto sono a questo punto in grado di tutelare in via più autonoma le loro problematiche.

Il sistema economico italiano si è ormai articolato in molte realtà che hanno comportamenti e risultati molto differenti. Oggi è impossibile ricondurlo ad unità senza una riconsiderazione degli interessi specifici. Meglio è far emergere le diverse articolazioni, lasciando ai livelli nazionali la competenza per materie trasversali che devono servire da quadro di riferimento comune.