In memoria di Juan Carlos Portantiero. Note sulla diffusione del pensiero di Gramsci in America Lati

Di Alberto Filippi Giovedì 27 Marzo 2008 15:00 Stampa
Lo scorso 9 marzo a Buenos Aires è morto all’età di settantatre anni uno degli intellettuali più rilevanti e influenti della sociologia e del socialismo nell’America Latina della seconda metà del secolo scorso. Maestro di varie generazioni di sociologi e politologi, sia in Argentina, nella sua università di Buenos Aires, dove negli anni Novanta è stato il preside della facoltà di sociologia, così come nelle varie sedi delle facoltà di Scienze sociali nei diversi paesi dell’America Latina e anche in Messico, dove fu esiliato durante gli anni del regime della Junta Militar.

Figlio di immigrati italiani, di madre piemontese e padre calabrese, mantenne intense relazioni culturali con l’Italia: con il PCI di Berlinguer e i DS di D’Alema, così come con l’Istituto Gramsci dal periodo di Nicola Badaloni a quello odierno di Giuseppe Vacca. Negli ultimi mesi di vita, nonostante la grave malattia, si dedicò come presidente del comitato scientifico all’organizzazione del seminario internazionale su Antonio Gramsci e l’America Latina, organizzato in collaborazione con la Fondazione Istituto Gramsci. L’ultimo suo viaggio in Italia fu in occasione del convegno su «Gramsci e il Novecento», organizzato a Cagliari dall’Istituto Gramsci nell’aprile del 1997, in cui Portantiero presentò una relazione su «Gramsci e la crisi culturale del Novecento: la ricerca della comunità».

Il lungo e intenso rapporto di amicizia fraterna e di collaborazione intellettuale e politica con Juan Carlos ebbe inizio nel gennaio 1968 a L’Avana, dove lui era presente come membro della giuria del Premio di saggistica del concorso internazionale indetto dalla Casa de las Americas e io come relatore al Congreso cultural, nonché invitato da Fernando Martinez, l’allora direttore del Dipartimento di filosofia dell’Università de L’Avana e animatore del gruppo che pubblicava la rivista «Pensamiento critico», che verrà chiusa nel 1971 negli anni della progressiva sovietizzazione ideologica dell’isola. L’occasione fu la presentazione del primo volume delle «Lecturas de Filosofia», pubblicate dal Dipartimento, nel cui ambito tenni un seminario su «El marxismo en Italia desde Gramsci a Della Volpe». Non a caso nel volume si pubblicavano alcune pagine del «Materialismo storico nella filosofia di Benedetto Croce», la cui edizione integrale in spagnolo era apparsa per la prima volta a Cuba nel 1966 per i tipi della Edición Revolucionaria, nonché del Tredicesimo Quaderno «Noterelle sulla politica del Machiavelli», «Analisi delle situazioni: rapporti di forza» e «Sul concetto di partito politico». All’incontro, oltre a Martinez e ad altri studiosi cubani e latinoamericani, parteciparono Andrè Gorz e appunto Portantiero, il quale fece subito su tutti noi una inattesa e notevole impressione per la sua capacità di cogliere, con originale acutezza, alcuni aspetti del pensiero di Gramsci, di analizzare la concreta condizione sociale e politica di quegli anni così cruciali per la sinistra latinoamericana dopo la morte di Ernesto Guevara e l’incombere dei golpes militari in Brasile, Argentina e Bolivia. Sinistra sempre più tragicamente divisa tra guerriglieri e riformisti, tra via pacifica e via armata nelle diverse declinazioni e filiazioni che facevano capo ai sovietici, i cinesi o i cubani.

È risaputo ormai che Portantiero assieme a Josè Aricó furono sin dagli anni Sessanta protagonisti determinanti nella diffusione della cultura politica italiana e in modo particolare del pensiero di Gramsci. Negli anni tra il 1963 e il 1965 apparvero i nove numeri della rivista «Pasado y Presente», iniziativa che, tra l’altro, costerà loro l’espulsione dal Partito comunista argentino, il più drammaticamente filo-sovietico del continente. Alla rivista, inoltre, si affiancarono le edizioni dei «Quadernos» con la stessa denominazione di «Pasado y Presente», in entrambe le pubblicazioni verranno via via pubblicati lavori di Cesare Luporini, Palmiro Togliatti, Galvano Della Volpe, Norberto Bobbio, Nicola Badaloni, Valentino Gerratana, Alessandro Pizzorno, Rossana Rossanda, Alessandro Natta ecc.

Anni dopo, nel primo numero della nuova serie di «Pasado y Presente» (aprile-giugno 1973) apparvero sia un editoriale sia un articolo di Portantiero riferiti alla «lunga marcia del socialismo in Argentina» vista in rapporto con la «questione peronista», cioè sulla condizione della classe operaia nelle sue alleanze e conflitti con le forze politiche in quel preciso e brevissimo momento della presidenza di Hector Campora, «la grande illusione del ritorno della democrazia». A ragion veduta Portantiero e Aricó pubblicarono in quel numero diversi scritti di Gramsci presentati con il titolo generale: «Democracia obrera y socialismo», tra i quali ricordo: «Il Consiglio di fabbrica», «Due rivoluzioni », «La conquista dello Stato», «Sindacati e consigli» e «Il programma dell’Ordine nuovo».

Riflettendo su quel periodo e riferendosi a quel numero di «Pasado y Presente», Portantiero riconobbe che allora le riflessioni di Gramsci servivano «per cogliere certi elementi esistenti nella classe operaia peronista, un’esperienza di classe con prospettive ‘consiliari’ e della democrazia di base, concetti che estrapolavamo dall’opera gramsciana per interpretare il conflitto sociale argentino».1 Nel 1977, durante gli anni dell’esilio messicano, uscì la raccolta degli scritti politici di Gramsci (1917- 1933), scelti e introdotti da Portantiero con un importante testo, poi divenuto celebre, «Los usos de Gramsci» che egli aveva iniziato a scrivere due anni prima a Buenos Aires. Questa antologia gramsciana, la più conosciuta in America Latina (assieme a quella più «ortodossa» dello spagnolo Manuel Sacristàn) e ancora oggi insuperata per i nodi tematici concettuali e politici messi a fuoco da Portantiero, è stata il punto di riferimento per tutti coloro che negli ultimi trent’anni si sono avvicinati all’intellettuale militante e al politico sardo. L’introduzione del 1977, assieme ad altri saggi di Portantiero, inclusi «Gramsci y el analisi de coyuntura» e «Gramsci y la crisis cultural de Novecientos» verranno pubblicati nel 1981 in un volume titolato «Los usos de Gramsci», apparso in Messico e più volte ristampato anche in Argentina.

L’enorme e devastante esperienza delle dittature con le migliaia di desaparecidos, la violenza sociale e la distruzione sistematica dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, ha condotto a una lettura molto particolare di Gramsci, valorizzando in maniera sicuramente nuova e molto eterodossa il concetto di «egemonia» e di «società civile». Lettura che ha portato al superamento definitivo non solo della concezione di una ipotetica dictatura de proletariado, ma anche al rifiuto generalizzato di ogni tipo o forma di dittatura o di dictablanda, militare o civile, come strumento per l’affermazione del socialismo.

Valorizzando la progressiva construcción de una alternativa contrahegemónica, tramite il consenso democratico, per la realizzazione dei valori della giustizia sociale, l’interpretazione di Portantiero partendo da Gramsci lo porta a sostenere che l’esercizio politico-istituzionale della democrazia sia l’unica via possibile in America Latina per realizzare le riforme socialiste. E di più, l’incompatibilità tra democrazia ed egemonia viene affermata in modo irreversibile: persino nell’ambito dell’egemonia, intesa come luogo teorico e processo politico concreto in cui si debba collocare la lotta per il potere, Portantiero approfondisce il nesso egemonia-democrazia-socialismo, osservando come anche nell’esercizio dell’«egemonia» possano manifestarsi quelle «potenzialità totalitarie», non meno insidiose di quelle che presentavano le dittature tradizio- nali. Infatti, scriveva Portantiero nel 1980, da un lato c’è l’«egemonia pluralista» intesa come produzione articolata e istituzionale di una base sociale per il consenso, dall’altra la concezione dell’ «egemonia organicista» per la quale il consenso è pura instrumentación che decade a unanimità demagogica.2

Di ritorno dall’esilio in Messico, dove con Aricó aveva fondato il «Grupo de discusion socialista» e la rivista «Controversia» (per far discutere le diverse forze politiche sul futuro della transizione democratica in Argentina), Portantiero assieme ad Emilio de Ipola fu protagonista del supporto intellettuale al governo di Raùl Alfonsìn, costituendo il cosiddetto «Grupo Esmeralda» (dal nome della via in cui si riuniva). Nel 1984 insieme ad Aricó fondò il «Club de Cultura Socialista» a partire dal quale nel 1986 nacque la rivista «La Ciudad Futura. Revista de cultura socialista» (con un esplicito riferimento al periodico alla cui realizzazione Gramsci lavorò nel 1917), che Portantiero diresse insieme a Aricó e Jorge Tula. Sulla centralità della cuestión democrática come corollario dell’interpretazione dei concetti gramsciani di egemonia e consenso, Portantiero tornò a insistere nel saggio scritto insieme a Emilio de Ipola «Crisis social y pacto democratico», nel quale si riconosce il carattere, per la situazione argentina e latinoamericana di allora devastata dalle dittature, «rigorosamente utopico della democrazia. Ma non come un’utopia di società perfetta, piuttosto come un’utopia di conflitti, tensioni e regole per processarli. In questo consiste l’ordine democratico come sfera autonoma, non riducibile alla sfera economico-sociale, sebbene si possa sostenere che esista un’affinità maggiore tra la democrazia e alcuni ordini economico-sociali».3

Punto culminante di questa convergenza sulla centralità della teoria della democrazia e la prospettiva del socialismo è la «Dichiarazione di principi» del già ricordato Club de Cultura Socialista nel quale Portantiero e Aricó riaffermarono con grande vigore che: «La democrazia e la trasformazione sociale saranno al centro delle preoccupazioni del Club [...]; il luogo privilegiato che attribuiamo alla que- stione democratica ha per noi un doppio significato. In primo luogo, quello del riconoscimento che solo in un contesto democratico può svilupparsi un movimento sociale di sinistra che spinga verso la trasformazione e acquisti una presenza rilevante e determinante nella vita della società argentina. In secondo luogo, quello della riaffermazione della nostra certezza che l’insieme delle libertà civili e politiche associate con il funzionamento della democrazia costituiscano un patrimonio irrinunciabile per una prospettiva socialista [...]. Questa affermazione implica la rottura chiara e definitiva con tutte quelle concezioni che riducono tali libertà a strumenti propri del capitalismo, che avrebbero un valore appena contingente e strumentale, e ai quali si dovrebbe rinunciare in nome di finalità ritenute superiori e assolute».4

Per i lettori italiani, vale la pena ricordare che per una comprensione più rigorosa delle elaborazioni di quelli che sono ritenuti los gramscianos argentinos, cioè Aricó e Portantiero, devono distinguersi le diverse fasi che loro attraversarono nel corso degli anni, prima e dopo l’esilio messicano. Un momento chiave della transizione tra i due periodi è costituito dalle relazioni che entrambi presentarono al «Seminario Internacional sobre Gramsci» (Ferrara, 11-13 settembre 1985) che organizzai insieme ad Aricó e sotto gli auspici dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Il titolo per esteso del seminario era: «Las transformaciones polìticas de America Latina: presencia de Gramsci en la cultura latinoamericana» e la relazione di Portantiero era su «Gramsci en clave latinoamericana», intervento in cui si stabilivano le ragioni e i criteri che motivarono le differenti letture e i relativi impieghi del politico italiano tra gli anni Sessanta e Ottanta, fino a prospettare la centralità del rapporto tra egemonia e consenso nella costituzione della institucionalidad democratica.5

A partire, dunque, dal seminario di Ferrara su Gramsci nel quale si poté evidenziare «la existencia de certa asincronìa nel debate politico intelectual en torno a Gramsci en America Latina respecto a su àrea originaria Italia» giunge a maturazione quella che Emilio de Ipola ha chiamato la cuarta etapa delle elaborazioni di Aricó e Portantiero sulla democrazia e il socialismo derivate, tra gli altri fattori, dalle rinnovate analisi sul pensiero di Gramsci e sulla possibile utilidad per la sinistra argentina, tenendo in conto l’avvertenza metodologica con la quale Aricó tentò di affrontare la questione gramsciana in America Latina. È necessario – sosteneva – liberarci da una lettura dottrinaria di Gramsci, il che non significa di per sé rassegnarsi al declino del suo pensiero, bensì, al contrario, riconoscerne i limiti, restituirlo alla sua condizione di pensiero di un’epoca. Questa è la ragione di fondo per la quale Portantiero tornò a porre la questione del socialismo riformista che in Argentina era già sorta agli inizi del secolo scorso, prima delle elaborazioni leniniste della Terza Internazionale, e che aveva raggiunto nel pensiero politico di Juan Bautista Justo una delle sue formulazioni più complesse e originali.6 Justo, infatti, costituisce un caso eccezionale nel socialismo latinoamericano, non solo perchè risulta impossibile trovare in quegli stessi anni figure intellettuali di eguale livello, ma anche perchè in nessun altro luogo dell’America Latina si formò intorno ad una personalità simile un gruppo dirigente della qualità e del valore che caratterizzò il Partito socialista argentino di quegli anni. «Per Justo – sosteneva Aricó – il fatto che il Partito socialista nascesse in Argentina trent’anni dopo quelli europei gli permetteva di beneficiare di un’esperienza accumulata dai compagni europei e di darsi altri punti di partenza. ‘Dobbiamo – affermava Justo nel 1896 – cercare il nostro modello nelle forme più recenti adottate dal movimento operaio in modo tale che le idee socialiste, in questo paese vergine, assumeranno un’importanza fondamentale per non dire decisiva’. Come altri dirigenti socialisti internazionali Justo tentò di mantenere un rapporto critico con la dottrina di Marx, non definendo né se stesso né il suo partito come marxista, ma come socialista che aveva trovato in Marx, come in altri pensatori, idee e proposte utili per poter ottenere lo scopo a cui aveva dedicato la sua intelligenza e volontà di lotta: quello di creare, nell’ambito delle condizioni specifiche della società argen- tina un movimento sociale di chiaro carattere socialista e un insieme di idee che, appoggiandosi sulle conoscenze apportate dalla scienza e su quelle provenienti dall’esperienza pratica del movimento operaio, si costituisse in una guida capace di raggiungere l’obiettivo di una società socialista».7

Una delle ultime imprese di Portantiero fu quella di dirigere e realizzare la ricerca: «Proyecto sobre la democracia en Argentina, 2001-2002» con il patrocinio del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD). I risultati hanno evidenziato che le transizioni democratiche in America Latina non erano ancora completate e che, al contrario, si stava attraversando un ampio e profondo cambiamento di dimensioni mondiali, segnato da una fine d’epoca e accompagnato da una crisi politica, sociale e di valori. Transizioni le cui sfide rimandano ad almeno due grandi questioni. Innanzitutto, la relazione tra il livello nazionale (o regionale) della politica e i rapporti di quest’ultima con la dimensione globale che determina e condiziona in modo del tutto inedito le questioni nazionali nei diversi contesti internazionali, che ridefiniscono costantemente la collocazione in «Occidente» o in «Oriente» dei paesi del Nord e del Sud del pianeta e tra «Stati egemonici» e «Stati subalterni». In secondo luogo, il rapporto tra società civile (e della «egemonia civile») e riforma della rappresentanza politica per il funzionamento democratico dei partiti e, soprattutto, delle istituzioni pubbliche. Con l’implicito riconoscimento dei limiti strutturali delle diverse forme di presidenzialismo latinoamericano nelle sue diverse deformazioni antidemocratiche, tanto autoritarie quanto demagogiche. Questioni, entrambe, di cruciale rilevanza, per le quali i contributi dell’opera di Portantiero hanno una imprescindibile attualità, e non solo in America Latina.

[1] J. C. Portantiero, La creación de instituciones, in «El ojo mocho», 1/1991, Buenos Aires.

[2] Portantiero, Democracia y socialismo: una relación difìcil (1981), in Portantiero, La producción de un orden. Ensayos sobre la democrazia entre el estado y la sociedad, Ediciones Nueva Visión, Buenos Aires 1988, pp. 101-103.

[3] Portantiero ed E. de Ipola, Crisis social y pacto democratico (1984), in Portantiero, La producción de un órden, op. cit., p. 175.

[4] Club de Cultura Socialista, Declaración de principios 1 y 2, citata in R. Burgos, Los gramscianos argentinos. Cultura y poltica en la experiencia de «Pasado y Presente», Siglo XXI Editores, Buenos Aires 2005, pp. 333-334.

[5] Al seminario di Ferrara parteciparono, tra gli altri, oltre ad Aricó, Filippi e Portantiero, anche Nicola Badaloni, Giancarlo Pajetta, Leonardo Paggi, Renato Sandri, José Nun, Néstor García Canclini, Teodoro Petkoff, German Lairet.

[6] Portantiero, Juan B. Justo. Un fundador de la Argentina moderna, Fundo de Cultura Economica, Buenos Aires 1999.

[7] J. Aricó, La tradición socialista, in Portantiero, Juan B. Justo. Un fundador de la Argentina moderna, op. cit., p. 62.