Con o senza Lisbona: le riforme difficili

Di Maria Joao Rodrigues Giovedì 27 Marzo 2008 13:54 Stampa

In questo articolo, dopo aver fatto qualche brevissimo commento sulla vicenda della Strategia di Lisbona nel suo complesso, si cercherà di dare un senso di prospettiva rispetto a quanto sta avvenendo oggi nell’Unione europea a questo riguardo. Ci si concentrerà infine sull’agenda delle riforme.

Lo scopo dell’Agenda di Lisbona è di preparare l’Europa alla globalizzazione e ciò significa partire dall’assunto che ci si trova in una fase nuova dell’integrazione europea, durante la quale sarà essenziale andare avanti con il Mercato unico, rafforzare l’Unione economica e monetaria, ma sarà anche necessario andare oltre, riformando le istituzioni europee e adeguando l’Unione europea alla globalizzazione. È questa la finalità generale dell’Agenda di Lisbona.

Sin dall’inizio si è cercato di superare il tradizionale dilemma che è ancora presente nel dibattito sull’Europa, ovvero il dilemma tra competitività e modello sociale europeo. È possibile affermare che, per riuscire a superarlo, è stato necessario elaborare un nuovo compromesso politico sul quale è opportuno essere espliciti. Si tratta di un compromesso composto principalmente da quattro elementi, che ancora oggi rappresentano, in verità, le quattro priorità dell’Agenda di Lisbona. Il primo elemento è costituito dalla decisa priorità data a un’economia che si basi sul sapere e che, di conseguenza, investa in ricerca, innovazione e istruzione. Il secondo consiste nel proseguire il programma del Mercato unico, che non è stato ancora completato. Il terzo riguarda la riforma del Modello sociale europeo, che ne conservi i tratti principali, ma adattandoli al nuovo ambiente prodotto dalla globalizzazione e dall’invecchiamento. Il quarto elemento, infine, riguarda la politica macroeconomica, perché per un verso dobbiamo assicurare la stabilità in questo ambito, ma per l’altro è indispensabile creare condizioni più idonee alla crescita.

Dunque, sono questi i quattro elementi principali dell’Agenda di Lisbona ed è facilmente intuibile che dietro la loro definizione vi sia un compromesso politico a livello europeo come a livello nazionale. Per attuare questa strategia sono stati introdotti alcuni strumenti nuovi: si pensi, ad esempio, al metodo di coordinamento aperto, come strumento introdotto proprio per favorire l’attuazione dell’Agenda di Lisbona. È però opportuno sottolineare che l’Agenda non utilizza soltanto il metodo di coordinamento aperto, ma si serve di tutti gli altri strumenti: direttive, programmi comunitari, fondi strutturali e i tanti altri disponibili. La questione centrale, dunque, è di poter disporre di una buona combinazione di strumenti per ogni politica.

Dopo questa illustrazione generale degli antefatti, si deve rilevare come nel 2005, visto che l’attuazione dell’Agenda procedeva troppo lentamente, è stato compiuto un significativo rimaneggiamento del programma e il 2007 è il primo in cui il nuovo pacchetto è pronto per l’attuazione. Che cosa si intende con «nuovo pacchetto»? Prima di tutto, linee guida, per economia e per l’occupazione; sono strumenti che si basano sui trattati e sono stati elaborati per servire da riferimento generale per tutti gli Stati membri. In secondo luogo, abbiamo una nuova generazione di programmi comunitari ora in fase di lancio: il Programma quadro di ricerca e sviluppo, un programma per la competitività e l’innovazione, un altro per l’educazione permanente e uno ancora per la politica sociale, e, ultimo ma non meno importante, un grosso pacchetto per lo sviluppo regionale, relativo quindi ai fondi strutturali, che ora si basano su linee guida molto vicine a quelle dell’Agenda di Lisbona. Esiste dunque una maggiore coerenza tra i vari strumenti. Tuttavia, quando si confrontano i risultati, è possibile concludere che manchi ancora qualcosa. Qualche esito positivo rispetto al tasso di crescita medio in Europa è stato comunque ottenuto: vi è stata, infatti, una creazione netta di posti di lavoro, 7 milioni di posti nuovi negli ultimi anni. È meglio però essere molto cauti a riguardo, perché è noto che l’Agenda di Lisbona riguarda riforme strutturali molto profonde e queste richiedono tempo. L’Agenda riguarda la transizione verso un’economia dove contano i saperi, un’economia knowledge-intensive, e questo passaggio richiede tempo; dunque, quello che importa davvero, è adattare le nostre istituzioni e valorizzare il nostro potenziale di crescita, ma anche questo richiede tempo. È già possibile presumere (almeno secondo l’opinione di chi scrive) che ora gli strumenti di attuazione siano migliorati, tuttavia essi non sono ancora sufficienti. Non è necessario dilungarsi su tale aspetto in questa sede, ma questa è una delle ragioni per cui nell’Unione europea ci serve un nuovo trattato, ed è una delle ragioni per cui si devono davvero ripensare il bilancio comunitario e i bilanci nazionali. Servono dunque nuovi strumenti finanziari, ma anche nuovi strumenti politici. Questo è un messaggio essenziale per le presidenze future dell’Unione europea, del Portogallo prima e della Slovenia poi, perché l’Europa dovrà affrontare un periodo molto difficile, durante il quale la preparazione del nuovo ciclo dell’Agenda di Lisbona e i tentativi di superare l’«imbroglio» del Trattato costituzionale – fra di loro strettamente connessi – finiranno per sovrapporsi.

È ora opportuno fare qualche riflessione sulla recente fase dei programmi nazionali di riforma. Com’è noto, dal 2005 tutti gli Stati membri hanno avviato programmi nazionali di riforma; si tratta di un’esperienza nuova e molto ricca. L’Europa è ormai un importante laboratorio di strategie di riforma, un laboratorio dal quale si può trarre insegnamento. Si può prendere in proposito il caso del dibattito in Italia. La prima conclusione che si può trarre, leggendo i programmi nazionali di riforma o osservando la situazione sul campo, è che non è affatto vero che l’attuazione dell’Agenda di Lisbona sia bloccata. Piuttosto, l’elemento più rilevante è che emergono molte differenze nei processi di adeguamento nazionale quando si fa un confronto tra gli Stati membri. Alcuni procedono molto più rapidamente di altri, ed è essenziale capirne le ragioni. Tre sono le differenze che risaltano. Anzitutto, alcuni Stati membri sono stati più pronti di altri nella costruzione di una sorta di motore che permetta di avviare un’economia knowledge-intensive. Ognuno degli Stati membri ha bisogno di questo motore, che è collegato al ruolo della ricerca, dell’istruzione e, senza dubbio, anche dell’innovazione. Questo triangolo dei saperi è più efficace in certi paesi rispetto ad altri. La seconda differenza riguarda l’agenda del Mercato unico: alcuni Stati membri riescono meglio a combinare una politica per la concorrenza con una per l’innovazione. La terza riguarda, infine, la politica macroeconomica, in quanto il mix macroeconomico è migliore in certi paesi rispetto ad altri.

Ci si concentrerà adesso sull’agenda delle riforme, che costituisce l’argomento cardine di questo intervento. Si cercherà qui di presentare alcune conclusioni di un tour des capitales sulle riforme e su quella che si può definire la strategia delle riforme.

Per cominciare si possono indicare alcune condizioni per una efficace strategia per le riforme. La prima di tali condizioni riguarda la necessità di creare le condizioni di un coordinamento orizzontale. Qualcosa sta cambiando nell’amministrazione pubblica, perché per attuare l’Agenda di Lisbona, è necessario tantissimo coordinamento orizzontale, che colleghi diversi ministeri in una specie di network. La seconda condizione si riferisce al ruolo della democrazia nella strategia delle riforme, che parte da due presupposti, la funzione delle istituzioni della democrazia rappresentativa e la tradizione europea della democrazia partecipativa che coinvolge i soggetti più importanti in questa agenda di riforme.

Non è facile trovare un buon equilibro tra il ruolo delle istituzioni della democrazia rappresentativa, soprattutto i parlamenti, e quelle dei partecipanti al processo di riforma più importanti. È questo un punto molto delicato. Il terzo requisito attiene alla sequenza delle riforme, in quanto in tale sequenza, l’ordine con cui le riforme verranno adottate è tutt’altro che irrilevante. È necessario chiarire ciò che va fatto prima. In paesi diversi diverso sarà il risultato se il processo di riforme viene avviato partendo dalla previdenza sociale o dal sistema sanitario, dall’istruzione o dalla pubblica amministrazione. La sequenza delle riforme è importante e non esiste un’unica ricetta buona per tutti gli Stati membri, tocca ai governi nazionali individuare quella corretta. La quarta e ultima condizione si riferisce alla presentazione, a quello che potremmo definire il packaging delle riforme, poiché le riforme in certi casi inseriscono alcuni vincoli, ma devono prevedere anche incentivi. Uno dei problemi che i governi europei devono affrontare, per esprimere il concetto in termini un po’ semplicistici, è capire in che misura sono in grado di introdurre riforme che risultino popolari. Anche questo non è un compito facile. Sarà dunque necessario mettere in luce le ragioni per cui in certi casi l’interesse pubblico non coincide con quello di incancreniti gruppi corporativi.

La descrizione dei cinque principi della strategia delle riforme sarà a questo punto presentata attraverso qualche breve esempio. Il primo esempio attiene all’innovazione: se si vogliono ottenere progressi in questo senso, serve un maggiore coordinamento orizzontale che colleghi almeno il ministero della ricerca scientifica, quello dell’industria e quello dell’istruzione. Questo impone un maggiore coordinamento orizzontale, in primo luogo nella pubblica amministrazione, poi nel governo, e infine a livello regionale. In certi casi è anche importantissimo migliorare i punti di incontro tra università e imprese. Questo è il cuore del processo d’innovazione.

La ricerca è al centro del secondo esempio. È ovvio che bisogna investire di più nella ricerca, ma questo non è sufficiente. È necessario anche assicurarsi che questo investimento si traduca in più valore aggiunto, per cui non serve soltanto aumentare il numero dei ricercatori, ma anche accrescere la loro mobilità tra università e imprese.

Il terzo esempio è quello della scuola. I bambini devono essere impegnati a scuola a tempo pieno e non part time, poiché così la scuola funziona meglio. Si tratta di un interesse pubblico che però pur avendo il sostegno delle famiglie, non sempre trova il completo appoggio della categoria professionale degli insegnanti: alcuni sono favorevoli, altri no. È questo un tipico esempio di come talvolta l’interesse pubblico non coincida con quello di una particolare categoria. Un ulteriore caso da prendere in considerazione riguarda la pubblica amministrazione. In molti paesi si sono avviate riforme importanti della pubblica amministrazione. Il punto di partenza per adottare cambiamenti significativi in questo settore è individuare chiaramente la «missione» di ogni servizio pubblico; la missione può poi essere tradotta in scelte relative all’organizzazione di questi servizi e, infine, queste possono a loro volta essere trasformate nella gestione delle carriere, con la definizione di un rapporto tra retribuzione e prestazioni. Questo costituisce un esempio di riforma intrapresa che punta soprattutto sull’interesse pubblico e sull’erogazione di servizi pubblici di qualità elevata.

L’ultimo esempio fa riferimento al mercato del lavoro. La parola del momento è flexicurity. Ci si aspetta che, nel Consiglio europeo del dicembre 2007, venga adottato qualcosa di simile alle linee guida per la previdenza. Si tratta di un tema delicato per l’Europa. Se si vuol avere un approccio positivo verso la flexicurity, bisogna puntare alla creazione di nuovi posti di lavoro, e ancor prima a sviluppare nuove opportunità per creare occupazione. Poi, per poter affermare che la flessibilità è vantaggiosa non solo per i datori di lavoro, ma anche per i lavoratori dipendenti, è opportuno anche discutere quali siano le forme di flessibilità buone per questi ultimi. Infine, sarà necessario sviluppare una buona combinazione di flessibilità e previdenza, e questo comporta una nuova generazione di politiche sociali a sostegno di ogni fase del ciclo di vita di ciascuno: giovinezza, età adulta, terza età. Un tale approccio alla flexicurity potrà apportare risultati positivi.

L’ultimo punto, non per questo meno importante, riguarda la possibilità di attuare con successo l’Agenda di Lisbona. A tal fine si dovranno combinare alcune iniziative coraggiose nel senso di un’economia knowledge-intensive con una buona strategia di riforme, e contemporaneamente bisognerà cambiare qualcosa nella politica macroeconomica. Indubbiamente è molto più facile adottare le riforme se vi è un clima positivo per la crescita. Sono queste, dunque, le questioni di cui si dovrà tenere conto in Europa nel prossimo futuro.