I movimenti islamisti tra crisi interne, pluralizzazione e tendenze post islamiste

Di Silvia Colombo Mercoledì 22 Settembre 2021 16:29 Stampa
I movimenti islamisti tra crisi interne, pluralizzazione e tendenze post islamiste Istockphoto/Rost-9D

 

A vent’anni dall’11 settembre 2001, dallo shock degli attacchi terro­ristici di matrice jihadista sul suolo americano, dall’avvio della guerra al “terrore”, dalle ultime in ordine di tempo esperienze americane di esportazione della democrazia con le armi in Afghanistan e Iraq, dall’avverarsi dello “scontro di civiltà” e dalle campagne di demoniz­zazione nei confronti dell’Islam ciò che sta accadendo in Afghanistan in questi mesi e settimane suona come il rintocco della campana che segna la fine di un’era. Un’era in cui gli Stati Uniti in particolare ma in generale tutto il mondo cosiddetto occidentale avevano cercato di mettere in atto quella che sembrava l’unica strategia possibile per difendersi dalla forza materiale e ideologica – penetrante, violenta e totalizzante – dell’estremismo di matrice islamista incarnato dai talebani e da al Qaeda prima e dalle varie manifestazioni dell’ISIS poi. Fiumi di inchiostro sono stati già versati sulle implicazioni della fine di quest’era per l’Occidente, la propria politica estera e il proprio rapporto con l’Islam.1 Si tratta in gran parte della continuazione di un dibattito pregnante che riguarda soprattutto il rapporto tra Islam e radicalismo, dunque il rapporto di un quarto circa della popola­zione mondiale con la religione musulmana, la questione della sepa­razione o meno tra religione e politica, tra religione e proselitismo (anche violento) e tra sfera privata e sfera pubblica.2 Per comprende re appieno la politica internazionale degli ultimi vent’anni, dunque, occorre calarsi all’interno di questo dibattito e accettare che la nostra conoscenza è necessariamente parziale e indiretta. Occorre abbando­nare categorie quali “noi-voi” per aprirsi a una complessità che sfugge a qualsiasi tentativo di incasellamento.

Così facendo ci si rende conto che esistono gruppi, istanze, tensio­ni, conflitti ma anche tentativi di coesistenza da parte delle forze politiche cosiddette islamiste ben al di là di ciò che è trapelato dalle notizie e dai racconti che sono giunti a noi attraverso le lenti spesso allarmiste dei mezzi di comunicazione occidentali. Ci si imbatte in dinamiche e dibattiti che hanno segnato profondamente l’evoluzio­ne dei movimenti islamisti a livello globale ma soprattutto nell’area strategica del Medio Oriente e del Nord Africa. In particolare, le Pri­mavere arabe del 2011 hanno radicalmente rimodellato l’ambiente all’interno del quale i movimenti islamisti si erano evoluti nei decen­ni precedenti, causando cambiamenti rapidi e disorientanti nelle loro strategie, ideologie e organizzazioni. Per la prima volta i movimenti islamisti sono emersi come attori politici a pieno titolo, rendendo così giustizia all’idea che tutto l’Islam è politico, ovvero qualsiasi for­ma di nazionalismo religioso nei paesi a maggioranza musulmana, è Islam politico e che dunque sia opportuno riferirsi all’“islamismo” per indicare le dinamiche politiche specifiche che hanno riguardato l’evoluzione dei movimenti islamisti. Esse vanno dalla creazione di nuovi partiti politici poi risultati vittoriosi nelle varie tornate elet­torali post rivoluzionarie (in Egitto e Tunisia) alle faziosità interge­nerazionali all’interno dei singoli movimenti islamisti, dai conflitti intra islamisti tra movimenti/partiti più aperti e “moderati”, da una parte, e più intransigenti e conservatori dal punto di vista dottrinale e sociale, dall’altro (ad esempio, la competizione tra la Fratellanza Musulmana e i salafiti in Egitto) a vari gradi di polarizzazione politi­ca tra gli islamisti e i loro rivali; dalle varie performance politiche dei Fratelli Musulmani in Tunisia, Marocco ed Egitto nel quadro delle transizioni all’emergere di un forte contraccolpo pubblico contro la Fratellanza, almeno in Egitto, e un giro di vite sui suoi servizi sociali a partire dal 2013-14; da una nuova campagna a livello regionale che designa la Fratellanza come organizzazione terroristica alla sorpren­dente evoluzione di al Qaeda e dei movimenti jihadisti dalla Siria e dall’Iraq attraverso il Nord Africa. A conti fatti, l’ultimo decennio – più che quello immediatamente successivo all’11 settembre – è stato il vero banco di prova per i movimenti islamisti nella regione.

Per comprendere a fondo queste dinamiche è importante cogliere la varietà dei movimenti islamisti nei vari paesi e contesti diversi. Gli islamisti in Yemen, Egitto e Tunisia possono condividere alcune for­me organizzative, aspirazioni ideologiche e linguaggio politico, ma si sono di fatto comportati in maniera sorprendentemente diversa non solo in risposta a dinamiche locali profondamente diverse. Tale eterogeneità rende problematica qualsiasi generalizzazione circa gli obiettivi, le dinamiche interne e le strategie operative dei vari movi­menti islamisti. Ciascun movimento, inoltre, ha nel corso dello scor­so decennio manifestato differenti dinamiche interne tra le fazioni e un equilibrio di potere per lo più precario tra di esse, cosa che ha dato vita a dibattiti anche in­tensi sulle questioni ideologiche, tattiche e ope­rative. Ciò è quanto di più lontano si può avere dalla rappresentazione corrente della Fratellanza Musulmana come un movimento islamista mo­nolitico e un’organizzazione totalitaria estrema­mente disciplinata e gerarchica.

In particolare è importante fare attenzione a non cadere nella trappola di un’eccessiva generaliz­zazione sulla base del caso egiziano. Per quanto l’Egitto sia importante e centrale nell’universo islamista, la traiettoria dei movimenti islamisti egiziani non è affatto tipica o replicabile altrove. Tale trappola porta talvolta gli studiosi a speculare sui possibili sce­nari futuri dell’islamismo in altri contesti sulla base dell’esperienza della Fratellanza Musulmana egiziana, trascurando il fatto che essa è stata il risultato di dinamiche contingenti. E qui veniamo dunque all’importanza dell’ambiente circostante più che delle intenzioni dei leader – parzialmente assimilabili tra un caso e l’altro. La cosiddetta struttura politica e l’analisi dei costi-benefici che ne deriva hanno un’importanza determinante nel condizionare l’evoluzione dei vari movimenti. Se ciò è vero in qualsiasi sistema politico complesso, esso assume un’importanza ancora più determinante nell’ambito di un ambiente istituzionale instabile, polarizzato e imprevedibilmente mutevole quale quello dei paesi in cui sono avvenute le Primavere ara­ be. Tale ambiente, ad esempio, ha creato le condizioni per l’emergere di un ostracismo capillare e profondo nei confronti della Fratellanza Musulmana in Egitto non solo a livello dell’establishment politico e di sicurezza del regime di al-Sisi, accompagnato dalla repressio­ne politica, ma anche nell’opinione pubblica egiziana. La caduta dei Fratelli Musulmani in Egitto ha posto l’islamismo a un bivio. Non solo ha dimostrato che l’ideologia di per sé non è una garanzia di suc­cesso politico, ma anche che gli islamisti hanno bisogno di ripensare le loro strategie e tattiche per affrontare il nuovo ambiente dopo le Primavere arabe. A ben vedere, la cosiddetta crisi della Fratellanza in Egitto non è il fallimento del progetto politico che ha come referente la religione islamica bensì la pluralizzazione dello spazio sociopoliti­co islamico e la perdita di monopolio dei Fratelli Musulmani sulla pretesa di articolare un ordine islamico per tutta la società.

In Tunisia, questa pluralizzazione dello spazio sociopolitico islami­co ha manifestato connotati meno marcati grazie alla capacità del partito islamista dominante Ennahdha di trasformarsi dal proprio interno. Nel 2016, Ennahdha ha deciso di abbandonare la predi­cazione e il proselitismo religiosi e di concentrarsi sulla politica. Ciò ha prodotto una crisi di identità al proprio interno ma ha al contempo permesso di raggiungere un elettorato più ampio e va­riegato, allontanandosi dallo zoccolo duro che lo aveva sostenuto durante i duri anni del regime di Ben Ali. La fine del progetto isla­mista di Ennahdha è stata una conseguenza di pressioni interne ed esterne, essenzialmente il frutto del pragmatismo della leadership e della tendenza al consenso e alla moderazione della base stessa del partito. Dal punto di vista delle politiche, essendo divenuto partito di governo, Ennahdha è dovuta scendere a patti con membri del vecchio regime e ha acconsentito all’attuazione di politiche econo­miche neoliberali. Ciò le ha fatto perdere una fetta di consenso tra coloro i quali vedevano il partito come un baluardo contro la corru­zione.3 La frattura ha assunto anche connotati generazionali tanto che il rischio di una scissione, o comunque di profonde divisioni, in particolare nel contesto di crisi del consolidamento democratico che si è verificata all’indomani dell’accentramento dei poteri nelle mani del presidente Kaïs Saïed del 25 luglio scorso, è oggi estrema­mente alto. ­ La traiettoria di Ennahdha si intreccia con due dibattiti centrali ri­guardo all’evoluzione attuale dei movimenti islamisti nella regione. Il primo dibattito concerne il rapporto tra movimenti islamisti e de­mocrazia e, in ultima istanza, la transizione – soprattutto da parte delle nuove generazioni – verso forme di par­tecipazione politica post islamista. La (parzia­le) accettazione della democrazia da parte degli islamisti, in particolare i Fratelli Musulmani, è stata un lungo processo che ha coinvolto tanto l’aspetto procedurale – la partecipazione alle ele­zioni quale strumento per assumere il potere di governo pur di fronte alle difficoltà e alle battu­te d’arresto subite in molteplici paesi – quanto quello ideologico. In questo secondo campo, la questione si fa più problematica poiché anche se la Fratellanza può aver accettato con­cetti come “cittadinanza” e “Stato civile”, e persino la “sovranità del popolo” e la “volontà del popolo”, è chiaro che la visione della li­bertà individuale degli islamisti resta fortemente limitata e illiberale. Andando ancora più in profondità, emerge sempre più chiaramente che per la maggior parte dei giovani musulmani, precedentemente attratti dai discorsi islamisti e attivi a livello di movimenti quali la Fratellanza Musulmana, a essere in crisi non è tanto l’idea della pos­sibile coesistenza tra islamismo e democrazia, quanto l’anima stessa del progetto islamista e la sua possibile incarnazione nel contesto dello Stato moderno.

Ciò pone la questione della transizione verso il post islamismo. Il concetto di “post islamismo” è stato al centro dei dibattiti sull’evo­luzione dell’Islam politico per oltre due decenni. Inizialmente pro­posto da studiosi francesi (Olivier Roy, tra gli altri) che affermavano che l’islamismo aveva fallito, sia intellettualmente che politicamente, e che gli islamisti stavano sempre più articolando posizioni secolari o apolitiche come risultato, iterazioni più recenti hanno proposto un’interpretazione più fluida del post islamismo, andando oltre la dicotomia tra islamista e secolare. Ad esempio, Asef Bayat considera il post islamismo sia una condizione sia un progetto e non presup­pone un “fallimento” che si traduce in un’alternativa secolare come conclusione scontata.4 La prima si riferisce a una condizione sociale e politica in cui, dopo una fase di sperimentazione, il fascino, l’energia e le fonti di legittimazione dell’islamismo possono esaurirsi anche tra i suoi sostenitori di un tempo. Il secondo si riferisce a un progetto intellettuale e ideologico, un tentativo cosciente di concettualizzare e strategizzare le modalità di trascendere l’islamismo in ambito sociale, politico e intellettuale alla luce di condizioni contingenti mutevoli.

Il secondo dibattito concerne invece la capacità dei movimenti e par­titi islamisti di moderarsi e di essere percepiti come tali in un con­testo in cui le stesse categorie di “moderato” e “radicale” sono messe in discussione. L’essere moderato o meno si basa sul confronto con qualcosa di più o meno radicale. Ma se questo confronto, questa scala viene meno, come si può valutare se un movimento islamista ha compiuto un processo di moderazione? E come si può interpretare il fatto che oggi l’Egitto e diversi regimi del Golfo stanno conducendo un’aggressiva campagna pubblica volta a designare i Fratelli Musul­mani come un’organizzazione terroristica e a equiparare la Fratellan­za ad al Qaeda? La sfida “a destra” per la Fratellanza Musulmana è reale nel momento in cui movimenti jihadisti come Ansar al-Sharia o l’ISIS si muovono nella fornitura di servizi sociali alla popolazione e i movimenti islamisti mainstream sono in difficoltà a causa della distruzione delle loro strutture e delle gerarchie. Se i Fratelli Mu­sulmani una volta servivano come barriera contro il reclutamento di al Qaeda, oggi – a vent’anni dall’11 settembre e alla luce degli importanti cambiamenti intercorsi nei ranghi dei movimenti isla­misti – chi e cosa potrà fare da scudo dall’interno all’ideologia e alla costruzione materiale dello Stato da parte dei talebani di ogni ordine e provenienza?


[1] Si vedano, ad esempio, J. M. Dorsey, US Foreign Policy Debate Rages, But Fails to Move the Needle, in “Insights”, 31 agosto 2021, disponibile su mei.nus.edu.sg/wp-content/uploads/2021/08/Insight-265-James-M.-Dorsey.pdf; Olivier Roy, spécialiste de l’Afghanistan : «On a sous-estimé la stratégie des talibans», in “Ouest France”, 16 agosto 2021, disponibile su www.ouest-france.fr/monde/afghanistan/entretien-pour-olivier-roy-on-a-sous-estime-la-strategie-des-talibans-24a13c0e-fe9a-11eb-b25b-e686c75688fc.

[2] Si veda N. Henni-Moulaï, Olivier Roy: «Ce n’est pas la lecture du Coran qui pousse à la radicalité», in “Jeune Afrique”, disponibile su www.jeuneafrique.com/1162865/politique/olivier-roy-ce-nest-pas-la-lecture-du-coran-qui-pousse-a-la-radicalite/.

[3] H. Meddeb, Ennahda’s Uneasy Exit From Political Islam, Carnegie Middle East Cen­ter, 5 settembre 2019, disponibile su carnegie-mec.org/2019/09/05/ennahda-s-un­easy-exit-from-political-islam-pub-79789.

[4] A. Bayat, Post-Islamism: The Changing Faces of Political Islam, Oxford University Press, Oxford 2013.