L’agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030: Quale ruolo per l’Unione Europea e l’Italia?

Di Elly Schlein Mercoledì 02 Ottobre 2019 08:01 Stampa
L’agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030: Quale ruolo per l’Unione Europea e l’Italia? Acquerello di Emanuele Ragnisco

Transizione ecologica e lotta alle diseguaglianze non sono solo le due sfide cruciali per assicurare un futuro sostenibile alle prossime gene­razioni, ma sono anche inscindibilmente connesse tra loro. Per capi­re quanto a fondo siano intrecciate basta considerare su quali fasce sociali si abbattono in maniera più violenta gli effetti dell’emergenza climatica e degli eventi climatici sempre più estremi, la cui frequenza è aumentata in modo allarmante.

A livello globale sono i paesi in via di sviluppo a pagare più alto il prezzo della crisi climatica in atto, nonostante abbiano chiaramen­te una responsabilità molto inferiore sulle cause del riscaldamento globale. Tra siccità e desertificazione, scarsità di risorse, inaridimen­to dei suoli e prosciugamento dei laghi, è in corso un’inesorabile compromissione degli ecosistemi da cui dipende il sostentamento di milioni di persone. Si pensi al dramma del lago Ciad, che era il settimo al mondo per superficie e sta letteralmente scomparendo (nel corso degli ultimi sessant’anni la sua superficie è passata da 26.000 chilometri quadrati a meno di 5000), lasciando milioni di persone prive delle condizioni minime per costruirsi un’esistenza dignitosa.

Secondo uno studio della Banca mondiale1 effettuato su tre macro­area (l’Africa subsahariana, l’Asia meridionale e l’America Latina, che rappresentano il 55% della popolazione dei paesi in via di sviluppo), si stima che circa 143 milioni di persone saranno costrette a migra­zioni interne entro il 2050. E si può prevedere che in molti si sposte­ranno in altri paesi: si tratta dei cosiddetti “rifugiati climatici”, che ancora purtroppo non vedono riconosciuto il proprio status giuridi­co con una definizione appropriata in seno al diritto internazionale ed europeo e sono privi di tutele. Analogo ragionamento può essere calato anche entro i confini nazio­nali: chi è più colpito dall’impatto della crisi ambientale è chi non può scegliere dove vivere, dove lavorare, quale aria respirare. Da Sud a Nord dell’Italia abbiamo assistito a crisi am­bientali profonde che nel corso degli anni hanno sconvolto il territorio e prodotto silenziosamen­te molte vittime.

Si fa largo quindi da qualche tempo una nuova consapevolezza, per quanto emerga ancora poco nel dibattito italiano: che gli sforzi per la giusti­zia sociale e per la giustizia ambientale debbano procedere di pari passo. Perché non si può lotta­re efficacemente contro le diseguaglianze di ogni tipo se non si af­fronta al contempo l’emergenza climatica che ne è insieme concausa ed effetto, e viceversa perché, come ci insegna Alexander Langer, «la conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà social­mente desiderabile».2

A livello internazionale un passo avanti importante nell’affermazione di questa fondamentale consapevolezza è stato senz’altro l’approva­zione, a seguito di tre anni di negoziati, della nuova Agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030, approvata a New York dall’Assemblea generale dell’ONU nel settembre 2015. L’Agenda 2030 consta di 17 nuovi e ambiziosi obiettivi per lo sviluppo sostenibile (più noti nella loro denominazione inglese, Sustainable Development Goals o nella forma abbreviata SDGs) che vanno dallo sradicamento della povertà e della fame all’accesso universale alla salute e al benessere, così come a un’educazione di qualità, all’acqua, a energia pulita, a un lavoro dignitoso; dalla lotta alle diseguaglianze, con un obiettivo specifico sulla parità di genere, alla pace e l’accesso alla giustizia, fino all’azione climatica finalizzata a città sostenibili e resilienti, a tutelare gli ecosistemi su terra e in acqua, a rivedere in senso sostenibile e responsabile i modelli di produzione e consumo. I 17 nuovi obiettivi sono corredati da 169 target che li specificano in modo dettagliato.3

Si tratta, insomma, di una piattaforma coerente e ambiziosa di obiettivi che integrano la lotta alle diseguaglianze con lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni (sociale, economica, ambientale), trovando sintesi nel motto “leaving no one behind”, senza lasciare indietro nessuno. Quando è stata approvata, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha definito, in modo solenne ma azzeccato, la nuova Agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030 come una “di­chiarazione di interdipendenza”.

In effetti, se si considera che l’Agenda raccoglie l’eredità dei prece­denti Millenium Goals, gli aspetti di innovazione più significativi sono essenzialmente due. Anzitutto l’universalità dei nuovi obiettivi, che sono stati sottoscritti e dunque vincolano, almeno politicamen­te, tutti gli Stati del sistema ONU. Se quindi i Millenium Goals ap­parivano più un’agenda dedicata ai paesi in via di sviluppo, il nuovo approccio universale determina la possibilità per cittadine e cittadini di ogni Stato di chiedere conto ai propri governi delle strategie e azioni tese al raggiungimento dei 17 SDGs, cui tutti sono tenuti. Il secondo carattere innovativo è l’interconnessione degli SDGs, il che vorrebbe dire escludere che alcuni Stati decidano di fare progressi solo su determinati obiettivi, magari meno sgraditi, e non su altri. La costruzione dell’Agenda 2030 è molto chiara su questo punto, così come i meccanismi di monitoraggio: è necessario procedere e distribuire gli sforzi su tutti e 17 gli obiettivi insieme, evitando il cosiddetto “cherry-picking”.

Il monitoraggio dei progressi su un’agenda così articolata e inter­connessa non è semplice, statistici ed esperti hanno a lungo lavorato sull’individuazione degli indicatori più utili e adatti per misurare i progressi sui nuovi obiettivi. La parte forse più complessa e fonda­mentale sarà esplorare nuove modalità di raccolta dei dati disaggre­gati (ad esempio per genere, ma anche secondo altri criteri), insieme a nuove modalità di elaborazione e di condivisione dei dati. Sul tema l’ONU ha incaricato uno specifico gruppo di lavoro sulla data revo­lution, co-presieduto da Enrico Giovannini, che ha stilato un inte­ressantissimo rapporto – “A World That Counts”4 – che dà conto di questa nuova sfida tra quelle già delineate dall’Agenda 2030.

I precedenti Millenium Goals sono stati indubbiamente in grado di segnare progressi importanti. Si è centrato l’obiettivo di dimezzare il numero di persone in condizione di povertà estrema (1,9 miliardi di individui vivevano nel 1990 con meno di 1,25 dollari al giorno, e nel 2015 si sono ridotte a 836 milioni), passi avanti significativi sono stati fatti sull’accesso universale all’educazione primaria e la riduzio­ne della mortalità infantile e materna, che si sono dimezzate rispetto ai livelli del 1990, pur mancando l’obiettivo di una riduzione dei due terzi. Tuttavia c’è ancora moltissimo da fare, e le possibilità reali di evitare che i nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile al 2030 rimangano solo sulla carta dipendono da molti fattori, ma princi­palmente da tre: serve chiara volontà politica da parte dei governi, servono risorse adeguate al loro raggiungimento e serve la capacità di costruire un processo partecipato e inclusivo per l’attuazione e il mo­nitoraggio dell’Agenda 2030, che punti su sinergie e collaborazioni con tutte le parti sociali, a partire dalle organizzazioni non governa­tive e dalle associazioni della società civile che lavorano sul campo nelle aree più in difficoltà del pianeta, laddove le diseguaglianze sono più marcate e più duri sono gli effetti della crisi cli­matica.

Quale può e deve essere, dunque, il ruolo dell’U­nione europea nel raggiungimento dei 17 obiet­tivi per lo sviluppo sostenibile al 2030?

Il Parlamento europeo ha seguito attivamente il processo di negoziazione dell’Agenda 2030, insistendo in particolare a difesa della sua uni­versalità e interconnessione, insieme con la ne­cessità di un approccio fondato sul rispetto dei diritti umani. Nelle risoluzioni approvate a Strasburgo il Parlamento ha sottolineato l’esigenza di difendere nei negoziati gli obiettivi più innovativi, come quello specifico sulla lotta alle diseguaglianze e sulla parità di genere. Insieme ad alcuni colleghi eurodeputati, nel set­tembre 2015, abbiamo partecipato come delegazione del Parlamento europeo all’Assemblea generale che ha approvato l’Agenda 2030 e sin dal giorno dell’approvazione abbiamo raccomandato alla Com­missione europea e al Consiglio di mettere in campo una strategia europea complessiva per l’attuazione dei 17 SDGs. Una strategia che sia in grado, cioè, di coordinare gli sforzi degli Stati membri e veri­ficare la coerenza di tutte le politiche europee (interne ed esterne) e nazionali con il raggiungimento di quegli obiettivi.

Purtroppo, a distanza di quattro anni dalla loro approvazione, questa strategia europea di coordinamento ancora manca, e anche se alcuni Stati hanno dimostrato di aver preso sul serio gli impegni che deri­vano dall’Agenda 2030, sarà indispensabile un’azione comunitaria forte per assicurare che tutti gli Stati membri dell’Unione facciano la loro parte, dimostrando in modo concreto di mettere in campo la volontà politica e le risorse che servono per l’attuazione degli obiet­tivi. È necessario anche che la Commissione europea rivendichi per sé il ruolo di coordinamento delle strategie nazionali di attuazione dell’Agenda, perché avrebbe poco senso confermare in seno al nuovo collegio una delega specifica alla sostenibilità (come quella affida­ta già nella Commissione Juncker al vicepresidente Frans Timmer­mans, cui la nuova presidente von der Leyen ha affidato la respon­sabilità di coordinamento del Green New Deal europeo) se non la si dota anche di questo importante compito. Un compito da esercitare assicurando da parte dell’UE e di tutti gli Stati membri il rispetto del Principio di coerenza per le politiche dello sviluppo (PCD) e cioè vigilando affinché tutte le politiche, comprese quelle commerciali, fiscali, industriali, economiche e sociali, siano allineate all’Agenda 2030 anziché porsi in contraddizione con essa e che non abbiano impatti negativi sui paesi in via di sviluppo.

Nell’ultimo rapporto strategico annuale sull’attuazione degli SDGs,5 approvato a larga maggioranza il 14 marzo 2019, il Parlamento eu­ropeo non solo ha ribadito la necessità che la Commissione europea sviluppi una strategia d’attuazione complessiva che accompagni e co­ordini quelle nazionali, con scadenze chiare e una valutazione delle politiche attuali dell’UE, ma ha anche sottolineato la necessità di tenere debito conto delle risorse necessarie all’attuazione dell’Agenda 2030 nell’ambito dei negoziati sul nuovo quadro finanziario plurien­nale dell’Unione, come pure nell’ambito del semestre europeo.

Per quanto riguarda la cooperazione con i paesi in via di sviluppo, ha ribadito una volta ancora l’esigenza di rispettare gli impegni pre­si, e purtroppo ancora disattesi dalla gran parte degli Stati membri dell’UE, sulla destinazione dello 0,7% del reddito nazionale lordo agli aiuti pubblici allo sviluppo. La media europea nel 2018 si è in­fatti fermata allo 0,47%, con solo quattro paesi su 28 (Svezia, Lus­semburgo, Danimarca e Regno Unito) che hanno rispettato l’impe­gno di raggiungere lo 0,7% e ben 11 paesi che hanno diminuito i fondi destinati alla cooperazione. In Italia nel 2018 questo rapporto è calato allo 0,24%, senza contare che negli anni precedenti gli au­menti sono stati in buona parte trainati dalla crescita della voce “rifu­giati nel paese donatore”, gonfiando il dato senza che ciò significasse un concreto aumento dei fondi per la cooperazione destinati ai paesi in via di sviluppo.6

La strada per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030 rimane quindi in salita e piena di ostacoli. Eppure, in una contingenza geo­politica inedita e in una fase di crisi del multilateralismo, in cui gran­di attori globali si sfilano dagli impegni presi in sede internazionale e vengono meno alle proprie responsabilità verso le future generazioni, l’Unione europea può e deve diventare una speranza, può e deve esse­re in grado di dimostrare visione, compattezza e determinazione ponendosi alla guida dell’attua­zione degli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030. Non soltanto per una que­stione etica che riguarda che rapporto abbiamo con la parte più povera del mondo e che tipo di pianeta lasceremo a chi verrà dopo di noi, ma anche, con un po’ di lungimiranza, perché sa­rebbe il modo migliore di riguadagnarsi spazi di leadership sullo scacchiere globale, contribuen­do alla transizione ecologica indispensabile per salvare il pianeta, come chiedono migliaia di gio­vani che scioperano per il clima insieme a Greta Thunberg, ma anche a riequilibrare il divario con la parte più povera del mondo riducendo le diseguaglianze globali, che sono tra le cause dei flussi migratori che l’Unione non è ancora riuscita ad affrontare con una gestione condivisa, basata su solidarietà e condivisione equa delle responsabilità. In sintesi, l’Agenda 2030 offre un’opportunità storica di fare le cose giuste per assicurare un futuro di sostenibilità ed equità sociale al pianeta e al contempo per superare la crisi politica dell’Unione europea.

L’Italia può scegliere di avere in questo un ruolo da protagonista. Si è dotata nel 2017 di una Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibi­le, ed è positivo che il programma del governo che si è recentemente insediato rechi una menzione esplicita dell’Agenda 2030 già nel terzo punto, ma servirà uno sforzo considerevole per costruire una gover­nance adeguata e strumenti anche nuovi per permettere di allineare le proprie politiche in modo trasversale e coerente all’Agenda 2030. Di grande importanza sarà pure il raccordo delle politiche nazionali con quelle regionali e locali, che dovranno tendere al raggiungimen­to degli stessi obiettivi, e ci sono già molti esempi di buone pratiche sviluppate a livello locale da cui prendere spunto e da mettere in rete.

Speriamo quindi, e lavoriamo assiduamente a ogni livello, affinché l’Unione europea e il nostro paese si dimostrino all’altezza di queste sfide cruciali per il futuro.

 


 

[1] Banca mondiale, Groundswell: Preparing for Internal Climate Migration, Washington 2018, disponibile qui.

[2] A. Langer, Colloqui di Dobbiaco, 1.8.1994, in Il viaggiatore leggero, Sellerio, Palermo 1996, disponibile qui.

[3] L’elenco dei 17 SDGs e dei 169 target è consultabile sul sito dedicato delle Nazioni Unite: sustainabledevelopment.un.org

[4] Data Revolution Group, A World That Counts, novembre 2014, disponibile qui.

[5] Parlamento europeo, Relazione strategica annuale sull’attuazione e la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, P8_TA-PROV(2019)0220, disponibile qui.

[6] Concord, Aid Watch 2018. EU Aid: a Broken Ladder?, Bruxelles 2018, disponibile qui.

 

 

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Acquerello di Emanuele Ragnisco