La penetrazione dello Stato Islamico in Sirte e Cirenaica

Di Arturo Varvelli Mercoledì 14 Ottobre 2015 15:28 Stampa

Lo Stato Islamico ha trovato nel paese nordafricano un terreno fertile per la propria espansione, anche se, a differenza dell’Iraq e della Siria, in questo caso non è possibile parlare di effettive conquiste territoriali. In Libia, infatti, l’IS ha approfittato della presenza di gruppi jihadisti radicali, che sono stati reclutati dal califfato. La diffusione di movimenti e rivendicazioni jihadiste, tuttavia, non va ricondotta a un reale estremismo religioso, quanto alla ricerca di un canale per l’espressione delle insoddisfazioni causate dalla drammatica situazione politica e socioeconomica del paese. Qualunque sia l’esito dei negoziati condotti dall’ONU è improbabile che nel breve periodo la Libia venga stabilizzata e persiste il pericolo di un’alleanza funzionale fra i diversi gruppi islamisti radicali presenti nel paese.

Lo Stato Islamico è solo l’ultimo dei gruppi terroristici presenti in Libia e nel Maghreb. Il panorama jihadista in Libia è molto ampio. Diverse reti salafo-jihadiste hanno eletto il paese a safe haven fin dal 2012. Dopo la caduta del regime di Gheddafi il paese è rapidamente scivolato verso il fallimento a causa del mancato monopolio dell’uso della forza da parte dell’autorità centrale, della presenza di numerose milizie e della crescente polarizzazione che ha portato alla creazione, nell’agosto del 2014, di due governi e due parlamenti differenti, uno a Tobruk, l’altro a Tripoli. Di conseguenza, anche la sua economia sta attraversando un periodo difficile a causa della contemporanea diminuzione dei prezzi petroliferi e delle continue interruzioni degli impianti di estrazione e produzione di energia dalle quali dipende fortemente. Da mesi le vendite di petrolio sono circa un terzo di quelle standard, mentre la banca centrale continua a pagare le due amministrazioni e le milizie a esse affiliate. Il World Food Programme ha consegnato a giugno la prima tranche di aiuti alimentari nell’Est del paese, dove si contano già migliaia di famiglie di rifugiati e sfollati a causa del conflitto. In questa situazione politico-economica lo Stato Islamico ha trovato terreno fertile per penetrare in Libia. La capacità di IS di espandersi nel paese nordafricano non è legata a un’effettiva conquista territoriale, ma si spiega soprattutto con la sua abilità nel reclutare nuovi membri all’interno delle formazioni radicali già presenti in questo territorio, come Ansar al-Sharia (ASL), e a quella di cooptare gruppi di miliziani in aree tribali che si sentono esclusi da una possibile sistemazione del paese. Quando si parla di IS in Libia si fa perciò spesso riferimento a gruppi che scelgono di giurare fedeltà (bai’a) al califfato in cambio di una legittimazione.

IS in Libia è particolarmente presente in due aree: quella di Derna e della Cirenaica e quella di Sirte. La Cirenaica è storicamente un grande bacino di reclutamento del jihad internazionale. È interessante notare che questa “propensione jihadista” appare più legata a un modo tradizionale di esprimere malcontento e insoddisfazione per la situazione interna (radicata nel periodo Gheddafi), piuttosto che reale estremismo teologico: una sorta di “jihadismo funzionale” più che dottrinale. I jihadisti libici hanno rappresentato il gruppo più numeroso di combattenti stranieri a sostegno di al Qaeda e altre milizie operanti in Iraq a metà del primo decennio degli anni Duemila, in Afghanistan e, più di recente, in Siria. I mujaheddin, jihadisti di ritorno dalla prima linea, una volta rientrati sono quindi in grado di radicalizzare il loro ambiente originale, favorendo il proselitismo estremista e il mimetismo radicale; creare nuovi gruppi jihadisti e cellule; formare nuovi membri aggiornando la capacità di combattimento dei militanti locali; allargare le reti estremiste, con la diffusione dell’ideologia salafita-jihadista, delegittimando al contempo le autorità locali tradizionali.

In Cirenaica e a Derna, una città di 80.000 abitanti sulla costa mediterranea, questo era un fenomeno già noto. Ma la crisi in Siria/Iraq ha incrementato il fenomeno in modo significativo, creando un’ondata di combattenti rimpatriati che hanno avuto un effetto disastroso per la sicurezza della Libia. Nell’ottobre 2014 un gruppo jihadista locale, de- nominato Islamic Youth Shura Council, si è dichiarato appartenente al califfato. La leadership dell’IS, poche settimane dopo, ha formalmente accettato la proclamazione e ufficialmente “annesso” questa città nello Stato Islamico. Ciò sembra essere il risultato di un piano di espansione formulato in Siria e in Iraq: i primi militanti di Abu Bakr al-Baghdadi erano giunti in Libia già nella primavera del 2014, quando gli uomini della brigata al-Battar, composta interamente da volontari libici, hanno iniziato a rientrare dalla guerra in Siria e in Iraq. Questa brigata era composta da 300 jihadisti, distribuiti in precedenza a Deir el-Zor (Siria) e Mosul (Iraq). Come detto in un report della CNN, nel mese di novembre il ramo di IS a Derna contava circa 800 combattenti e gestiva una mezza dozzina di campi d’addestramento nei dintorni della città. Nel mese di settembre 2014, con l’obiettivo di contribuire alla brigata al-Battar, Baghdadi ha organizzato l’acquisizione di Derna con l’invio di uno dei suoi collaboratori, Abu Nabil al-Anbari, un iracheno veterano di IS. La città di Derna si dava una struttura amministrativa autonoma governata da un predicatore saudita (o yemenita a seconda delle fonti), Mohammed Abdullah (nome di battaglia Abu al-Baraa al-Azdi). Come molti dei miliziani che hanno fondato l’emirato di Wilayat di Barqa (“la Provincia di Cirenaica”), al-Azdi ha combattuto in Siria. Derna è diventata rapidamente il nuovo bacino di reclutamento dei combattenti provenienti dal Nord Africa, soprattutto dalla Tunisia. L’IS è stato in grado di reclutare velocemente altri combattenti a Beida, Bengasi, Homs e soprattutto nella capitale Tripoli, come si è visto con l’attacco all’hotel Corinthia a fine gennaio 2015, e a Sirte, come recentemente dimostrato. Le dinamiche dell’ascesa dell’IS a Sirte sono molto diverse. Il contesto appare per certi versi simile a quello che ha favorito l’IS in Iraq. Il governo iracheno sotto Nuri al-Maliki ha emarginato ampie fasce della popolazione irachena sunnita: molte tribù sunnite hanno cominciato a considerare IS come il male minore rispetto a quello che consideravano un governo iracheno corrotto e debole. Anche se la Libia non è caratterizzata dallo stesso settarismo, non appare un caso che IS abbia ampliato la propria attività a Sirte, la città natale di Muammar Gheddafi e territorio di presenza della tribù Qaddafa. Nel febbraio scorso, sulla spiaggia di Sirte lo Stato Islamico ha decapitato 21 cristiani copti egiziani. Dalla sua caduta, la tribù Qaddafa è stata emarginata e ostracizzata dal governo di Tripoli e accusata da altre milizie di connivenza con il passato regime e, talvolta, duramente colpita per questo motivo. Parte dei giovani della tribù di Gheddafi pare abbiano quindi sposato la causa dell’IS più per motivazioni politiche che ideologiche. Ad agosto si sono verificati diversi scontri tribali dopo che lo Stato Islamico ha ucciso un imam di primo piano, Khalid bin Rajab Ferjani, della tribù al-Farjan, una forza notevole in molte delle città costiere centrali della Libia. L’assassinio si è verificato dopo che salafiti locali e i capi tribù al-Farjan si erano rifiutati di giurare fedeltà allo Stato Islamico. Osama al Karrami, capo libico dello Stato Islamico nella zona di Sirte, è parente e parte del clan di Ismail Karrami, capo dell’agenzia antidroga durante il regime di Gheddafi e leader di una milizia pro-Gheddafi durante la rivolta del 2011. Questo sembra essere una conferma del fatto che alcuni sostenitori del colonnello si siano riciclati all’interno delle forze di IS.

Nel frattempo, mentre a Sirte IS diventava una forza militare di grande rilevanza e minacciava la conquista delle infrastrutture petrolifere del Bacino della Sirte, a Derna subiva una importante sconfitta a opera di milizie radicali locali, a dimostrazione della volatilità delle vicende nel paese e della complessa frammentarietà anche all’interno delle forze dell’Islam radicale. A seguito dell’uccisione di un jihadista vicino ad al Qaeda, Nasir Atiyah al Akar, e membro del Mujahideen Shura Council, un’alleanza formata da jihadisti locali e guidata principalmente dalla brigata dei Martiri di Abu Salim, un gruppo radicale già attivo durante la rivolta del 2011, è scoppiato un conflitto tra questi gruppi e IS di Derna. Ciò dimostra che, nel composito quadro libico, persiste la percezione di IS come qualcosa di esogeno alla tradizione islamista libica. Come è evidente nel caso di Derna, alcune fazioni armate locali e jihadisti considerano lo Stato Islamico come un infiltrato e concorrente. Molto controversi sono i rapporti tra la succursale dell’IS in Libia e la principale milizia islamista radicale Ansar al-Sharia. La linea di demarcazione tra IS e ASL è percepita in modo crescente come fluida. Ansar al-Sharia, responsabile dell’omicidio dell’ambasciatore americano Christopher Stevens nel 2012, e varie milizie alleate sembrano ammirare IS, in particolare i gruppi più giovani. ASL non è solo un gruppo terroristico, ma sembra anche cercare consenso presso la popolazione attraverso la dawa (predicazione) e attività caritatevoli e di controllo del territorio in sostituzione di istituzioni statali inesistenti, con l’obiettivo di diventare qualcosa di molto simile ad Hamas nei territori palestinesi occupati. Dopo l’attacco dell’11 settembre 2012, ad esempio, ASL ha mostrato una certa apertura e disponibilità a lavorare entro i confini dello Stato, cercando di prendere le distanze dalle accuse di appartenere pienamente alla rete di al Qaeda o di essere solo un nome di copertura della stessa. Sebbene ASL abbia probabilmente almeno 10.000 membri, gli effettivi combattenti sarebbero meno di 1000. Se il gruppo sembra avere principalmente un obiettivo locale – conquistare il potere in Libia – non è immune alla chiamata di al Qaeda per un jihad violento e globale. A tal fine ha orchestrato attacchi contro uffici internazionali (Stati Uniti e legazioni europee, sede della Croce rossa ecc.) e l’uccisione e il rapimento di cittadini occidentali. ASL aveva rinunciato a svolgere un massiccio jihad armato in Libia, strada intrapresa invece da IS, perché puntava a creare uno Stato Islamico guadagnando gradualmente il controllo delle istituzioni statali e impegnandosi nel campo sociale. Tuttavia, la campagna militare contro di loro (organizzata dal generale Haftar) li ha costretti a un confronto militare diretto e, talvolta, ad accettare una convergenza tattica con IS, ad esempio a Bengasi. Recentemente, il gruppo sembra essersi notevolmente indebolito e sfaldato a causa della perdita di alcuni leader.

ASL ha dimostrato di aver già rifiutato nel recente passato un rapporto più stabile con al Qaeda, evitando di diventarne la filiale in Libia. Tuttavia, al Qaeda non è riuscita a conquistare la fedeltà di ASL e di altre milizie radicali che sono rimaste indipendenti e principalmente focalizzate su obiettivi locali. Abdel Basset Azouz, inviato dall’organizzazione, aveva iniziato a reclutare combattenti nella regione orientale del paese, vicino al confine con l’Egitto, riuscendo a mobilitare più di 200 combattenti con l’aiuto di Abu Anas al-Libi, un ingegnere informatico. Abu Anas al-Libi è stato catturato a Tripoli il 5 ottobre 2013, da parte di agenti della Delta Force americana; Abdel Basset Azouz è stato arrestato in Turchia il 13 novembre 2014 e poi consegnato alla Giordania. Ciò dimostra la difficoltà di al Qaeda a espandere le sue attività in Libia. Nella regione a Sud, il Fezzan, sono invece sempre più presenti gruppi radicali legati ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) e dediti a commerci illegali. Quest’area appare sempre di più una sorta di hub o safe haven per organizzazioni criminali e terroristiche.

In conclusione, IS, al Qaeda e jihadisti locali sembrano avere obiettivi diversi e appare evidente anche una crescente concorrenza, ma allo stesso tempo convergenze tattiche tra di loro su obiettivi e scopi specifici appaiono sempre più probabili. È altrettanto vero che una presenza straniera sul suolo libico (in particolare occidentale) finirebbe per alimentare una nuova fortissima propaganda che favorirebbe una convergenza dei gruppi radicali sotto il cappello dell’IS.

SCENARI

La situazione potrebbe evolvere in due scenari, ma in ogni caso è comunque certo che la Libia del prossimo futuro rimarrà altamente instabile e la minaccia terroristica resterà assai rilevante. Il primo: se si riuscisse a concretizzare un accordo sotto la faticosa mediazione dell’inviato dell’ONU Bernardino León, come appare possibile mentre si scrive questo articolo, il maggior vantaggio che ne deriverebbe non sarebbe una rapida e maggior stabilità del paese (che rimarrebbe comunque in preda alla volontà delle milizie sul campo), ma la creazione di un governo di unità che consentirebbe alla comunità internazionale di avere un interlocutore unico con un maggior grado di “legittimità”. Ciò permetterebbe di chiedere collaborazione al governo libico nel campo della sicurezza e del controllo dell’immigrazione o di stipulare accordi con esso. Sotto pressione internazionale il governo libico, in ogni caso molto fragile, potrebbe “formalmente” dichiarare guerra all’IS ed essere aiutato dall’esterno, magari da quella stessa coalizione internazionale che già cerca di fronteggiare il califfato in Siria e Iraq. Si creerebbe un discrimine politico – forse un po’ manicheo – tra chi appoggia la lotta e chi non lo fa, che servirebbe però a riformulare e semplificare il complesso quadro politico e militare del paese.

L’IS in Libia è una minaccia consistente che trae beneficio dall’anarchia e che trova supporto in pezzi del paese che si sentono emarginati. Tuttavia non sembrano esserci le premesse settarie che ne hanno permesso l’ascesa in Siria e Iraq e il califfato locale è contrastato non solamente dalle forze di Haftar ma anche da misuratini e, come si è già detto, si sono addirittura aperte faide con altri gruppi jihadisti a Derma. Questo primo scenario vede quindi una Libia molto fragile ma ancora unitaria e con qualche speranza di stabilizzarsi sul lungo periodo. Il secondo scenario, e forse più probabile, parte dal presupposto del fallimento della mediazione. Il paese in tal caso sarebbe destinato ad affrontare non solamente una crisi politica e di sicurezza ma anche a trascinarsi verso una crisi economica fiscale poiché impossibilitato a esportare le risorse energetiche e ricavarne la rendita. Il rischio molto concreto è che anche i libici comincino a essere costretti a emigrare, probabilmente verso Egitto e Tunisia (dove vi sono già diverse centinaia di migliaia di espatriati). Questa situazione sarebbe purtroppo la più favorevole per un radicamento criminale delle milizie che otterrebbero sostentamento unicamente dal controllo territoriale delle attività illecite o in un confronto aperto per il controllo dei pozzi di greggio. In questa condizione i gruppi radicali islamici, di vario tipo, troverebbero terreno fecondo per la loro azione.

Lo Stato Islamico è solo l’ultimo dei gruppi terroristici presenti in Libia e nel Maghreb. Il panorama jihadista in Libia è molto ampio. Diverse reti salafo-jihadiste hanno eletto il paese a safe haven fin dal 2012. Dopo la caduta del regime di Gheddafi il paese è rapidamente scivolato verso il fallimento a causa del mancato monopolio dell’uso della forza da parte dell’autorità centrale, della presenza di numerose milizie e della crescente polarizzazione che ha portato alla creazione, nell’agosto del 2014, di due governi e due parlamenti differenti, uno a Tobruk, l’altro a Tripoli. Di conseguenza, anche la sua economia sta attraversando un periodo difficile a causa della contemporanea diminuzione dei prezzi petroliferi e delle continue interruzioni degli impianti di estrazione e produzione di energia dalle quali dipende fortemente. Da mesi le vendite di petrolio sono circa un terzo di quelle standard, mentre la banca centrale continua a pagare le due amministrazioni e le milizie a esse affiliate. Il World Food Programme ha consegnato a giugno la prima tranche di aiuti alimentari nell’Est del paese, dove si contano già migliaia di famiglie di rifugiati e sfollati a causa del conflitto. In questa situazione politico-economica lo Stato Islamico ha trovato terreno fertile per penetrare in Libia. La capacità di IS di espandersi nel paese nordafricano non è legata a un’effettiva conquista territoriale, ma si spiega soprattutto con la sua abilità nel reclutare nuovi membri all’interno delle formazioni radicali già presenti in questo territorio, come Ansar al-Sharia (ASL), e a quella di cooptare gruppi di miliziani in aree tribali che si sentono esclusi da una possibile sistemazione del paese. Quando si parla di IS in Libia si fa perciò spesso riferimento a gruppi che scelgono di giurare fedeltà (bai’a) al califfato in cambio di una legittimazione.

IS in Libia è particolarmente presente in due aree: quella di Derna e della Cirenaica e quella di Sirte. La Cirenaica è storicamente un grande bacino di reclutamento del jihad internazionale. È interessante notare che questa “propensione jihadista” appare più legata a un modo tradizionale di esprimere malcontento e insoddisfazione per la situazione interna (radicata nel periodo Gheddafi), piuttosto che reale estremismo teologico: una sorta di “jihadismo funzionale” più che dottrinale. I jihadisti libici hanno rappresentato il gruppo più numeroso di combattenti stranieri a sostegno di al Qaeda e altre milizie operanti in Iraq a metà del primo decennio degli anni Duemila, in Afghanistan e, più di recente, in Siria. I mujaheddin, jihadisti di ritorno dalla prima linea, una volta rientrati sono quindi in grado di radicalizzare il loro ambiente originale, favorendo il proselitismo estremista e il mimetismo radicale; creare nuovi gruppi jihadisti e cellule; formare nuovi membri aggiornando la capacità di combattimento dei militanti locali; allargare le reti estremiste, con la diffusione dell’ideologia salafita-jihadista, delegittimando al contempo le autorità locali tradizionali.

In Cirenaica e a Derna, una città di 80.000 abitanti sulla costa mediterranea, questo era un fenomeno già noto. Ma la crisi in Siria/Iraq ha incrementato il fenomeno in modo significativo, creando un’ondata di combattenti rimpatriati che hanno avuto un effetto disastroso per la sicurezza della Libia. Nell’ottobre 2014 un gruppo jihadista locale, de- nominato Islamic Youth Shura Council, si è dichiarato appartenente al califfato. La leadership dell’IS, poche settimane dopo, ha formalmente accettato la proclamazione e ufficialmente “annesso” questa città nello Stato Islamico. Ciò sembra essere il risultato di un piano di espansione formulato in Siria e in Iraq: i primi militanti di Abu Bakr al-Baghdadi erano giunti in Libia già nella primavera del 2014, quando gli uomini della brigata al-Battar, composta interamente da volontari libici, hanno iniziato a rientrare dalla guerra in Siria e in Iraq. Questa brigata era composta da 300 jihadisti, distribuiti in precedenza a Deir el-Zor (Siria) e Mosul (Iraq). Come detto in un report della CNN, nel mese di novembre il ramo di IS a Derna contava circa 800 combattenti e gestiva una mezza dozzina di campi d’addestramento nei dintorni della città. Nel mese di settembre 2014, con l’obiettivo di contribuire alla brigata al-Battar, Baghdadi ha organizzato l’acquisizione di Derna con l’invio di uno dei suoi collaboratori, Abu Nabil al-Anbari, un iracheno veterano di IS. La città di Derna si dava una struttura amministrativa autonoma governata da un predicatore saudita (o yemenita a seconda delle fonti), Mohammed Abdullah (nome di battaglia Abu al-Baraa al-Azdi). Come molti dei miliziani che hanno fondato l’emirato di Wilayat di Barqa (“la Provincia di Cirenaica”), al-Azdi ha combattuto in Siria. Derna è diventata rapidamente il nuovo bacino di reclutamento dei combattenti provenienti dal Nord Africa, soprattutto dalla Tunisia. L’IS è stato in grado di reclutare velocemente altri combattenti a Beida, Bengasi, Homs e soprattutto nella capitale Tripoli, come si è visto con l’attacco all’hotel Corinthia a fine gennaio 2015, e a Sirte, come recentemente dimostrato. Le dinamiche dell’ascesa dell’IS a Sirte sono molto diverse. Il contesto appare per certi versi simile a quello che ha favorito l’IS in Iraq. Il governo iracheno sotto Nuri al-Maliki ha emarginato ampie fasce della popolazione irachena sunnita: molte tribù sunnite hanno cominciato a considerare IS come il male minore rispetto a quello che consideravano un governo iracheno corrotto e debole. Anche se la Libia non è caratterizzata dallo stesso settarismo, non appare un caso che IS abbia ampliato la propria attività a Sirte, la città natale di Muammar Gheddafi e territorio di presenza della tribù Qaddafa. Nel febbraio scorso, sulla spiaggia di Sirte lo Stato Islamico ha decapitato 21 cristiani copti egiziani. Dalla sua caduta, la tribù Qaddafa è stata emarginata e ostracizzata dal governo di Tripoli e accusata da altre milizie di connivenza con il passato regime e, talvolta, duramente colpita per questo motivo. Parte dei giovani della tribù di Gheddafi pare abbiano quindi sposato la causa dell’IS più per motivazioni politiche che ideologiche. Ad agosto si sono verificati diversi scontri tribali dopo che lo Stato Islamico ha ucciso un imam di primo piano, Khalid bin Rajab Ferjani, della tribù al-Farjan, una forza notevole in molte delle città costiere centrali della Libia. L’assassinio si è verificato dopo che salafiti locali e i capi tribù al-Farjan si erano rifiutati di giurare fedeltà allo Stato Islamico. Osama al Karrami, capo libico dello Stato Islamico nella zona di Sirte, è parente e parte del clan di Ismail Karrami, capo dell’agenzia antidroga durante il regime di Gheddafi e leader di una milizia pro-Gheddafi durante la rivolta del 2011. Questo sembra essere una conferma del fatto che alcuni sostenitori del colonnello si siano riciclati all’interno delle forze di IS.

Nel frattempo, mentre a Sirte IS diventava una forza militare di grande rilevanza e minacciava la conquista delle infrastrutture petrolifere del Bacino della Sirte, a Derna subiva una importante sconfitta a opera di milizie radicali locali, a dimostrazione della volatilità delle vicende nel paese e della complessa frammentarietà anche all’interno delle forze dell’Islam radicale. A seguito dell’uccisione di un jihadista vicino ad al Qaeda, Nasir Atiyah al Akar, e membro del Mujahideen Shura Council, un’alleanza formata da jihadisti locali e guidata principalmente dalla brigata dei Martiri di Abu Salim, un gruppo radicale già attivo durante la rivolta del 2011, è scoppiato un conflitto tra questi gruppi e IS di Derna. Ciò dimostra che, nel composito quadro libico, persiste la percezione di IS come qualcosa di esogeno alla tradizione islamista libica. Come è evidente nel caso di Derna, alcune fazioni armate locali e jihadisti considerano lo Stato Islamico come un infiltrato e concorrente. Molto controversi sono i rapporti tra la succursale dell’IS in Libia e la principale milizia islamista radicale Ansar al-Sharia. La linea di demarcazione tra IS e ASL è percepita in modo crescente come fluida. Ansar al-Sharia, responsabile dell’omicidio dell’ambasciatore americano Christopher Stevens nel 2012, e varie milizie alleate sembrano ammirare IS, in particolare i gruppi più giovani. ASL non è solo un gruppo terroristico, ma sembra anche cercare consenso presso la popolazione attraverso la dawa (predicazione) e attività caritatevoli e di controllo del territorio in sostituzione di istituzioni statali inesistenti, con l’obiettivo di diventare qualcosa di molto simile ad Hamas nei territori palestinesi occupati. Dopo l’attacco dell’11 settembre 2012, ad esempio, ASL ha mostrato una certa apertura e disponibilità a lavorare entro i confini dello Stato, cercando di prendere le distanze dalle accuse di appartenere pienamente alla rete di al Qaeda o di essere solo un nome di copertura della stessa. Sebbene ASL abbia probabilmente almeno 10.000 membri, gli effettivi combattenti sarebbero meno di 1000. Se il gruppo sembra avere principalmente un obiettivo locale – conquistare il potere in Libia – non è immune alla chiamata di al Qaeda per un jihad violento e globale. A tal fine ha orchestrato attacchi contro uffici internazionali (Stati Uniti e legazioni europee, sede della Croce rossa ecc.) e l’uccisione e il rapimento di cittadini occidentali. ASL aveva rinunciato a svolgere un massiccio jihad armato in Libia, strada intrapresa invece da IS, perché puntava a creare uno Stato Islamico guadagnando gradualmente il controllo delle istituzioni statali e impegnandosi nel campo sociale. Tuttavia, la campagna militare contro di loro (organizzata dal generale Haftar) li ha costretti a un confronto militare diretto e, talvolta, ad accettare una convergenza tattica con IS, ad esempio a Bengasi. Recentemente, il gruppo sembra essersi notevolmente indebolito e sfaldato a causa della perdita di alcuni leader.

ASL ha dimostrato di aver già rifiutato nel recente passato un rapporto più stabile con al Qaeda, evitando di diventarne la filiale in Libia. Tuttavia, al Qaeda non è riuscita a conquistare la fedeltà di ASL e di altre milizie radicali che sono rimaste indipendenti e principalmente focalizzate su obiettivi locali. Abdel Basset Azouz, inviato dall’organizzazione, aveva iniziato a reclutare combattenti nella regione orientale del paese, vicino al confine con l’Egitto, riuscendo a mobilitare più di 200 combattenti con l’aiuto di Abu Anas al-Libi, un ingegnere informatico. Abu Anas al-Libi è stato catturato a Tripoli il 5 ottobre 2013, da parte di agenti della Delta Force americana; Abdel Basset Azouz è stato arrestato in Turchia il 13 novembre 2014 e poi consegnato alla Giordania. Ciò dimostra la difficoltà di al Qaeda a espandere le sue attività in Libia. Nella regione a Sud, il Fezzan, sono invece sempre più presenti gruppi radicali legati ad Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQIM) e dediti a commerci illegali. Quest’area appare sempre di più una sorta di hub o safe haven per organizzazioni criminali e terroristiche.

In conclusione, IS, al Qaeda e jihadisti locali sembrano avere obiettivi diversi e appare evidente anche una crescente concorrenza, ma allo stesso tempo convergenze tattiche tra di loro su obiettivi e scopi specifici appaiono sempre più probabili. È altrettanto vero che una presenza straniera sul suolo libico (in particolare occidentale) finirebbe per alimentare una nuova fortissima propaganda che favorirebbe una convergenza dei gruppi radicali sotto il cappello dell’IS.

SCENARI

La situazione potrebbe evolvere in due scenari, ma in ogni caso è comunque certo che la Libia del prossimo futuro rimarrà altamente instabile e la minaccia terroristica resterà assai rilevante. Il primo: se si riuscisse a concretizzare un accordo sotto la faticosa mediazione dell’inviato dell’ONU Bernardino León, come appare possibile mentre si scrive questo articolo, il maggior vantaggio che ne deriverebbe non sarebbe una rapida e maggior stabilità del paese (che rimarrebbe comunque in preda alla volontà delle milizie sul campo), ma la creazione di un governo di unità che consentirebbe alla comunità internazionale di avere un interlocutore unico con un maggior grado di “legittimità”. Ciò permetterebbe di chiedere collaborazione al governo libico nel campo della sicurezza e del controllo dell’immigrazione o di stipulare accordi con esso. Sotto pressione internazionale il governo libico, in ogni caso molto fragile, potrebbe “formalmente” dichiarare guerra all’IS ed essere aiutato dall’esterno, magari da quella stessa coalizione internazionale che già cerca di fronteggiare il califfato in Siria e Iraq. Si creerebbe un discrimine politico – forse un po’ manicheo – tra chi appoggia la lotta e chi non lo fa, che servirebbe però a riformulare e semplificare il complesso quadro politico e militare del paese.

L’IS in Libia è una minaccia consistente che trae beneficio dall’anarchia e che trova supporto in pezzi del paese che si sentono emarginati. Tuttavia non sembrano esserci le premesse settarie che ne hanno permesso l’ascesa in Siria e Iraq e il califfato locale è contrastato non solamente dalle forze di Haftar ma anche da misuratini e, come si è già detto, si sono addirittura aperte faide con altri gruppi jihadisti a Derma. Questo primo scenario vede quindi una Libia molto fragile ma ancora unitaria e con qualche speranza di stabilizzarsi sul lungo periodo. Il secondo scenario, e forse più probabile, parte dal presupposto del fallimento della mediazione. Il paese in tal caso sarebbe destinato ad affrontare non solamente una crisi politica e di sicurezza ma anche a trascinarsi verso una crisi economica fiscale poiché impossibilitato a esportare le risorse energetiche e ricavarne la rendita. Il rischio molto concreto è che anche i libici comincino a essere costretti a emigrare, probabilmente verso Egitto e Tunisia (dove vi sono già diverse centinaia di migliaia di espatriati). Questa situazione sarebbe purtroppo la più favorevole per un radicamento criminale delle milizie che otterrebbero sostentamento unicamente dal controllo territoriale delle attività illecite o in un confronto aperto per il controllo dei pozzi di greggio. In questa condizione i gruppi radicali islamici, di vario tipo, troverebbero terreno fecondo per la loro azione.