Cosa ci dice la vittoria di Ocasio-Cortez sulla politica americana

Di Martino Mazzonis Venerdì 07 Settembre 2018 12:06 Stampa

 

La colpa deve essere dello stato di salute della sinistra italiana. Solo così si spiega l’immane attenzione generata dalla vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez, ventottenne socialista e democratica del Bronx, alle primarie del suo partito per il distretto elettorale che elegge un rappresentante alla Camera di Washington. Ricordiamolo: il 14° distretto di New York elegge una sola persona a Washington, è saldamente democratico e la città tende a esprimere anche eletti con posizioni di sinistra – ad esempio il sindaco, Bill de Blasio. La differenza con il sindaco liberal è che la donna del Bronx è affiliata ai Democratic Socialists of America che non sono un partito ma un’organizzazione politica che, in fondo, è per il superamento del capitalismo. I DSA sostengono candidati, a volte vincono primarie democratiche, a volte danno il loro contributo e dopo la vittoria di Trump (e la sconfitta di Sanders) le loro fila si sono ingrossate. Oggi hanno quasi 50.000 iscritti e l’età media è inferiore ai 35 anni, mentre dieci anni fa l’età media era 68 anni. Oggi, insomma, i DSA sono un fenomeno generazionale: la generazione che ha conosciuto quasi solo la crisi non aspira più al sogno americano come i suoi genitori e, in alcuni casi, lo mette persino in discussione.

La vicenda della giovane portoricana e star del momento della politica statunitense è stranota, ma riassumiamola comunque. Il distretto elettorale che include Bronx e Queens eleggeva da diverse legislature James Crowley, figura con un profilo politico-istituzionale piuttosto schierato a sinistra, abile gestore della macchina politica della città – come la maggior parte dei notabili democratici locali – di origini irlandesi, destinato a diventare il leader del partito alla Camera e gran raccoglitore di fondi elettorali provenienti dai poteri economici della città. Che nel caso di New York significa finanza, banche, immobiliare. Con una campagna capace di parlare trasversalmente a bianchi e a minoranze, giovani e meno giovani, con proposte elettorali chiare e rispondenti alle preoccupazioni di enormi quartieri molto diversi tra loro, in parte gentrificati e in parte no, la giovane ex militante della campagna Sanders ha sbaragliato il politico navigato. Una vittoria schiacciante quanto difficile da prevedere: Crowley aveva dalla sua la macchina elettorale rodata, i soldi – dieci volte di più – e una piattaforma elettorale capace di parlare a un pubblico tendenzialmente di sinistra come quello di New York. Ocasio-Cortez aveva dalla sua la voglia di cambiamento degli elettori, una dote innata nel comunicare, la capacità di coinvolgere volontari e una strategia di campagna indovinata.

La vittoria di questa novizia della politica dalle idee chiare è frutto di molti elementi concorrenti: il distretto elettorale nel quale si votava è cambiato nel corso degli anni e gli irlandesi e gli italiani che lo abitavano si sono spostati nei suburbs. Non che gli elettori di una grande città siano necessariamente motivati dal colore della pelle o dal cognome di un candidato, ma nel momento in cui si presenta un’alternativa che ti somiglia e nelle settimane in cui il presidente Trump separa le famiglie al confine, avere origini ispaniche può essere stato un vantaggio.

L’altro vantaggio è essere giovani: alcune delle aree gentrificate del Queens (Astoria, ad esempio) sono popolate da giovani coppie tendenzialmente benestanti e dalle idee liberal. Queste famiglie sono però meno agiate dei loro equivalenti pre-crisi del 2008 e trovano le risposte di Ocasio-Cortez ad alcune grandi questioni aderenti ai loro bisogni e aspirazioni. Tre esempi per tutti: sanità pubblica pagata attraverso la fiscalità generale, più college e scuole pubbliche abbordabili, riduzione del prezzo degli affitti. Parlando di riforma del sistema giudiziario, Ocasio-Cortez si rivolgeva ai neri, parlando di immigrazione, agli ispanici. Casa e sanità sono poi – in misura diversa – temi trasversali, così come il congedo di maternità o quello di malattia, questioni che toccano differenti strati sociali in maniera diversa, ma che toccano tutti: la giovane coppia bianca di New York paga comunque una porzione enorme del proprio stipendio in affitto o mutuo, mentre l’ispanico o il nero vivono in case fatiscenti o sono a rischio sfratto dagli appartamenti ad affitto bloccato man mano che la gentrificazione si mangia nuove parti della città.

Il programma di Ocasio-Cortez riassunto su un volantino non è dunque ideologico in senso astratto. Fatta eccezione per il punto “un’economia di pace che aiuti i veterani e valorizzi l’umanità” e l’ipotesi di “programma di lavoro garantito” (un po’ diverso dal reddito universale, tra l’altro fasullo, di cui si discute in Italia). Attenzione però, sia di programmi statali di lavoro che del tema dei veterani si discute davvero e non in cerchie ristrette: un rapporto scritto da un gruppo di economisti autorevoli per il Center on Budget and Policy Priorities presenta un’ipotesi, valuta i costi, spiega perché potrebbe essere utile. Quel rapporto è stato tradotto in proposta di legge e firmato da diversi senatori potenziali candidati alle primarie presidenziali (no, non solo Bernie Sanders).

Ocasio-Cortez ha condotto una campagna nella quale ha incrociato un buon lavoro sui social network con il porta a porta ossessivo: se una persona vedeva il suo spot su Facebook a causa di una sponsorizzazione mirata, prima o poi un volontario della campagna avrebbe anche bussato alla sua porta. Non solo comunicazione social efficace, quindi – e lo spot, scritto da lei, è piuttosto efficace, ha una storia da raccontare che parla agli elettori di quei quartieri.

Il grande pregio della candidata socialista e democratica è però un altro: è brava, spontanea, si vede che ci crede e parla di cose che conosce. Tutte caratteristiche difficili da trovare nella politica nazionale statunitense, dove compromessi e non detti sono delle costanti delle lunghe carriere. C’è però un problema: se fino al 2000 il centro era il luogo di incontro per figure di schieramenti diversi attivamente impegnate per trovare compromessi capaci di far avanzare riforme di segno più conservatore o progressista a seconda dei rapporti di forza, oggi la società americana è piuttosto divisa. La ricerca del compromesso diviene quindi un handicap e le figure dialoganti non piacciono alle rispettive basi. Questo non significa che le nuove figure del partito debbano essere necessariamente radicali: molti dei vincitori delle primarie dei primi sei mesi del 2018 sono figure vicine all’establishment, ma spesso hanno un percorso politico pulito, sono figure originali, sono donne, sono appartenenti alle minoranze. E questo li rende più vicini agli elettori. Uno degli aspetti cruciali

della vicenda Ocasio-Cortez, come di altre figure radicali che hanno vinto primarie minori in questi mesi, è proprio la capacità di parlare la lingua giusta ai propri elettori: persone impegnate che raccontando la loro storia raccontano quella di chi ascolta. Non alla maniera alta e intellettuale che adottò Obama nel 2008, in maniera diretta.

Prendiamo le primarie per la carica di governatore del Michigan: un giovane candidato democratico si chiama Abdul El-Sayed, è sostenuto dall’ala sinistra, Ocasio-Cortez è in giro con lui, ha idee chiare su sanità e energie rinnovabili, è partito con il 4% nei sondaggi e mentre scriviamo è intorno al 20%. Difficile riesca a vincere contro la favorita Gretchen Whitmer, quarantaseienne ex deputata locale ed ex procuratore generale dello Stato, o contro Shri Thanedar, imprenditore chimico nato in India. La sua è però una delle figure in ascesa proprio per la capacità di combinare idee che si rivolgono alle preoccupazioni dei cittadini e freschezza oratoria dovuta alla giovane età e all’assenza di un passato politico ingombrante. A due settimane dal voto del 14° distretto di New York Ocasio-Cortez aveva più di 30 punti di ritardo da Crowley, ha vinto con 15 punti di distacco, un errore di 45 punti percentuali nei sondaggi che riguardano una porzione limitata di elettorato e si basano su serie storiche e, dunque, non sono in grado di registrare spostamenti rilevanti dal non voto al voto.

Un altro buon esempio del candidato giusto al posto giusto è Randy Bryce, ex metalmeccanico, ex veterano, sopravvissuto a un cancro e candidato in Wisconsin nel seggio detenuto dall’ex capo repubblicano alla Camera, Paul Ryan – che ha annunciato di non ricandidarsi, probabilmente per non perdere. In uno Stato molto bianco (83% della popolazione) il candidato che parla alla gente è un operaio perfetto per rintuzzare la retorica trumpiana. Bryce, come la media dei bianchi, non è un ragazzino, è stato arrestato per guida in stato di ebbrezza da giovane e quando lo intervistano può dire: “ho costruito con le mie mani pezzi delle infrastrutture che avete intorno”. Nel suo caso l’accento è sulla necessità di creare lavoro buono e pagato decentemente.

Altre figure, simili e diverse tra loro, sono le giovani candidate sostenute dai DSA che hanno vinto in primarie per posti di rappresentante statale in Pennsylvania. La trentasettenne Elizabeth Fiedler ha vinto parlando dell’utilità di avere un sistema sanitario che si prenda cura di tutti e raccontando di come senza l’assicurazione pubblica per i poveri – che copre anche persone non povere in senso assoluto – difficilmente avrebbe potuto pagare le spese mediche della sua gravidanza e del pediatra. La afro-americana Summer Lee ha vinto parlando dei 200.000 dollari di debito che ha contratto per pagarsi l’università. Il debito medio è quasi raddoppiato tra 2003 e 2008, dopo di allora il costo dell’università è cresciuto ancora e chi si laurea spesso non riesce a pagare la media di 350 dollari al mese di rata. Dei circa 30 milioni di studenti con un debito, circa 12 hanno ottenuto rinvii, pause o sono in default. Lee ha vinto le primarie in un distretto prevalentemente bianco, un segnale interessante di una politica che diventa anche un pochino post-razziale. Sara Innamorato, che ha fondato un gruppo di sostegno alle donne che vogliono candidarsi e racconta spesso di suo padre, morto per colpa della dipendenza da oppioidi (un modo gelido per parlare di eroina), ha invece battuto alle primarie Dom Costa che veniva eletto da cinque legislature consecutive ed è il tipico rappresentante di un certo modo di fare politica del Partito Democratico, assieme di sinistra e legato a gruppi organizzati ottimi per vincere le primarie (esempi non necessariamente veri in questo caso: pompieri, poliziotti, dipendenti del governo, lavoratori sindacalizzati). Le tre candidate hanno vinto grazie ai volontari, alla cooperazione tra campagne, a piccole donazioni individuali e a un messaggio chiaro: sanità pubblica, basta fracking nell’estrazione del gas. Oggi sono amiche e sono un (altro) piccolo caso nazionale.

La verità è però che non staremmo qui a parlare di Ocasio-Cortez da mesi se la sua vittoria non ci proponesse delle chiavi di lettura sulla natura dei democratici statunitensi e del loro elettorato. Nel partito è innegabilmente in atto un conflitto sulla direzione da prendere, ma le sfumature, le differenze riguardano molto anche lo Stato di provenienza, la natura dell’elettorato delle diverse figure che corrono. I liberal e i progressisti si sono organizzati al meglio dopo la galva nizzante e deludente esperienza della campagna Sanders nel 2016.

Oggi l’ala sinistra è alla guida dell’ondata di protesta anti-Trump nella quale ha per forza di cose un vantaggio e sta imponendo molti dei suoi temi – college e sanità sono un punto programmatico chiaro su cui dividersi, così come le tasse ai ricchi e alle corporations. Su alcuni temi forti l’asse centrale del partito è lontano anni luce da quello degli anni di Clinton e alcune figure che stanno diventando il baricentro del partito e sono potenziali candidati alle primarie presidenziali si sono spostate a sinistra o godono di un autorevolezza maggiore che in passato – la senatrice Elizabeth Warren, la neosenatrice Kamala Harris, il senatore Cory Booker. Costoro non sono sandersiani e meno che mai socialisti democratici, ma sono a favore della sanità pubblica, sono in prima fila nelle manifestazioni, hanno toni aggressivi sulle politiche dell’immigrazione di Trump. Poi ci sono i centristi pragmatici come Joe Biden, che nessuno sa dire se correrà alle primarie: l’ex vicepresidente è uno dai toni accesi e dalla politica moderata, ma capace di cambiare e di mettersi in sintonia con l’elettorato. Specie quello bianco e non più giovane. Ma è amato e probabilmente saprebbe dialogare con la sinistra. Lui e qualche obamiano sono più a sinistra di Clinton – come del resto ha provato a essere Hillary – ma evitano posizioni troppo nette in materia di sanità, si caratterizzano per un tono aggressivo nei confronti di Trump ma, come l’ex presidente, predicano la necessità di costruire ponti sul baratro che divide i democratici dai repubblicani. È una posizione sensata se si pensa alla necessità di produrre risultati in un Congresso i cui regolamenti richiedono alcuni voti dell’opposizione, ma non paga nell’urna. Non nei grandi Stati democratici, non a New York, non in California. Ma senza i moderati non si vincono seggi in posti come il Montana, dove il senatore dem, il mandriano Jon Tester difenderà il diritto a portare armi fino all’ultimo respiro.

Ma come l’Olanda non è la Grecia e la Lombardia non è la Puglia, neppure il Montana o il Maine sono la California o New York. Il Partito Democratico di un paese di 350 milioni di persone cambia al cambiare della mappa, della demografia locale, delle questioni che agitano le popolazioni nei diversi Stati. La vittoria di Alexandria Ocasio-Cortez dice qualcosa sugli elettori nuovi, sui non elettori che diventano elettori e sulle minoranze. Gli under 35 americani erano bambini durante la guerra al terrore, sono diventati adulti negli anni della crisi e sentono che soluzioni nuove sono necessarie per problemi vecchi e mai risolti dalle formule tradizionali democratiche e repubblicane. E per questo scelgono facce nuove, non amiche dei poteri forti e non badano necessariamente al colore della pelle. Il caso dei ragazzi di Parkland, Florida, divenuti celebrità nazionali della campagna per il controllo della vendita di armi è un altro buon esempio. Le minoranze sono sotto attacco ma al contempo si sentono più forti e mature che in passato. Per questo vogliono contare e chiedono soluzioni – i comportamenti della polizia, le leggi sull’immigrazione, la casa. La sottile linea su cui il Partito Democratico dovrà cercare di camminare è quella di dare risposte concrete e radicali a questi gruppi senza spaventare indipendenti e moderati propensi a votare democratico. Non è un esercizio impossibile. È un esercizio al quale dovrebbero concorrere i vecchi capi-bastone, cedendo terreno e aprendo sul programma, ma anche i rivoluzionari come Ocasio-Cortez, riconoscendo che l’America è un posto grande e complicato e che il Bronx non è uguale alla suburbia del New Jersey. Anche se questa dista dal borough di New York solo una trentina di chilometri in linea d’aria.