Editoriale. Effetto domino in Nord Africa

Di Italianieuropei Martedì 26 Aprile 2011 14:45 Stampa
Editoriale. Effetto domino in Nord Africa Illustrazione: Lorenzo Petrantoni

Nei paesi che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo è in corso un grande movimento di liberazione dall’oppressione di regimi autoritari che per decenni hanno conservato il potere e lo hanno esercitato, a volte in maniera violenta, senza rispettare i più elementari principi della democrazia.

Nei paesi che si affacciano sulla sponda meridionale del Mediterraneo è in corso un grande movimento di liberazione dall’oppressione di regimi autoritari che per decenni hanno conservato il potere e lo hanno esercitato, a volte in maniera violenta, senza rispettare i più elementari principi della democrazia.

Partita dalla Tunisia, spostatasi in Egitto e poi in Libia, e infine, anche se con un grado inferiore di incisività, in Yemen e in Siria, l’onda della protesta si è estesa a tutto il Nord Africa e in parte al Medio Oriente, scuotendo alle fondamenta l’ordine politico dell’intera regione.

Tutto ciò ha provocato e provoca sentimenti ambivalenti in un Occidente colto di sorpresa e impreparato ad affrontare tali eventi.

Persiste infatti, in alcuni leader di governo occidentali, un atteggiamento di prudenza verso quanto sta accadendo in Nord Africa, un atteggiamento alimentato dall’idea che se tutto fosse rimasto com’era l’Europa avrebbe potuto godere ancora a lungo di una sostanziale, tranquilla stabilità sul suo fronte meridionale. È un’idea sbagliata: il mondo arabo viveva una situazione politica in cui finiva con l’essere prigioniero di una frustrante immobilità.

Oggi quel mondo si è invece messo in movimento, grazie soprattutto allo straordinario coraggio delle sue nuove generazioni, che sono il vero motore della rivolta: giovani, fra cui tante donne, spesso istruiti che, nel tempo del villaggio globale, conoscono il mondo attraverso la TV, internet, i social network, e che attraverso questi canali vivono e comunicano la contraddizione profonda tra la loro condizione, tra la limitatezza delle loro aspettative e possibilità e quelle dei loro coetanei di altri paesi.

Ma il ruolo avuto dai nuovi mezzi di comunicazione non si è limitato solo al momento della presa di coscienza; essi hanno rappresentato soprattutto l’elemento di organizzazione della gente, della società civile, che si è dotata in questo modo di strumenti di coordinamento capaci di sfuggire al rigido controllo del potere.

Si sono così combinati due fattori che, quando si uniscono tra loro, rivelano potenzialità formidabili: il bisogno di libertà e la rivolta sociale; quella del popolo più umile e più povero, come in Egitto, o quella dei giovani che hanno studiato e vivono la frustrazione di non poter vedere realizzate le proprie aspettative, come in Tunisia.

Tratti radicalmente diversi presenta invece la situazione in Libia, in cui dalla metà del mese di febbraio si è aperta una crisi drammatica che ad oggi non si è ancora connotata per un virtuoso percorso di democratizzazione, ma, al contrario, ha assunto i tratti di una guerra civile sanguinosa di cui al momento non si intravede la fine.

Ma l’“effetto domino” in Nord Africa non si ferma. Ci sono altri paesi, come la Siria, lo Yemen o il Bahrein, dove la rivolta ancora non ha rovesciato i regimi al potere e dove forse non li rovescerà, ma dove nondimeno deve esercitarsi la pressione europea per riforme democratiche e per il rispetto di chi protesta per la libertà e per il riconoscimento delle libertà civili.

Di fronte a tutto questo il principale compito dell’Occidente deve essere quello di sostenere in maniera convinta la trasformazione democratica.

Abbiamo anzi il dovere di mettere i temi della democrazia e del rispetto dei diritti umani al centro della nostra azione politica, non soltanto rispetto ai paesi dove la rivolta ha avuto successo, ma anche, e persino a maggior ragione, nei confronti di quei paesi dove la protesta c’è e non ha ancora portato a un rovesciamento dei regimi, all’avvio di una transizione democratica. Da questo momento in poi la coerenza nell’iniziativa europea non è una scelta facoltativa.

Invece anche in quest’occasione l’Europa si è dimostrata fragile e ha rivelato gli aspetti più negativi della sua ambivalenza.

Le scelte politiche dei principali governi europei, infatti, sono state ispirate a un rapporto con l’altra sponda del Mediterraneo in cui hanno prevalso le esigenze di sicurezza energetica, di controllo dell’immigrazione e di lotta al terrorismo. Ha pesato la paura dell’Islam, paura che a volte ha sfiorato la fobia e che non ci ha aiutato a capire la complessità del mondo islamico ma ha impedito di scommettere su un Islam democratico e politico che può essere invece un interlocutore essenziale e prezioso.

Occorre una nuova strategia che sia coerente con i valori e i principi europei, con quegli stessi valori e principi che hanno agito positivamente come un punto di riferimento per i giovani protagonisti delle rivolte.

L’Europa può fare moltissimo per cogliere le opportunità che il processo di liberazione del Nord Africa porta con sé. Spetta ai progressisti europei incoraggiare il nostro continente a fare sino in fondo la sua parte in questa nuova storia che è appena cominciata.

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